Un paese da favola... Per la prima volta sono partita da Tivoli... la strada come un serpente che trascina tra coline mi sembrava interminabile... e poi all'improvviso davanti agli miei occhi una visione da favola: San Gregorio da Sassola. L'ho riconosciuto subito, avevo visto prima tante foto, ma la bellezza reale non si può descrivere in poche parole... cosi come non ci sono parole per parlare della bellezza che ho trovato negli occhi della gente, gente che in segno di accoglienza mi sorrideva. Sorprendente e meraviglioso è stato quando ci sono andata la seconda volta: ormai ero una persona conosciuta, mi domandavano: oggi che vuoi vedere? Eh si, ci sono tante cose da vedere... e ancora non ho visto tutto, sicuramente andrò anche per la terza volta...
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Il "Sor capanna" è stato l'ultimo e il più grande cantastorie romano, perché, vero artista della strada, sapeva presentare con la sua mimica le varie canzoni o parodie, commentandole, con quella satira che derideva i difetti degli uomini, tramandata ai romani da Pasquino. |
Me manna la corata in giro, come la madre de S. Pietro Mi manda le viscere sottosopra ( qui intenso nel senso di far pierdere il lume della ragione). Fa parte delle leggende populari quella della cattiveria della madre di S. Pietro. La tradizione orale racconta che fosse soprattutto molta avara e che ad una donna che le aveva chiesto l'elemosina, le aveva offerto solo una foglia di porro. Quando muri il Signore la spedi all'inferno, ma S.Pietro perorò tanto la causa della madre che alla fine Iddio gli concesse di farla salire in Paradiso appesa ad una foglia di porro, simbolo di quel poco bene che la donna aveva saputo fare sulla terra. Molte anime di dannati approfittarono dell'ocasione per attacarsi alle vesti della donna, che però cominciò a scalciare per liberarsi degli importuni, urlando che suo figlio aveva l'intenzione di salvare solo lei. In somma, sempre secondo la grottesca leggenda, si sarebbe dimenata tanto da rompere lo stelo fragilisimo della foglia di porro e ricadere nella buca profunda dell'inferno. |
La colonna Antonina e la colonna Traiana sono praticamente identiche: hanno più o meno la stessa età, sono alte entrambe una quarantina di metri e sono state assemblate allo stesso modo, con rocchi di marmo bianco delle Alpi Apuane; infine distano fra loro, in linea d’aria, meno di 800 metri. Ma solo la colonna Antonina (in realtà fatta innalzare da Marco Aurelio) – quella di fronte al Parlamento – reca segni evidenti di danno, mentre quella Traiana – accanto a piazza Venezia – è perfettamente integra, a parte qualche microfrattura. Perché? Il forte terremoto appenninico del 1349 investe Roma e scuote l’attuale centro storico: che non fosse il primo i romani certamente lo sapevano, perché le lance appoggiate al muro nella
Regia Palatina (al Foro) vibravano dal I secolo, a causa dei terremoti umbri. Nel caso
della colonna Antonina il sottosuolo potrebbe aver amplificato le onde sismiche, dando luogo a fenomeni di risonanza che, invece, sono risultati assenti nella colonna Traiana. Questa fu, infatti, innalzata dopo aver sgomberato il terreno da milioni di metri cubici di argille e di sabbie, e fu appoggiata direttamente sui tufi «duri» più profondi. In altre parole, è come se le due colonne si fossero trovate in un recipiente colmo di gelatina colpito da sotto: la gelatina amplifica il colpo e danneggia la colonna di Marco Aurelio, che si trova proprio in mezzo, mentre quella di Traiano, che si trova sul bordo, soffre molto di meno. Ma questo i Romani non potevano saperlo. ITALIA SEGRETA - MARIO TOZZI
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Post n°209 pubblicato il 22 Aprile 2011 da lanzarda
« Non so se valga davvero la pena raccontare fin dai primordi l'insieme della storia romana. Se anche lo sapessi, non oserei dirlo, perché mi rendo conto che si tratta di un'operazione tanto antica quanto praticata, mentre gli storici moderni o credono di poter portare qualche contributo più documentato nella narrazione dei fatti, o di poter superare la rozzezza degli antichi nel campo dello stile. Comunque vada, sarà pur sempre degno di gratitudine il fatto che io abbia provveduto, nei limiti delle mie possibilità, a perpetuare la memoria delle gesta compiute dal più grande popolo della terra. » TITO LIVIO |
Post n°207 pubblicato il 23 Marzo 2011 da lanzarda
Non di' quattro si nun l'hai ner sacco Una cronachetta racconta che un frate che chiedeva la questua si recò a implorare la carità sotto le finestre del Grillo, che aveva fama di buontempone, tanto che gli si attribuiscono ancora parecchi scherzi e bizzarrie. Questo originale, le cui burle sono rimaste leggendarie, si fece portare dalla servitù tre pani e una vecchia casseruola di coccio rotta. Poi gridò al frate di aprire il suo sacco per ricevere le pagnotte, e di numerarle ad una ad una come vi cadano dentro. Dopo i tre pani, mentre il frate già diceva " e quattro" , gli lanciò invece la pentolaccia sulla testa. Poi pronunziò il detto diventato proverbiale.
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Quartiere Portuense Fratres Arvales e Carmen Arvalium
Un verbale pervenutoci dal 218 d.C. riporta per intero l'antica invocazione rituale degli Arvali (IV sec. a.C.): I Musei vaticani conservano il Carmen Arvalium, una struggente invocazione a Marte incisa nel marmo, in cui si chiede protezione e favore. Il Marte arcaico è un dio bifronte: virile guerriero verso l'esterno, e sereno guardiano della pace dentro i confini degli "arva", i campi coltivati. È questo secondo Marte che gli Arvali pregavano: Hé! Aiutateci, spiriti buoni dei defunti! La preghiera, cantata e danzata, era un refrain alternato alle invocazioni rituali. Quali esse fossero non è dato sapere. Come ha suggerito lo studioso Emilio Venditti, esse potrebbero essere molto simili a questa, tratta dal De Agricoltura di Catone: Marte padre, ti invoco! [Traduzioni dal latino a cura di Antonello Anappo].. http://www.pasolini.net/cinema_uccellacci_romadiPPP_portuense-note.htm |
Cosi venivano chiamate le prostitute. Via della Scrofa è chiamata cosi dal secolo XV, quando venne murato ad un angolo dell'ex convento degli Agostiniani un bassorilievo raffigurante una scrofa che getta acqua della bocca attraverso una cannella. Ora la fontanella è posta a breve distanza dalla sua prima collocaziona. Alcuni studiosi della topografia di Roma sostengono che la via si chiamava cosi per via di un Albergo della Scrofa di cui si hanno notizie precedenti alla costruzione della fontanella. L'albergo era frequentato da donne di malaffare. Da qui il detto.... |
Post n°202 pubblicato il 30 Dicembre 2010 da lanzarda
perché so' bona e je gonfio er dindarolo?!" RINGRAZIO A FRANCESCOO7 |
Un Gatto Soriano
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Le corna so' come li denti,fanno male quanno spunteno, ma poi serveno pe' magna
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