L'altra campana

L'AVVOCATO - 14


 Il 1964 fu l’anno della mia laurea e della morte di Palmiro Togliatti. Fui presente ai suoi funerali, tra un milione di persone che per le vie di Roma lo piangevano come un padre e ne salutavano il feretro a pugno chiuso. Si parlava più di tutto del Memoriale che Togliatti aveva lasciato a Yalta prima di morire, tracciando per i suoi eredi politici la via italiana al socialismo, deciso preannuncio dello strappo da Mosca e dal leninismo, come deciso era stato nel dopoguerra in Italia il rifiuto dello stalinismo. L’organizzazione del partito rimaneva però fedele al principio del centralismo democratico. Delegato dalla sezione con Antonio al Congresso della Federazione Provinciale, mi ero ripromesso di porvi in discussione la desistenza presentata come dialogo con i cattolici e la mancanza di un progetto di politica scolastica. Ma nella riunione preliminare dei delegati della zona Tivoli-Sabina il funzionario del partito responsabile di zona comunicò che ci spettavano tre interventi e, riservandone uno per se stesso, propose per i due residui i delegati più “rappresentativi”, il senatore di Tivoli e il sindaco di Mentana: ero nato in un paese troppo piccolo. E più ancora mi deluse la vista di un congresso ridotto a una parata di apparizioni autoreferenziali. Avevo lavorato sodo sulla tesi, presentandola a don Salerno già completa e dattiloscritta. Quando tornai da lui per averne giudizi e suggerimenti, mi disse che era un lavoro sistematico e completo, ma come sacerdote egli non poteva condividerne l’impostazione (come Donini): o andava rifatta completamente o potevo presentarla così com’era. La presentai così com’era, perché capii che a don Salerno era piaciuta, pur essendo evidenti il mio scetticismo religioso e l’angolatura politica. Egli si informò, anzi, delle mie condizioni di vita, di intuibile criticità, e m’incoraggiò promettendomi che avrebbe cercato di aiutarmi poi a utilizzare la laurea. Per la sua discussione dovetti aspettare fino al 16 novembre. Trovai quindi a primavera il tempo di partecipare attivamente a una delle tante campagne elettorali e, nell’estate, il modo d’incapricciarmi di una villeggiante giovanissima, Ersilia.  Le elezioni le vincemmo, dando a Checco il posto di sindaco. Io fui eletto consigliere comunale, conservando inoltre gli incarichi di segretario della sezione e della Camera del Lavoro, che dall’origine si identificava di fatto con la sezione del PCI. Anche le cariche comunali, come gli incarichi politici e sindacali di base, erano allora gratuiti. Partiti e Sindacati facevano ancora affidamento sui militanti, prima che si convertissero, tutti, al consociativismo governativo in nome della democrazia.