L'altra campana

IL NOVIZIO - 8


     Scavato in viso, secco come una canna, gli occhi come due spilli dietro le lenti, quel Padre Maestro esercitava su tutti una sorta di magnetismo che incuteva paura. Non saremmo mai andati a colloquio da lui di nostra spontanea volontà; e quando ci convocava, ci prendeva un’autentica angoscia. Ma era impossibile sottrarsi al suo controllo. Ci vivisezionava a uno a uno fino a conoscere di ognuno qualità e difetti, attitudini, possibilità, amicizie e parenti.     Si diceva che durante la penitenza il Padre Maestro riconoscesse dallo schiocco il colpo di cintola dato sulla carne e quello assestato alla sedia o al tavolo. Era la flagellazione, diceva, il modo più antico e più efficace di vincere le tentazioni della carne. Per qualche masochista poteva essere un piacere perverso, ma era comunque l’unico sport che ci era dato di espletare.     Poi una scoperta. E la scintilla. Sulla mensola dell’armonium trovai un metodo e un libro di esercizi musicali. Osai. Al Padre Arrigoni non parve vero che qualcuno volesse imparare a suonare, acquisizione utilissima per la Chiesa. E a me non parve vero trovare il modo di impegnare un tempo che mi sembrava più dannoso che del tutto inutile, oltre che di una monotonia mortale.      Nel corso di quell’anno qualcuno dei confratelli cominciava a vedere lo Spirito Santo; c’era chi aveva rivelazioni private che lo designavano come il profeta del Terzo Regno; qualcun altro presentava la psicosi contraddistinta dalla sindrome degli scrupoli (tutto era vietato, le cose più futili erano peccato); un veneto non rasentava mai il muro a destra, perché aveva letto che così san Luigi Gonzaga lasciava spazio al suo angelo custode; e un ligure vivacissimo era diventato un mostro di perfezione, tutto lei, grazie, per favore, scusi, sempre pronto a immolarsi, tanto perfetto da essere odioso. Tutti annaspavamo nel buio della repressione dei più elementari istinti vitali. Tanto che a qualcuno fu imposto di ripetere l’anno di noviziato.     Più di uno, invece, trovò il coraggio o la fortuna di lasciare. Tra i primi il Sergente. Poi l’umbro Balocchi; senza salutare nessuno non certo per volontà loro. Ma la tentazione era in tutti.      Il Padre Maestro la chiamava la crisi e la riteneva necessaria; diceva di avere l’obbligo di stimolarla, nel caso che non fosse arrivata, perché in quel crogiuolo nascesse dal ragazzo l’uomo cosciente della sua vocazione, deciso a intraprendere, con la vita religiosa, la via della perfezione cristiana e quindi della santità.