L'altra campana

SVEGLIARSI POETA - 4


 Per la scuola fu la perdita parziale di una grande occasione di rinnovamento. Non che la causa dello svuotamento di alcuni Organi Collegiali fosse unicamente la nostra assenza: sarebbe una presunzione ridicola. Ma sta di fatto che la burocrazia scolastica mantenne inalterati i suoi poteri, né a sua volta fu minimamente permeata di partecipazione; e che gli organi collegiali, dopo una breve stagione di esibizionismo verboso e di festival del dilettantismo, si esaurirono quasi tutti; tutti tranne quelli, come il collegio dei docenti e i consigli di classe, per i quali la presenza dei sindacati della scuola aveva individuato una funzione reale.  Antonietta fu eletta rappresentante dei genitori nel Consiglio di Circolo della nostra scuola trasteverina. E fu lei a stigmatizzare quanto la “partecipazione” dei genitori alla gestione della scuola fosse in tutti gli organi insignificante in quantità e ininfluente in qualità:  “Che ci stiamo a fare, i genitori? E’ come in chiesa: ci hanno concesso di poter rispondere ora pro nobis”. La maggior parte dei Consigli distrettuali, che coinvolgendo enti locali e istanze sociali dovevano costituire l’articolazione territoriale della pianificazione scolastica, non si costituirono affatto o si dissolsero quando constatarono di essere organi propositivi privi sia di qualunque potere decisionale o attuativo che di un decisivo referente. Ma il mondo politico poteva dirsi soddisfatto: la connivenza tra insegnanti, genitori e forze istituzionali un effetto l’aveva raggiunto: quello di isolare e soffocare almeno temporaneamente il movimento studentesco. “Siamo stati tagliati fuori completamente dalla possibilità di collaborare alla riforma della scuola”, lamentai con uno di quegli stipendiati del sindacato. Mi rispose con una stronzata demagogica: “La riforma della scuola la faranno i metalmeccanici”. Prima lasciai senza combattere il coordinamento del sindacato nazionale, perché fosse il buon Michele Paradisi a gestirne la liquidazione. Poi mi disimpegnai completamente da quella CGIL degli statali nella quale non mi riconoscevo, perché rappresentava soltanto i suoi burocrati, quei professionisti del sindacalismo che si giovavano dell’impegno gratuito dei militanti per volare al consociativismo. Ma “il sindacato” era pur sempre una conquista storica di assoluta importanza. E poiché tutte le altre “istanze”, a cominciare dal “partito”, si mostravano indifferenti, ne uscii in silenzio, senza clamori, come ero uscito da altre sconfitte, come sarei uscito di lì a poco dal PCI e come da tempo mi andava sussurrando il poeta che si ridestava in me.