L'altra campana

VENERABILIS BARBA - 2


Solo alla fine di dicembre ricevetti la prima lettera di Vittorio, che ci aveva lasciato nell’estate; e mi fece un enorme piacere, quantunque fosse, al solito, assai poco allegra.Caro Fabio… In classe a Corato siamo 32 ed è scuola mista. Allora, mi dirai, c’è da divertirsi. Beh, non so cosa dirti. Per me non ho ancora la forza di aggiungere vuoto a vuoto: sono di quelli che vivono buttando pietre ai castelli di carta degli altri e che non intendono fabbricarne uno per dare il gusto agli altri di buttarlo giù… Scrivimi a lungo… e perdonami se in questa non trovi nulla di interessante e tutto inconcludente: ognuno è quello che è. Buon anno. Tuo Vittorio. Ognuno era quello che era… E lui era il “pessimista” più autentico. Quanto a noi, ci sapeva così emarginati che dedicò un notabene di una pagina al nostro aggiornamento sulla situazione calcistica nazionale.Io mi ero rituffato nei miei studi personali. Da poeta diventavo topo di biblioteca e precoce pozzo di cultura; lo stornellatore felice di vivere e di vincere la sua battaglia contro la miseria, suo unico problema, si ritrovava filosofo, costretto com’era a districarsi dalla menzogna; costrettovi da chi condannava come vanità e offesa a Dio tutto ciò che l’istinto sentiva come bello e buono: la donna, la libertà, la vita. Le mie ossessioni razionalistiche sorprendevano perfino me. Ma poeta o no, la poesia della fede senza ragioni non mi seduceva più: una fede abbracciata volontaristicamente e conservata con l’esercizio come virtù, per sua stessa natura, non poteva produrre che gli orrori del fanatismo.Figuriamoci se non sentivo con Chesterton la poesia del Natale o non apprezzavo con Claudel l’atmosfera mistica delle basiliche cristiane: ancora oggi, per respirarla, entro in tutte quelle che mi capita di visitare. Ma io non ero il Chesterton che, svincolato dalla legge del bisogno, non aspirava che ad emozioni e a raffinate sensazioni estetiche; non ero il Paul Claudel che da ricco borghese sazio di benessere poteva sentenziare a pancia piena sulla necessità del sacrificio. Io stavo provando sulla mia pelle che una fede religiosa non è innocua fantasia: è il sacrificio della intelligenza a un complesso di dogmi, di certezze categoriche abbracciate in luogo della verità; è un sovrapporre alla verità la certezza fasulla attraverso un credere a chissà chi; e poteva comportare, come nel mio caso, il sacrificio non della sola intelligenza, ma della vita stessa.