L'altra campana

IL VENTO DEGLI ANNI SESSANTA - 8


 Ingegno vivace, benché privo d’istruzione, Paris era stato il mio primo maestro di politica, quando, in andata o di ritorno, sostavo a Moricone dalla zia Angelina, sempre ospitalissima: zio Antonio produceva un ottimo vino bianco, Renzo era migrato in Canada e Paris mi parlava del plusvalore come se fosse andato a braccetto con Marx. Ora Edelweiss, la moglie di Paris, era all’ottavo mese della sua seconda e tardiva gravidanza, mentre Katia entrava nell’adolescenza. Il vecchio cugino e maestro di politica (in quel periodo festeggiò i quarant’anni) diventava adesso la mia guida urbana. Quando alla fine di ottobre presi il primo stipendio e tesi a Paris quello che poteva essere il suo modico compenso, mille lire al giorno, non volle accettarne più della metà. Il giorno dopo nacque Sonia. Il palazzo del Ministero era tanto luminoso all’esterno, nel suo stile umbertino, quanto opprimente e cupo all’interno. E più del palazzo era oppressivo e grigio l’ambiente umano, con tutti quegli impiegati chiusi nelle stanze, che facevano capolino dalle porte prima di uscire sugli ampi e scuri corridoi, come a controllare se il nemico fosse là in giro.  La prima lezione che imparai sulla burocrazia, la norma fondamentale dello Statuto, fu l’ordine gerarchico: nella struttura delle carriere ognuno era superiore o inferiore a ogni altro. La gerarchia si sviluppava per quattro carriere: ausiliaria, esecutiva, di concetto (dei diplomati) e direttiva (dei laureati). Nel suo ambito la carriera era gerarchizzata per qualifiche; nella mia carriera, la direttiva, ce n’erano otto e la mia vita sarebbe consistita nel percorrerle possibilmente tutte. Anche le carriere inferiori comprendevano varie qualifiche sovrapposte; nell’ambito della stessa qualifica la gerarchia seguiva l’anzianità di servizio.  Non mi sottrassi alla proposta dei colleghi di un festeggiamento del primo stipendio a Fiumicino. Ed ebbi il primo rimprovero, al rientro, per quell’uscita “promiscua” con impiegati di rango inferiore. Non avevo la vocazione del burocrate, ma avendo conquistato il diritto al lavoro nella Pubblica Amministrazione (P.A. per gli amici), mi proposi di adoperarmi per migliorarne l’assetto e il clima.  Quella struttura, infatti, non era soltanto funzionale a una pletora di autorità inutili e ad un sistema retributivo per cui un vecchio, in qualunque carriera, guadagnava il doppio di un giovane lavorando anche meno e peggio, ma aveva due caratteri importantissimi, che sarebbero sopravvissuti a tutte le riforme: l’impersonalità dell’Amministrazione Pubblica e la conseguente irresponsabilità.