Androyde

Muro del frastuono


Nuova musica da raccontare e far ascoltare.Album: Persona Migliore (2006)Ascolta: Muro del frastuono – leggi il testoMusica e testi di AndroydeLiberamente fruibile e diffusa in rete sotto licenza Creative Commons
Il campanile del primo paese è di modi spicci, batte le sette in sei secondi, e senza eco. Nell’altro il nome del primo è cancellato di proposito, grattato via da un vecchio cartello che sta proprio di fronte alla chiesa. C’è un silenzio che non so dire, a quest’ora: prosaico o sacrale? Piove. Si sta in macchina per un po’.Ce n'era di che occuparsi. Era cosa grossa. Gli elementi erano anche stati raccolti e pubblicati, le responsabilità denunciate, e ben prima della notte bastarda. Lo zelo fu, disgraziatamente, quello di pochi.  Di  una partigiana, classe 1926, che scriveva senza blasone e la cui voce andò persa nel frastuono nobile dei grandi editorialisti. E quindi "sciacalli!", venne scritto il giorno dopo l'onda, contro chi quelle accuse continuava a gridarle, con rabbia. La figlia del Piave scontò l'appartenenza a un foglio militante, di un combattivo color rosso sangue. E fu un peccato: aveva avuto modo di seguire tutto in prima fila, dal prologo all'epilogo. Le firme di peso erano invece rimaste fino ad allora chiuse in uffici a chilometri di distanza, uomini ignari di fondamentali retroscena, ma comunque “in dovere” di scrivere qualcosa.
È una bella responsabilità orientare un'opinione, soprattutto al cospetto di duemila morti. Rischi di farlo con miopia, sotto la spinta dei cosiddetti poteri forti, del padrone (e come vuoi chiamarlo?) che sovrasta la tua penna, o con semplice supponenza, o con candida pigrizia. Potrai dunque far calare l'oblio scrivendo che la natura è crudele e l'uomo formica, usando il mezzo che hai a disposizione, la sua tiratura imponente. Nessuno darà troppo peso alle sentenze, nel tempo a venire: due sole condanne per complessivi due anni e otto mesi dopo il terzo grado di giudizio. Scoprirai, dunque, di aver contribuito ad alimentare il rumore di quella macchina che un po' viene pilotata da mani subdole ed esperte e un po' si trascina da sola. E che continua a macinare, orientando voti e pensieri anno dopo anno, secondo norma.
Arrivo io, con un piccolo bagaglio di libri letti, i versi e la musica che ho scritto. E' mezzanotte passata. Parcheggio la macchina sulla terra della frana, dove oggi crescono alberi e corre una strada. Nei giorni belli, nelle domeniche, è pieno di turisti: la quiete bisogna saperla cercare, arrivando all’ora giusta. Sono qui perché voglio con tutte le mie forze superare la cortina e uscire dal frastuono. E quel monumento, che oggi resta in piedi e posso toccare, è la barriera che separa dal mondo gridato, presuntuoso e inquinato il teatro della verità o, se preferite, l’alveo di un silenzio di riflessione.
 
 
 
 
Immagini testo: Tina Merlin, il telegramma inviato dalla Enel-Sade ai Comuni di Erto e Casso il giorno prima della frana (esposto al museo della memoria di Erto), la prima del Corriere e una pagina del Gazzettino il 10/10/63.Immagini in basso: cartello alla chiesa di Casso, Casso dal sentiero per la diga, portale del cimitero di Erto, la diga, case di Casso, casa in rovina a Erto.Piccola bibliografia: Tina Merlin, "Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe”, 1983 La PietraMarco Paolini e Gabriele Vacis, "Il racconto del Vajont", 1997 GarzantiMauro Corona, "Nel legno e nella pietra", 2003 MondadoriMauro Corona, "Vajont: quelli del dopo", 2006 MondadoriMario Passi, “Morire sul Vajont. Storia di una tragedia italiana”, 1968 Marsilio.Videoteca: "Vajont 9 ottobre 1963 - orazione civile" di Marco Paolini e Gabriele Vacis, archivi Rai, 1997