Al suo interno lavorava personale altamente qualificato, archeologi, storici, archivisti e persone di cultura che, attraverso l'applicazione di due semplici leggi assicuravano che il patrimonio di un popolo non andasse perso. Questo Ministero era povero in canna ma, anche con il poco o con il nulla, questi valenti personaggi riuscivano a fare cose strabilianti, anche a costo zero. Erano mossi dalla passione e sapevano coinvolgere chi gerarchicamente occupava un posto inferiore. Il sindacato non si occupava di loro, impegnato com'era nella difesa dei fannulloni e di coloro che rappresentavano una corporazione, il personale di custodia. Così si viveva abbastanza in pace, realizzando eventi, spendendo ogni anno i soldi stanziati, progettando ed esercitando con competenza ed autorità le proprie funzioni. Poi un giornalista di nome Ronchey divenne Ministro e giustamente volle introdurre il concetto di royalities per le riproduzioni e le concessioni di spazi nei musei e luoghi gestiti da parte dello Stato e così, tra politici nazionali e politicanti locali prese piede l'idea dell'uguaglianza bene culturale=denaro. Da allora in poi il Ministero meno ambito è divenuto terra di conquista, ed alle due ottime leggi, la 1089 e la 1439, la migliore cosa fatta dal regime fascista, ne sono state sostituite di nuove; ma, soprattutto, alla esclusività del potere dello Stato in materia di tutela, valorizzazione e gestione, si è posto fine con la modifica del Capo V della Costituzione. Così tutti gli Enti territoriali sono diventati competenti e nel balletto delle competenze e dei tavoli, e delle Commissioni e di questo e quello cominciava il declino di un Ministero e della Cultura. Con buona pace di archivi e biblioteche che, non potendo generare utile in termini economici, venivano riposte in un angolo. Della cultura divenivano tutti profeti ed abbiamo visto in questi anni nani e ballerini tutti impegnati a dire, a pontificare, a pretendere mentre il Ministero ed i Governi tagliavano risorse che davano invece alle Regioni. La legge di tutela ed il ministero stesso subivano continue riforme, tutto veniva 'decentrato' e passato in ambito locale con la creazione anche delle Direzioni regionali, organi del Ministero che avrebbero avuto il compito di coordinare tutti gli Istituti dipendenti sul territorio e le Regioni di riferimento con gli Enti locali. Non più Ministero per i beni Culturali ma Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ovvero teatro, cinema, spettacolo dal vivo, sport, tutto nell'unico calderone, grazie al Ministro Veltroni che, invece di continuare a scrivere ottime recensioni ai film sulla Repubblica, cosa che sapeva fare egregiamente, viene posto a capo dell'ambito Dicastero e decide di modernizzarlo. A questa riforma ne seguono altre fino all'ultima operata da Rutelli, dalla quale si stenta a rialzarsi, mentre si attende quella prossima ventura di Bondi, già approvata dal Governo in prima seduta lo scorso 23 dicembre. Il risultato lo sfascio totale, forse foriero di privatizzazioni, con musei ed istituti senza neanche i soldi per pagare le bollette o per affidare le pulizie. Ed un personale ancora qualificato, ormai in via di estinzione per raggiunti limiti di età, al quale si continuano a chiedere sforzi assurdi per realizzare manifestazioni di ogni genere, in ogni occasione, a costo zero. Che ancora ha la forza di farlo e di crederci, che ancora si mette in gioco, di fronte al nulla, di fronte all'insulto di un Ministro che nomina un ex paninaro a super manager dei musei, che
nell'intervista al TG1 dice che bisogna pulire i musei ( ma va? ) confondendo visitatori con clienti in una evidente gaffe. E davanti all'insulto dello stesso Ministro che, dopo averlo fatto per Pompei, pensa anche che sia meglio
commissariare l'Archeologica di Roma ed Ostia nominando, senti senti, un Bertolaso, che fornire i mezzi ad una Soprintendenza che ha saputo mantenere egregiamente un patrimonio di immenso valore. Che non sia per sfuggire ai controlli della Merloni? E che solo pochi giorni fa ha firmato con Bassolino un accordo che farà si che molti siti campani, tra cui la Certosa di Padula, passino in gestione alla Regione che, già si sa, lo farà attraverso l'ennesima società mista Regione-privato, dove le perdite sono pubbliche e gli introiti privati. Sarà fallimentare perché la Campania è quello che è e perché la cultura non paga e non può pagare in termini economici ma bensì deve essere un investimento i cui frutti si possono apprezzare in termini di sviluppo di un popolo e di investimento sul futuro della Nazione.