Sonoviva

RIFORMA COSTITUZIONALE TITOLO V


Ieri, frequentando, come purtroppo ormai abitualmente faccio, le pagine di Facebook, mi sono imbattuta nel post del mio amico Andrea N. Ruffolo, persona di grande cultura e del quale apprezzo molte qualità fra le quali quella di essere un fine conoscitore di arte e storia, nonché compagno di lotta negli anni caldi della contestazione sessantottina al liceo Giulio Cesare di Roma. Ho iniziato dunque a leggerne il contenuto che si riferiva ad un esercizio, che ogni cittadino consapevole dovrebbe compiere, prima di fare la sua scelta attraverso una scheda referendaria. Al di là di quello che percepiamo; al di là di quale sia - ed il mio è negativo - il giudizio sulle politiche renziane e sullo stato del PD e della sinistra; al di là del fatto che magari siamo impegnati nella costruzione di una nuova sinistra o siamo rimasti fedeli al pensiero bersaniano, insomma in ogni caso dovremmo assolutamente leggere e cercare di comprendere gli articoli della Costituzione come modificati e come originariamente sono oggi. Un semplice testo a fronte, facile facile, di cui Andrea ci dava le coordinate che io ora offro, a mia volta, a miei lettori.  Va bene, insomma ho subito scaricato il testo comparato ed ho trascorso il mio pomeriggio a leggerne testo originario e modifiche. Leggi che ti rileggi sono così giunta al Capo V della Costituzione, quello che la sinistra volle cambiare anche con una risicata maggioranza. Un testo che mi toccò anche studiare per il mio concorso interno e che ho anche dovuto, a mia volta, insegnare a colleghi della vigilanza ( leggi custodi ). Quella riforma, per quanto rigardava me ed i beni culturali, sui quali avevo alacremente lavorato fina dal 1978, toglieva allo Stato competenze esclusive in materia di valorizzazione e gestione dei Beni Culturali, lasciandole solo per quanto riguardava la tutela; anche per quest'ultima erano però fortissime le intromissioni di Enti locali se solo pensiamo che sono le Province a gestire gli elenchi dei Catalogatori di Beni Culturali. Un caos che di fatto, da un giorno all'altro, vanificava tutto il lavoro svolto e poneva nella disponibilità di Amministratori locali un tesoro di valore inestimabile, che diveniva ulteriore occasione o per l'oblio ( se non se ne poteva cogliere un vantaggio) o per la smisurata voglia di guadagni. Grazie a quel cambiamento ed alla confusione che comunque generò questo passaggiodi competenze, fu possibile che manager privati occupassero, ad esempio, Pompei, succhiando avidamente milioni e milioni di euro senza che il Parco archeologico ne beneficiasse. Fu per lo stesso motivo che la Certosa di Padula, da magnifico luogo restaurato dallo Stato e di proprietà dello stesso, sede di grandi mostre e di progetti arditi in materia di giardini e di Arte contemporanea, potè divenire  di nuovo un luogo abbandonato a se stesso, con l'erba alta che nessuno taglia più, con problematiche che nessuno più gestisce:  tanto, di quel territorio, chi se ne frega? Neanche i locali, nei quali non è che riponessi molte speranze, Loro aspettano con ansia il pensionamento dell'ultimo impiegato statale, per rimetterci sopra le mani e riportarla ad una dimensione localista dalla quale faticosamente era stata strappata. Dunque vi dirò che la riconquista esclusiva da parte dello Stato della valorizzazione e della tutela, mi fa propendere per il SI, perché ora o mai più. Non è un'idea di oggi e pertanto propongo la rilettura del mio post linkato qui sotto e, se avete la pazienza di cercare fra tutti, anche degli altri sullo stesso tema.IL MIO POST DEL 2011