la dirimpettaia

Il "Pastore tedesco"


Ha scritto Ratzinger (La verità cattolica, «Micromega», 2/2000): «Al termine del secondo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità». Ed ecco che veniamo al punto decisivo: quello della Verità del cattolicesimo. «Dire “abbiamo la verità” appare all’uomo moderno come qualcosa di antidemocratico e intollerante». Questa è la risposta di Joseph Ratzinger a quella che ha recentemente chiamato la «dittatura del relativismo», dove per «relativismo» egli intende un pensiero schiavo delle «mode», incostante e privo di riferimenti forti. Quali mode? Quali ideologie del male? Questo è l’aspetto più problematico della sua battaglia, poiché è sua convinzione che siano mode maligne «marxismo, liberalismo, libertinismo, collettivismo, individualismo radicale, ateismo, vago misticismo religioso, agnosticismo, sincretismo e così via». Ovvero quei sistemi di pensiero che non pongono Cristo come «misura» della Verità. Con queste parole, in un sol boccone, nella sua Pro eligendo Romano Pontefice, Ratzinger si è sbarazzato dei nemici tradizionali del cattolicesimo (marxismo, ateismo, libertinismo, agnosticismo), il che non scandalizza, ma anche di nemici più inaspettati: la tradizione liberale tout court, compreso il grande «liberalismo cattolico», e il sincretismo, senza il quale il cristianesimo non si sarebbe mai configurato com’è adesso.  La «dittatura del relativismo» è per Ratzinger la cifra della modernità, che pone «il proprio io e le sue voglie» come misura ultima dell’esistenza umana. Quel «relativismo» che considera «una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa» alla stregua del «fondamentalismo». Quel relativismo che considera rispettabile solo quel pensiero che afferma che nulla è vero, ma tutto relativo. Ratzinger ha spiegato la modernità relativista con la parabola buddhista dell’elefante e dei ciechi. Si narra infatti che un antico re dell’India del Nord, in un antico tempo, riunì diversi ciechi al cospetto di un elefante, e fece toccare a ognuno degli astanti una parte di esso: chi la proboscide, chi la zanna, chi le zampe, chi il dorso... Dopo che tutti i ciechi ebbero toccato l’elefante, il re chiese: «Com’è fatto un elefante?». Ovviamente i ciechi risposero secondo la parte che avevano toccato: «è come un cesto intrecciato», «è come l’asta di un aratro», «è come un magazzino», «è come un pilastro». Ognuno diceva la sua. Prima pacatamente, poi tutti si adirarono gli uni con gli altri e si presero a pugni davanti al re, che rideva divertito. Così è la modernità secondo Ratzinger: una zuffa continua tra persone che non “hanno la Verità” ma si accontentano dell’opinione più di moda. Con una differenza rispetto all’aneddoto, però: lì il vecchio re dell’India del Nord ride come un pazzo a vedere la zuffa, mentre Joseph Ratzinger non trova proprio nulla da ridere. Anzi: ritiene necessario interrompere la zuffa e insegnare ai litiganti che c’è una Verità, una misura del «vero umanesimo»: Cristo, in cui coincidono verità e carità. Il «buon cristiano», quindi, secondo il monito di San Paolo, deve «fare la verità nella carità», che è la «formula fondamentale dell’esistenza cristiana».  Il Novecento, come ben sa Ratzinger, si è aperto con le terribili parole di Friedrich Nietzsche: «Dio è morto», attacco frontale alla grande tradizione metafisica occidentale. Dopo Nietzsche, tutti gli altri: Heidegger, l’ermeneutica di Gadamer, il decostruzionismo di Derrida, l’epistemologia di Popper, la teologia della liberazione di Betto e Boff, la teologia morale di Curran (secondo il quale è lecito dissentire dall’autorità per quanto concerne l’omosessualità, la contraccezione, il divorzio). Una serie drammatica di attacchi frontali alla tradizione metafisica e al dogma cattolico, come se l’Occidente tutto si fosse schierato contro la Chiesa. Non è un’esagerazione: sono parole di Ratzinger, che in un’intervista concessa ad Antonio Socci per Il Giornale, così si espresse: «Mi sembra molto significativo che al momento l’Occidente europeo sia la parte del mondo più opposta al cristianesimo, proprio perché lo spirito europeo si è autonomizzato e non vuole accettare che ci sia una parola divina che gli mostra una strada che non è sempre comoda».  Ecco perché Benedetto XVI. Non solo per il richiamo a Bendetto XV, il Papa che definì «inutile strage» la Prima Guerra Mondiale, ma soprattutto Benedetto da Norcia, padre del monachesimo, il cui Ordine (fondato sulla celeberrima Regula, «ora et labora», cui si è richiamato l’«umile lavoratore» Ratzinger) si diffuse in tutta Europa, grazie a monaci canonizzati e alla tutela di Gregorio I Magno, papa e benedettino. Carlo Magno potè costruire l’unità politica del Sacro Romano Impero proprio grazie all’unità religiosa che i monasteri benedettini avevano assicurato all’Europa. Già, proprio quell’Europa oggi relativista che Joseph Ratzinger, novello Benedetto, vuole riconquistare. Non ce la farà, come non ce l’ha fatta Wojtyla, ma sarà pronto a combattere fino all’ultimo. Se questo sia un bene o un male, però, lo diremo poi.