Altri mondi

Il vecchio incasato di Grottammare


Una volta aver ripreso fiato percorsi un altro breve tratto in salita, mettendo a dura prova i piedi su un selciato irregolare. Il vicolo era stretto e si insinuava tra vetusti caseggiati, alcuni dei quali restaurati o in via di restauro. Dopo aver respirato per un centinaio di metri un’ombra che odorava di antico, e aver costeggiato portoni di vecchia foggia, arrivai in una splendida piazzetta. Gli edifici, tutti rigorosamente con mattoni a vista, mantenevano intatta l’atmosfera dei secoli addietro, con un’alternanza di stili piuttosto evidente. Al centro della piazza un mosaico circolare dettava i ritmi della prospettiva.Locali e turisti si affaccendavano intorno agli usci al piano terra, grosse ante di legno vecchio, entrate di folkloristiche botteghe artigiane.La goliardia dei vecchi tavolini all’aperto di un’osteria, con le nostalgiche tovaglie a scacchi rossi, sfidava l’austera severità della chiesa neoclassica (credo) che si ergeva di fronte.Il vino profano a cospetto di quello sacro. E se è vero che in vino veritas, allora forse ero nel posto giusto per dipanare la complicata matassa. Mentre mi trastullavo con i ricami della piazzetta lo sguardo fu calamitato dall’incredibile scorcio che dirompeva da un loggiato alla mia destra. Il mare pareva sul punto di traboccare dal parapetto costruito, oltre le strette arcate, all’altezza del cielo. Ne fui attratto irresistibilmente. Le gambe si mossero in modo automatico, obbedienti al canto di invisibili sirene.Il loggiato era una sorta di galleria ricavata nel primo dei tre piani di un edificio a mattoni dalle linee indubbiamente aristocratiche, risalente a un paio di secoli addietro, sormontata da una nicchia contenente la statua del Papa Sisto V e sulla destra di una torre campanaria, con tanto di immancabile, enorme, orologio rotondo con immancabili, enormi lancette e ore in maestosi numeri romani.Passai sotto uno degli archi e mi sentii come un antico marinaio nel temerario atto di varcare le Colonne d’Ercole. Il panorama che mi si apriva davanti era di una bellezza travolgente, quasi mistica.Camminai tra le poche, graziose, colonne di mattoni che si tenevano per mano nell’intrico delle basse volte, sopra vetri rinforzati posati sul pavimento come oblò sugli antichi ruderi sottostanti.Pur essendomi avvicinato gradualmente al parapetto, la maestosità del paesaggio mi ghermì all’improvviso, prendendomi con violenza.Il mare calmo, sonnacchioso, colorato dalle correnti e dalle differenti profondità in zone ben separate di brillanti tonalità di blu, delineava un’ansa da nord a sud fino a un porto di cui si scorgevano i bracci, come sfacciate lingue di terra che violavano l’omogeneità dell’acqua. A dire il vero lo sguardo arrivava ben oltre, ma a quella distanza la foschia impediva di individuare nitidamente le sagome della costa. Sempre a sud, incorniciate dal mare e dalle mura del caseggiato, spiccavano le vette dell’Appennino abruzzese.Mare e montagne affiancati: che strano e affascinante abbinamento!Lungo tutta la costa si snodava una sequenza ininterrotta di insediamenti urbani come un unico, compatto e continuo paese. Cercai di immaginare la scena notturna, con la galassia di luci che avrebbero inondato il panorama ininterrottamente da nord a sud. Sarei tornato dopo cena, niente al mondo mi avrebbe fatto perdere una simile scena. (Tratto da "OLTRE - Il Libro dei Mondi" di Enrico Santori - Prossima Pubblicazione)