Pensieri

ha la mascella grande


ha la mascella grande ed una nuvola di capelli neri e crespi come un covone di fieno. Ride leggendo "le zie non sono gentiluomini". Non te lo aspetteresti da una che indossa una camicetta ricamata a mano, come avrebbe potuto portare mia nonna trent'anni fa. Ride da sola, incurante dei suoi compagni di viaggio, a disagio sui sedili di fronte, all'interno dello scompartimento otturato dalle cappelliere; sgranano gli occhi sotto le montature degli occhiali, stizziti, con astiosa condiscendenza. Ed io la immagino saltare agile un ostacolo in groppa ad un cavallo: cosa che non saprei mai fare perchè, quando leggo, sorrido sempre, o, al massimo, piango. Ridere esclude il tempo ed il dolore, ma non è realistico. È breve dimenticanza, come la vita. Perché ogni oggetto ti ha ferito: solo che, per fortuna, per la maggior parte del tempo, l'hai scordato; come l'asciugamano su cui, per poche volte, hai strusciato il viso. E sarebbe fantastico se la vita fosse infinita, e certi gesti non smettessero mai di ripetersi; ma, inevitabilmente, andrebbe anche tutto a puttane, e rimarremmo sempre all'inizio, che non è mai cosa da niente, semmai cosa da poco, nell'impossibilità del tutto. Ciò che qua è raggiungibile non ha niente a che fare con l'infinito ma con la moltiplicazione di ciò che si può finire. Lo stato delle cose sono queste affermazioni, questi dipinti di uomini senza volto che hanno dentro la pancia templi e resti di città greche, che non hanno voce e portano anelli in testa; aspettano che tu gridi e spezzi la loro perfezione, figlia delle tue mani, come di quelle del creatore. Ed è così che ti vedo, imprigionata nelle mura tessute dei fili di ciò che siamo stati, su cui sbattiamo la testa come una mosca sul vetro della finestra. È così che ti vedo, che mi sorridi, con le ginocchia piegate sotto i glutei bianchi, i piedi piccoli e callosi, poggiati sulle alghe morbide, dopo che ti sei tolta le mutande, beata a farti penetrare dolcemente dalle onde del mare, impotente e selvaggia come una balena agonizzante, trafitta dagli arpioni, trascinata sul ponte di una baleniera. Io sto in piedi sullo scoglio, graffiandomi la pelle. Tengo in mano l'aquilone e cerco di parlare con dio; stringo le leve dalla plancia della cabina di comando. Ma non riesco mai ad essere presente, a capire quand'è che comincia a piovere. Sono sempre in un altrove dove ogni momento l'ho portato con me, in uno zainetto McKinley; e sono solo, all'interno di una muta in neoprene, e cerco di rianimarlo con un defibrillatore, di rimettergli l'innesco come ad una mina fuori uso, affinché ne nasca qualcosa o non ne resti niente. E continuo a camminare fra l'odore di pepe e di sodio, arricciandomi su me stesso, stringendo lo sfintere come un baro, ostinandomi a rendere tutto irreale, seduto nel salone dei seminari, ad ascoltare interessato il direttore di Wired Italia che racconta del suo esercito di nativi digitali; affaccendato fra mixer, microfoni ed interfaccia audio nel tentativo di dire ancora qualcosa, sforzandomi di registrare ogni fatto, per avere qualcosa da raccontarti a sera e non sembrare sempre un fesso qualunque, con un arto mozzato. Non so se sia giusto avere delle aspettative. Il fatto è che tu ne hai. Nei sogni indossi i miei pantaloni eleganti: quelli che ho messo poche volte, con le cerniere ed i cinturini di pelle per stringerli intorno alla vita. Stasera ti racconterò della gru rimasta di traverso sulle rotaie: nella notte qualcuno ha cercato di rubarla e forse avremo qualche problema per andare a lavoro. Mi sembra essere una di quelle cose di cui parla la gente. Almeno ci spero. E ci proverò. Come al solito mi sembrerà di avere un viso asinino e mi sentirò come una pianta che ce la stia mettendo tutta per attecchire. Non so se ce la farò. Sprangherò tutte le porte delle stanze dove sono rimasto intasato nella salopette di jeans dei miei vent'anni, quando i colori non erano così saturi e non c'erano sbavature. E so che tu sarai lì, a pattugliarmi, mentre piscio mugugnando nei sanitari, con il siero per il morso delle baccanti; a sbrogliare i nodi, a volte infastidita ma tollerante di fronte alle mie strane epifanie. Resto stranito da tanta caparbietà; mi chiedo come possa venire da un corpo così delicato e fragile. E nonostante pensi che, in ogni caso, ogni volontà sia un inganno, e spesso cerchi di respingere ciò che avanza; per tutto quello che fai non riesco a perdonarmi.