Da italiano e da cristiano mio malgrado, avrei anche cercato la raccomandazione, visto che era sistematica nella realtà italiana e non era che la quintessenza della cultura e della civiltà cristiana. Dio era il perno del sistema delle raccomandazioni; lui che, Bontà infinita, non dovrebbe avere bisogno di preghiere per soccorrere i suoi figli; giustizia infinita, non dovrebbe avere preferenze; potenza infinita, non avrebbe bisogno di intermediari. Ma dove trovarla? Vittorio, pensavo, era rimasto dentro il sistema che lo rendeva infelice. Ed io? Se mi ero liberato della fede religiosa e delle sue paure, non sarei stato alieno dal “pregare” chi poteva e mi accorgevo che, culturalmente, ero ancora intriso dell’educazione al fideismo. La religione impregnava tutta la vita civile, politica, culturale, condannandomi a vivere all’interno di un sistema che da secoli e dovunque si esprimeva nella cultura della grazia e del santo patrono; perfino all’interno dei partiti, dove non riuscivi ad avere una voce, se non patrocinato da un santo; solo in Italia il Ministero della Giustizia si chiamava di Grazia e Giustizia. Io non l’avevo più, un patrono; nemmeno san Fabiano papa; e non cercavo la grazia, forse solo perché disperavo di trovarla. E senza “forse” fu poi l’inverno, un lungo inverno monteflaviese durato sei anni, durante il quale l’impegno di studio e le manifestazioni (altre espressioni di fede), quasi unico motivo delle mie capatine all’Università, diventarono un alibi alla disperazione. Fino a quando una ragazzuola che in casa chiamavano Onne mi avrebbe riportato la primavera. La Biblioteca Alessandrina dell’Università non solo aveva di tutto, ma concedeva i libri in prestito, agli studenti; tranne quelli di testo, che prendevo presso il CAU. Approfittai subito e abbondantemente di entrambe le occasioni, senza curarmi del fatto che i testi del CAU fossero spesso edizioni sorpassate o testi non graditi dal nuovo professore; che, guarda caso, nell’interrogazione poi investiva quasi sempre i punti su cui si giocava la sua originalità e, di conseguenza, la necessità del suo testo o delle sue costose dispense. I libri dell’Alessandrina mi avrebbero consentito di definire compiutamente le mie ricerche, di chiudere sul tema della religione cristiana e farne magari una pubblicazione. Ma sia al paese che all’Università non fui capace di resistere alle pressioni di ambienti che mi spingevano ad abbracciare una fede politica. Sarebbe stato abbastanza difficile, poi, liberarmi anche di quella fede; difficilissimo questa volta, se non impossibile, sostituirla con una scelta razionale che mi evitasse di cadere nel qualunquismo.
MADONNA DELLA STRDA - 14
Da italiano e da cristiano mio malgrado, avrei anche cercato la raccomandazione, visto che era sistematica nella realtà italiana e non era che la quintessenza della cultura e della civiltà cristiana. Dio era il perno del sistema delle raccomandazioni; lui che, Bontà infinita, non dovrebbe avere bisogno di preghiere per soccorrere i suoi figli; giustizia infinita, non dovrebbe avere preferenze; potenza infinita, non avrebbe bisogno di intermediari. Ma dove trovarla? Vittorio, pensavo, era rimasto dentro il sistema che lo rendeva infelice. Ed io? Se mi ero liberato della fede religiosa e delle sue paure, non sarei stato alieno dal “pregare” chi poteva e mi accorgevo che, culturalmente, ero ancora intriso dell’educazione al fideismo. La religione impregnava tutta la vita civile, politica, culturale, condannandomi a vivere all’interno di un sistema che da secoli e dovunque si esprimeva nella cultura della grazia e del santo patrono; perfino all’interno dei partiti, dove non riuscivi ad avere una voce, se non patrocinato da un santo; solo in Italia il Ministero della Giustizia si chiamava di Grazia e Giustizia. Io non l’avevo più, un patrono; nemmeno san Fabiano papa; e non cercavo la grazia, forse solo perché disperavo di trovarla. E senza “forse” fu poi l’inverno, un lungo inverno monteflaviese durato sei anni, durante il quale l’impegno di studio e le manifestazioni (altre espressioni di fede), quasi unico motivo delle mie capatine all’Università, diventarono un alibi alla disperazione. Fino a quando una ragazzuola che in casa chiamavano Onne mi avrebbe riportato la primavera. La Biblioteca Alessandrina dell’Università non solo aveva di tutto, ma concedeva i libri in prestito, agli studenti; tranne quelli di testo, che prendevo presso il CAU. Approfittai subito e abbondantemente di entrambe le occasioni, senza curarmi del fatto che i testi del CAU fossero spesso edizioni sorpassate o testi non graditi dal nuovo professore; che, guarda caso, nell’interrogazione poi investiva quasi sempre i punti su cui si giocava la sua originalità e, di conseguenza, la necessità del suo testo o delle sue costose dispense. I libri dell’Alessandrina mi avrebbero consentito di definire compiutamente le mie ricerche, di chiudere sul tema della religione cristiana e farne magari una pubblicazione. Ma sia al paese che all’Università non fui capace di resistere alle pressioni di ambienti che mi spingevano ad abbracciare una fede politica. Sarebbe stato abbastanza difficile, poi, liberarmi anche di quella fede; difficilissimo questa volta, se non impossibile, sostituirla con una scelta razionale che mi evitasse di cadere nel qualunquismo.