Messaggi del 08/11/2014

La sconfitta di Obama

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La sconfitta di Obama
08 novembre 2014
Di F. Allegri
Tutti sapevano che il presidente Obama e i democratici avrebbero perso queste elezioni di medio termine, ma molti non sanno spiegarselo.
Io lo so dal 3 luglio, quando lessi uno scritto di Ralph Nader titolato “Two November Chances for Progressives”.

Da quello scritto si capiva che i Tea Party avevano rinvigorito e reso popolare il partito repubblicano, incarnando il cambiamento nella vittoria di David Brat contro Eric Cantor nelle primarie della Virginia.

Dalla parte democratica invece c’erano due debolezze:
il presidente veniva da 2 anni di pasticci, fallimenti e riforme irrilevanti o deludenti mentre la base del partito e i suoi eletti avevano smarrito la spinta progressista necessaria per contrastare il declino economico, la povertà e la plutocrazia.
I democratici si sono presentati come il partito del “meno peggio” o come i liberali che sognavano Hillary e altri 8 anni di Clintonismo, con un po’ di militarismo.

Tutto questo va insieme al fatto che la base attiva progressista e molto più numerosa di quella del Tea Party.
Questa differenza quantitativa non fa la differenza, la base progressista non agisce e non preme su un partito democratico che Robert Reich definì moribondo in un articolo sul Washington Post del 2001.

C’è solo il lavoro politico per raggiungere degli obbiettivi specifici, riforme di settore, a veder bene c’è anche la critica del servilismo verso i potentati economici, ma tutto questo non arriva nelle arene elettorali.
Di conseguenza, la gran parte di queste riforme richieste e sognate si rivelano come inutili lamenti legati allo slogan: “I repubblicani sono peggio”.
Tale lamento è inutile perché ignora la vera natura di troppi democratici eletti!

Nel suo scritto di luglio Nader presentava 2 veri candidati progressisti, solo due, (uno nel 2° distretto congressuale del West Virginia e l'altro nel 21° distretto congressuale di New York), ma in una contesa che lui riteneva aperta.

Il primo dei due candidati era Ed Rabel, un ex corrispondente di guerra della CBS che si presentava come indipendente per la Camera dei Rappresentanti con un programma che sfidava le corporations e i loro politici di riferimento.
Prima ancora di aver finito di ottenere le firme necessarie per presentarsi alle elezioni, Rabel era già al dieci per cento nel primo sondaggio pubblicato e contrastava bene i suoi avversari, sia il repubblicano, Alex Mooney che il democratico Nick Casey, entrambi vicini alla lobby del carbone, alle aziende chimiche e a quelle del gas naturale che inquinano e sfruttano quello stato.

I candidati indipendenti e ambientalisti sono un buon termometro per misurare la crisi del partito democratico americano.
Quelli come Rabel frantumano i miti  e le falsità dei democratici di questi decenni e propongono le politiche favorevoli ad una vera crescita economica basata sugli aiuti alle famiglie, sull’ambiente e su una vera assistenza sanitaria.
Questi democratici non qualificano la spesa pubblica, non la canalizzano verso le necessità vere della cittadinanza che sono le stesse degli europei.
Il grande assente nei progetti dei candidati repubblicani è stato il tema del salario minimo federale da portare sopra i 10 dollari l’ora.
Questo doveva essere una vittoria da presentare agli elettori, non la promessa di una mancia per gli elettori poveri da ricevere dopo il voto.
Con questa campagna si è rasentato il voto di scambio.

L’altro candidato segnalato da Nader era il panettiere della democrazia, il verde italo – americano Matt Funiciello, famoso per il suo attivismo progressista e per la sua generosità.
Si tratta di un vecchio amico di Ralph Nader.
Anche lui è in grado di contrastare i suoi avversari (Elise Stefanik, ex collaboratrice di George W. Bush e del deputato Paul Ryan e il democratico Aaron Woolf).
Si trattava di un candidato con un lavoro quotidiano e di una persona che sapeva cosa vuol dire dover pagare tutte le bollette, mese dopo mese.
Si tratta di un piccolo imprenditore con una grande passione politica, ambientale e sociale.

In conclusione e in sintesi, la sconfitta democratica è il risultato di tre fatti chiari.

In alto, c’è un presidente che non dispone più di una vasta fascia di supporters entusiasti a prescindere dai programmi e dalle promesse, in mezzo c’è una debolezza di candidati e progetti a livello di contesa elettorale e infine anche la base democratica è apatica rispetto al Tea Party.

 
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