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NOI GENITORI "Il nostro mondo, sconosciuto ai più" (di Marinetti A.)

Post n°16 pubblicato il 15 Aprile 2013 da DisabiliSenigallia
 

Il mondo del genitore di un disabile è sconosciuto ai più. Come una conchiglia sigillata. 

E come in ogni conchiglia c’è una perla, così per noi ogni figlio, anche se limitato, è pur sempre una perla, un essere unico e irripetibile. Il figlio disabile porta in sé una carica umana, una ricchezza, una miniera.

Medici, psichiatri, assistenti sociali, si accostano ai nostri figli come professionisti e noi valorizziamo il loro sostegno e la loro competenza. Ma per loro si tratta di “utenti“, “casi“, “soggetti/oggetti di studio” (e anche di ricerca), quindi li studiano, analizzano, stilano tabelle, ma rimangono alla loro circonferenza. Non hanno strumenti per misurare il loro mondo interiore di emozioni, sentimenti, affetti.

In tutti gli istituti ci è stato detto, che i primi “specialisti” siamo noi genitori. 

Se è inaccessibile l’universo del disabile, lo è anche quello dei loro genitori. 

Come fa un medico a rendersi conto di quello che soffre una madre, la cui maternità è rimasta “incompiuta”, non realizzata in pieno? Come farà a curare questa “ferita esistenziale”, che non si rimarginerà mai? 

Per trattare con noi ci vuole una professionalità “umana” oltre che tecnica e scientifica, perché è come entrare nel santuario, nelle vene di un dolore talmente profondo, che arriva alle radici dell’esistenza. Ogni genitore non vuole il meglio per suo figlio? E chi non è riuscito, per mille motivi, a dargli salute e autonomia? 

Amministratori ed operatori sociali non possono non tener presente che, chi viene messo alla prova dalla vita, diventa più sensibile.

Il genitore del disabile vive in “situazione di emergenza permanente“, con l’ossigeno in casa per l’apnea notturna, con il sondino, con il 118 a portata di mano. Convive 24 ore su 24 con il suo problema, notti insonni, dolore accumulato, cruccio. 

Non c’è sabato, né domenica, né Natale, né Pasqua… sempre, sempre con il figlio, che reclama attenzione, affetto, premure, medicine, visite, controlli; deve essere imboccato, cambiato, sollevato, portato a scuola, alla fisioterapia, in piscina, all’ippoterapia… 

Quante volte, la mattina presto, sulla spiaggia deserta, chiudo gli occhi per tentare di immedesimarmi in mio figlio non vedente per immaginare: cosa prova, cosa sente, cosa passa dentro di lui che vive dietro la barriera del buio? Impossibile capire, impossibile immedesimarsi…

Per vincere la tristezza lo porto alla stazione, faccio il tifo con lui per i treni, andiamo a Fano e torniamo, canto per strada, lo abbraccio e riempio di baci… 

(A. Marinetti)

 

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