Renato Zero

Sognare ancora con Renato Zero da la stampa (27 ottobre)


Renato Zero nel suo tour è affiancato da un corpo di ballo composto da dodici ballerini e cambia costume ad ogni canzoneInnanzi tutto, la buona notizia. Qualche biglietto ancora c’è. Pochi pochi per le prime due date, domani e mercoledì 30 (e saranno venduti alla cassa del PalaOlimpico prima dei concerti, a partire dalle ore 18), un po’ di più per l’ultima sera, giovedì 31. Dunque, se non vi siete già muniti del lasciapassare per accedere alla corte di Renato Zero, siete ancora in tempo. Poi, alle 19 si schiuderanno le porte del palazzetto, e alle 21 il rito comincerà, per la gioia vostra e di migliaia di altri fedeli attorno a voi.  Si chiama «E allora… esageri-Amo», il tour che vede il Re dei Sorcini in trionfale processione per l’Italia, dopo l’exploit da record della scorsa primavera a Roma, quando lo spettacolo è rimasto per un mese al PalaLottomatica, inanellando quindici sold out consecutivi. Sold out che accompagnano anche il viaggio italiano dello Zero pellegrino. Dovunque lo accoglie l’adorante entusiasmo dei suoi fedeli, che nonostante il passare degli anni e delle mode non accennano a diminuire. Non c’è crisi di vocazioni, tra i sorcini. Sono piuttosto cari, i biglietti per i tre concerti che Renato Zero tiene a Torino da domani a giovedì. Si va dai 74,75 euro per i primissimi posti di platea ai 40,25 per appollaiarsi lassù, in posizione laterale, nel secondo anello. Però, con Renato Zero, se paghi sai che puoi pretendere, senza la sgradevole impressione di averci rimesso: è davvero tanta roba, ciò che ti ritrovi sul palco in cambio dei tuoi soldi. Vabbé, intanto c’è lui, Renato Fiacchini in arte Zero, 63 anni, cantante, showman, affabulatore, profeta e istrione, filosofo ignorante e artista dadà, spacciatore di sogni. Soprattutto spacciatore di sogni. Un situazionista della canzonetta che ora assurge ai vertici della poesia, ora si slancia nei gorghi del kitsch, perennemente in bilico tra provocazione e soap opera. Potete amarlo oppure detestarlo, ignorarlo mai: uno spettacolo di Renato Zero è un’esperienza totalizzante.   Beh, non solo lo spettacolo: lo spettacolo è la rappresentazione dell’uomo. Un uomo che quando gli parli non capisci mai se ci fa o ci è, e ti avvolge di parole e ti porta dove vuole lui – ammesso che sappia dove vuole andare - e magari pensi “questo è fuori”, eppure vorresti che non smettesse, che continuasse a parlare, a raccontare, a sentenziare, fino alla fine del mondo. Perché con le parole Renato Zero ti ipnotizza. Gli riesce bene pure con le canzoni: però le canzoni già le conosci, sei più attrezzato per resistergli. Sempre che tu voglia resistergli. E’ così piacevole, sprofondare nei sogni di Renato Zero.  Ad ogni modo, quello che volevo dirvi è che Renato Zero, da solo, vale la spesa. E poi c’è tutto il resto, il rutilante ambaradan dello show che il Profeta si costruisce a sua immagine e somiglianza: i costumi sfavillanti e folli che cambia praticamente ad ogni canzone, le coreografie – firmate da Bill Goodson - dei dodici ballerini che lo affiancano, il video – firmato da Alessandro D’Alatri - di «Un’apertura d’ali», brano inedito contenuto nel nuovo album «Amo». Ancor più importante è la sostanza musicale, rappresentata da una band di otto scafatissimi strumentisti – tanto per citarne qualcuno, vi dicono niente Lele Melotti alla batteria, Paolo Costa al basso, Phil Palmer alle chitarre e Stefano Senesi al piano? - e da un’orchestra di 34 elementi diretti dal mitico maestro Renato Serio. Capito? Qualità e meraviglia. Questi gli ingredienti. In che misura mescolati, dipende da Zero. E anche da voi, dalla vostra capacità di accogliere la zeritudine. Almeno per quelle tre ore e quelle trenta canzoni, nel ventre complice del PalaOlimpico. Fuori c’è la realtà, ok. Ma per una sera può attendere.