Pensieri

le scogliere di Dover


le scogliere di Dover, sotto la pioggia, penetrano la tua schiena bruna, adultera e lussuriosa. Sono fantasmi terra di Siena su spiagge ruvide e rose, intrise di conchiglie sborrose di corpi putrefatti e umiliati; hanno il volto variopinto di un fiore mestruato, le insenature disinibite bagnate sugli orli rossi da linfe femminee, da pallidi resti di umani allunati su ossa piatte di mare. La bellezza contempla la sua pace d'inganno; mormora il loro visibile insinuarsi con l'estenuazione di un carcerato continuamente liberato, rassegnata alla costrizione di un mondo che non smette mai di sgravare la sua teoria d'ideogrammi. Le scogliere di Dover sono testicoli equini, corrono all'orizzonte nelle tue gambe in velocità e dragano la luce in reticoli fin dove finisce il mare; poi restano in presenza, esasperando le cale, intaccature di latta e sale dove sfocia l'assenza, forme svanite che anelano alla vita. Le scogliere di Dover sono un sigillo infranto, la spina dorsale, uno spartiacque flesso ed esasperato, la rabbia emersa di possesso del tempo che non conoscevo e di quello che ho posseduto, rabbia di fili elettrici tesa viva su dischi di terre tattili, promiscue, senza vestiti, sotto grovigli immacolati di carne e pelo, intricati giardini inglesi d'ogni cosa che c'è e non si accorge ma crepita del frastuono della vicinanza a qualcosa, a un passo che batta il cuore alla notte; rinserrate da acque stracolme e gibbose di cervello nella loro pelle granitica crepata di labbra umide come sconfinate colonie di vermi e, sul fondo, soffuse e imperlate della tua fica calda rosso candela, aspra melograno là all'unione verso lo spiraglio, all'apertura dell'assenza, non sai se sia concrezione salmastra o dissolvenza; ed io a ritroso autistico pellegrino, Noé ubriaco e segaiolo, invasato poeta di versi inetti e d'arte, gesto vitale, sborrata, pisciata di cane, col mio seme corruttore carnale, vena d'oro che spacca la pietra, sussurro incerto il mio delirio mentre il vento s'inarca, s'avvolge e rotea la mia introspezione, l'apre dal petto e la getta in piazza esposta ad un cielo che si specchia in una pozza al fondo dei miei polmoni. Le scogliere di Dover sono massacro e terra, bianche spatolate nella torba patetica pantomima dell'utero materno, culmine congestionato e gesto verso un orizzonte fitto di croci di cigni; sulla terra che è il massacro prima del massacro, dove si vive e si è travolti ed il segno s'accentua e grava, poi subito svanisce nel solco del serpente piumato che sibila e striscia sull'ano dell'anno. Le scogliere di Dover lontane e transitorie quanto le scogliere.  Moli teutoniche nella memoria, come un terso diaframma, un'ansia, una bianca malia, un prurito; le scogliere di Dover: la convulsione di sperma trionfale di una mare contratto, il tumore che alligna nel midollo della mia umanità.