anello di policrate

A se stesso


 Avevo sempre pensato alla mia vita come un viaggio continuo. Non importava con quale mezzo, auto, treno, nave, aereo, partissi, o quale meta ci fosse da raggiungere, perché l'importante era muoversi, essere in perpetuo movimento come un pendolo impazzito di cui nessuno sapesse dare una spiegazione, o fosse in grado di fermarlo. Era molto più facile, così, sfuggire alle quotidiane incombenze, alle decisioni affrettate, alla responsabilità ponderose, che, come spade di Damocle, pendevano sul tuo collo senza darti respiro, senza additare la sia pur minima possibilità d'uscita: in ogni circostanza bisognava essere perfetti, tutti in tiro, in perfetto agio in contesti molteplici, saper sempre rispondere in modo appropriato, ridere delle battute altrui (anche quelle più penose...), non offendersi per le frecciatine più o meno velate lanciate da menti eccelse.Ma quanto di tutto questo avesse veramente senso, non avrei saputo dirlo: avevo la sensazione di galleggiare su uno strato inconsistente di nuvole, al di sotto delle quali, mi attendeva un immenso dirupo, di cui non era possibile intravedere il fondo e cadervi dentro, scivolare sulle pareti lisce, rotolare nella polvere, non mi avrebbe fatto assolutamente niente. Perché nulla di tutto ciò avrebbe potuto scalfire la corazza acuminata che, in tanti anni avevo forgiato. Era la mia protezione, la mia estrema difesa, rocca inespugnabile, contro tutto ciò che mi feriva, che cercava, ogni volta, di trascinarmi in fondo a quel dirupo: ma io magicamente resistevo e galleggiavo.