Pensieri

sono intrappolato in fondo ad un pozzo


sono intrappolato in fondo ad un pozzo; sento il petto stringersi. Apro e chiudo le finestre. Avvolgo e svolgo le tende. In superficie l'erba sibila come una biscia, ma nell'oscurità posso dimenticare i miei errori. Posso sdraiarmi al buio e sparire, dimenticare perfino la strada da dove sono venuto. Queste mura hanno la barba, non sono più bianche come le pareti di casa. Un giorno, senza preavviso, con facilità, ho perso l'innocenza. A te sono venute le mestruazioni. L'aria è mefitica adesso. Il sudore mi irrora la faccia. Tiro fuori la lingua e la sfrego sopra il labbro superiore. È salato ed acido. I bambini non hanno smesso di dondolarsi sulle altalene. Mi piacerebbe poterli raggiungere se solo avessi le ali. Quaggiù, almeno, posso sdraiarmi al buio e sparire, dimenticare perfino la strada da dove sono venuto. Affondo come una pietra. Sono inzuppato fino alle ossa. L'acqua mi copre la faccia. Non ho fatto che masturbarmi oggi, per svogliatezza. Le mani finiscono per andare sull'unica cosa su cui hanno un controllo e che sa dare un piacere direzionato. È sera. Finalmente torno al mio posto. Posso sdraiarmi al buio e sparire, dimenticare perfino la strada da dove sono venuto. Ho fatto la doccia. Ho sogni che non ho mai avuto: mio fratello con un braccio mozzo conserva in un cassetto l'arto da ricucire. Ha un'espressione tranquilla mentre scende le scale. Le spalle sono ancora larghe. Il melograno alla sua destra ha fatto pochi frutti quest'anno. È stato potato. Non ho alcuna fede, nessun desiderio escatologico che non sia la fuga. Adesso posso spengere il cervello, cercare di essere meno evasivo con me stesso; non spiccicare parola. La realtà è irretita dal mio respiro. Sto scavando un canale intorno al non luogo che è me stesso sotto gli occhi gialli e vigili di una lince. L'ho incontrata dietro un cespuglio mentre camminavo, solo, attraverso un sentiero nel bosco. Ha riconosciuto la mia umanità, con occhi fissi e vacui. Non sono ancora riuscito a fare un'isola del mio isolamento. Sono ancora un'enclave, accordata a ciò che la circonda. Condivido con te una piazza liquida. Ho fatto una copia delle chiavi. Ho ancora bisogno di venirti dentro, di aspettare friabile come la rena, accerchiato dal prosimetro della vita, da stronzate di lirismi; inappagato, cercando ogni giorno il modo giusto di rivedere le cose, con ostinazione, con rancorosa appartenenza e separazione. Ma ho di nuovo le mani attorno al cazzo, oscene; sto aggrappato come ad un remo, come un uccello al ramo. Il resto non conta. Farò affluire tutto là, nell'impianto di drenaggio. Piscerò pepite d'oro. Sarò il termometro della mia febbre. È il solo modo per cambiare l'unica prospettiva, come un volano. Appena venuto puoi concentrarti sul nulla su cui hai costruito. Gli uomini proiettano il mondo in modo distorto. Ogni cosa è una incredibile immagine anamorfica. È sufficiente guardare sotto una gonna o infilare le dita in una vagina, per riconoscere un teschio attraverso l'ordito. Il sesso è un ambasciatore di morte e di vita, travestito di piacere, che è l'unica cosa che vogliamo vedere, su cui possiamo competere e commerciare, attenuando la verità. Ecco che adesso s'ammoscia. Posso ricominciare ad incancrenire. Posso sdraiarmi al buio e sparire, dimenticare perfino la strada da dove sono venuto. I denti riprendono ad annerirsi ed a marcire. Il tuo ginocchio scotta, devastato dall'artrite. Anche se sto rinchiuso qua, non sono che un frammento, un brandello d'avanzo del pasto di uno squalo. Il lavorio continua, insieme al disagio, come una distesa instabile di invertebrati sul fondo marino. Come se anche questa non fosse una perversione. Non c'è libertà dove c'è bellezza, nessuna libertà nell'istituzione della libertà. La società è un tentativo di sovvertimento che lascia immutato il centro, un premio in più per i più forti, per lo più inutile; una edulcorata giustificazione. Il tuo unico vero spazio è l'asta del tuo cazzo. Intatta fra inguine ed inguine. La sola serratura alla stanza privata della tua carneficina, dove tutto è lecito. I materassi sono permeabili. Oltre l'ombelico non c'è che evanescenza. Ho una corazza addosso su cui tutto s'infrange. Se provo a quantificare, non posso sopravvivere: quanto manca dopo che hai compiuto settant'anni; la lunghezza della strada che ci ha portato fino alla casa del rospo prima della cascata dell'Acquacheta, la via ardente all'Erebo. Immergo i piedi nel laghetto e si fanno di pietra. Gli alberi ghignano. L'acqua scroscia come l'interno del tuo stomaco. Quando scopiamo ho paura che ti si contorcano le budella. Hanno un linguaggio ermetico. Credo che la coscienza sia il rumore della realtà imballata nel sacco del cielo, la devozione ad una casuale intuizione, ad un miracolo d'equilibrio che ci tiene sulle spine e ci tormenta affinché riusciamo a portarlo avanti. Ma quanto è più naturale, quanto più pacifica la dissoluzione, la decomposizione; quanto più liberatoria l'estraneità semplice di una rapida eiaculazione, la sua invariabile cristallizzazione. Subito dopo posso coricarmi. Posso sdraiarmi al buio e sparire, dimenticare perfino la strada da dove sono venuto; ed essere presente alla vita che non sto vivendo, quella che tengo sempre da parte, nascosta, tralasciata; quella che getti il dado e ti tocca in sorte, e che magari era la più fortunata; ma che guardi con l'espressione sardonica di chi ne sa di più, con la voglia smodata di perforare oltre, di dissipare la povertà che c'è nel tuo modesto riassunto. Disunire, scomporre, sparire come quando chiudi gli occhi, come l'ultimo dei rivoletti di un torrente fragoroso. Sfrondare, assottigliare fin quasi all'invisibile è ciò che so ragionevolmente di dover fare. Essere un reietto per reiezione di ciò che si radica nella miriade di desideri artificiali, negli infiniti riverberi dell'istinto di affermazione, mutazione del principio di generazione prodotta da quella sotto classe della natura che è la società. Bisogna dare sfogo con le proprie mani al verricello della sessualità per poter essere dei suicidi vivi. Devi non essere schizzinoso e non farti prendere dalla collera. Vestiti sempre male, o almeno non alla moda. Spendi il denaro in ciò che non è ambito dagli altri. Cerca di stare fuori dall'estensione del dominio della lotta. Non sarai felice. Finirai subito divelto, sconosciuto da qualche parte. Ti ammalerai comunque. Tossirai allo stesso modo. Forse ti verrà un cancro ai polmoni e respirerai come un cavallo bolso. Le tue braccia diventeranno bianche ed emaciate, come quelle di un anoressica invecchiata che non sia riuscita a morire per raggiungere la perfezione. Se ti andrà bene, non sarai avvolto da una coperta sbrindellata. Avrai quasi sempre solo la tua mano sul tuo cazzo. Ma sarai stato te stesso.