L'altra campana

ARRIVANO I NOSTRI - 13


 L’anno scorso è morta mia madre, a novantasei anni. Era tornata a Monteflavio fino all’ultimo anno, quando la forzammo a stare con noi a Roma a turni mensili. Sempre autonoma e lucida, dalla finestra o sedendo al sole con le comari non si perdeva né un matrimonio né un funerale. “La giovane cerchi di comparire, l’anziana di non scomparire”.  E diceva ridendo che le spettavano anche gli anni di Ottavio. Aveva perduto da ultimo solo la memoria recente: la sua mente era un vaso stracolmo che non poteva ritenere altra goccia; ma non aveva perduto né la voglia di vivere, né il pungente sarcasmo. Come nonna Annarella, mia madre viveva e non desiderava altro che la vita, per sé e per i suoi, mentre guardava con serenità alla morte, acquistando il suo loculo nel camposanto e tenendo riposti “per la morte” un paio di scarpe lucide e un vestito nuovo ben stirato. In quei miei colloqui con la morte, fatti con la stessa pagana serenità che ho visto nella mamma, tornavo sulla domanda che agita come spauracchio il pretame, consapevole di appressarmi all’ultima e più interessante esperienza della vita: che ci stiamo a fare al mondo?  Che domande stupide ci impone la nostra formazione religiosa! E che risposte suggerisce! “Dare gloria al Creatore”... Io non ho mai preteso di dare gloria a un dio; come non potevo ricevere io una qualche gloria da vermi e formiche, con tutto il rispetto per loro. Ma trovo semplice ed esaustiva la risposta rinvenuta dal profeta pagano che ha sempre scalpitato nei miei ventricoli cercandovi un varco: stiamo al mondo perché siamo il mondo; non vi siamo piovuti dal nulla per grazia divina; né altrove ce ne andremo, essendo parte della vita, eterna e infinita, dell’universo e rappresentando, per quanto ne so, un momento piccolissimo ma essenziale del suo eterno divenire.  “Tu saresti un pagano?” mi fa la mia Onne. Ma non vuole leggere la mia Divina Tragedia, ormai terminata. “Sì. Il cristianesimo è servito ad espropriare gli umili, i suoi fedeli, relegandoli in una città celeste, in modo che la terra continui ad appartenere a quelli che si sentono padroni del mondo”.  “Ma il paganesimo non ha i riti satanici e quel casino di Dei?” “E’ stato il cristianesimo ad attribuire i suoi orrori ai pagani per screditarli. Ma in nessuno scrittore pagano troverai nominati diavoli o diavolerie. E gli Dei sono per il pagano le forze della natura, che ci assistono o ci osteggiano, ma mai ci annullano. Noi stessi siamo circostanze di una vita universale che era prima di noi e resterà dopo di noi; ma che senza di noi, di ognuno di noi, non sarebbe la stessa. Certamente, come particelle dell’universo, possiamo essere stille di mosto o gocce d’aceto…”  “…Con la possibilità di passare da uno stato all’altro”.