L'altra campana

IL NOVIZIO - 11


     Quell’estate morì il Padre Cortellessi. Benché la luna entrasse a spiare curiosa in cappella, non senza una certa paura noi novizi ci alternammo nei turni di veglia al suo feretro.     Era il primo morto che vedevo. Aveva l’apparenza di uno che dormisse, ma mi metteva i brividi l’idea che la sua anima stesse davanti al tribunale divino o in giro da qualche parte, probabilmente in procinto di scendere al Purgatorio.         Lo ringraziai comunque per avermi confessato più volte senza farmi prediche, forse senza sentirmi neppure; e gli chiesi con coraggio, a lui che non aveva né parenti né amici, avendo rinunciato a questa vita per l’altra, di venirmi a rivelare, come cambio di favore tra organisti, se esistesse davvero un’eternità individuale in altri mondi o se gli uomini non siano determinazioni momentanee di una vita universale che continuerà per sempre quaggiù… (“E non avresti paura?” “No, di te non avrei paura”).      Non era mai morto in me il pagano sentimento di una mia partecipazione a una vita universale, che non mi sovrastava, ma aveva bisogno del mio contributo e per questo mi aveva confezionato; non solo cioè di essere una piccolissima e necessaria parte di un’essenza infinita, come le gocce d’acqua per il mare, ma momento essenziale del suo eterno divenire, fatto di nascita e di morte dei singoli elementi. E quel sentirmi nell’abbraccio di una vita universale e infinita, benché mi rimpicciolisse, mi rasserenava, dandomi una funzione; mentre mi annichiliva l’idea cristiana della mia inutilità, più di quanto non mi angosciasse l’altra, del premio o del castigo che mi attendeva nell’eternità.      Il Provinciale lombardo venne ad officiare i funerali di Padre Cortellessi ed io gli intonai il liturgico torbido In paradisum: Gli angeli ti scortino in paradiso; al tuo arrivo ti ricevano i martiri e ti accompagnino nella città santa di Gerusalemme. Il coro degli angeli ti accolga; e con quel Lazzaro già mendicante, abbi riposo perpetuo.     Lo seppellirono nella cappella del noviziato, dove tanti della Congregazione avevano lasciato le ossa. Lo sostituì nei suoi non gravi impegni un altro vecchio frate. Nessuno lo pianse e, dal giorno dopo, di lui nessuno più parlò, benché il Padre Provinciale avesse polemizzato, nel sermone funebre, con un innominato anticlericale che ci definiva “persone che s’incontrano senza conoscersi, convivono senza amarsi e muoiono senza piangersi”. No, forse no. Fottuti sì.