UNA DONNA PERDUTA

Sillaba di Dio non si cancella


Se c’è stato un uomo per me ripugnante quello era Gabriele D’Annunzio. Non lo era solo di fisico: piccolo, pelato, gracile, con gli occhi da rospo e quei ridicoli baffi a manubrio, lo era ancor più di anima e di cuore. Un uomo fatuo, egocentrico, narcisista, libertino, ampolloso, megalomane, bugiardo. Viveva di grandi pose e consumate recite da teatrino di periferia, di auliche prose e di poetiche iperboli, ma soprattutto viveva di raggiri in particolare ai danni di quelle poverette che, inspiegabilmente, lo amarono. Fosse rimasto l’unico uomo sulla Terra mi sarei fatta monaca di clausura. Eppure tante donne persero la testa per lui … e lui per loro. Le ammaliava con frasi ricche di suggestive enfasi  e di sublimi artificiosità … e le rintontoniva de buscie, come cantava Nino Manfredi. L’unica che lo respinse fu Tamara de Lempicka che, un po’ perché lesbica e un po’ perché pittrice raffinatissima poteva mai accettare di mischiarsi a un tale scarabocchio? Quando conobbe Eleonora Duse lui era un giovanissimo imbrattacarte senza una lira mentre lei era già un’affermata attrice di teatro, ricca e famosa in tutta Europa. Cosa si dissero quella notte a Venezia passeggiando fino all’alba tra calli e campielli non si sa, ma da quel momento scoppiò tra loro una passione travolgente che, per la verità, travolse più lei che lui. D’Annunzio, che era perennemente al verde e indebitato fino al collo perché da megalomane qual era  spendeva e spandeva senza ritegno, veniva foraggiato dalla sua Musa e la ripagava creando per lei pièce teatrali che la Duse recitava in tutti i teatri ma che riscuotevano un ben misero successo.  Sogno d’un mattino di primavera e La Gloria furono fiaschi clamorosi che mortificarono l’attrice ma non scalfirono minimamente la estrema presunzione e la stima che il Vate aveva di se stesso. E intanto proseguiva incessante nella ricerca di “rose” femminili dove poter sbrigliare il “gonfalon selvaggio” (che se mi si fosse mai presentato uno che chiamava il suo attrezzo “gonfalon selvaggio” minimo minimo lo avrei cacciato di casa senza mutande). Ma era un’unione troppo sbilanciata: tanto amore e tanta dedizione da parte di lei e indifferenza amorosa e interesse materiale da parte di lui. Lei capì e se ne allontanò. Quando tempo dopo si rincontrarono, lui da perfetto imbecille le si gettò ai piedi esclamando “Ma quanto mi avete amato!” e lei, impeccabile e arguta, gli rispose “ Ma non potete immaginare quanto vi abbia dimenticato!”. Si sarebbero rivisti per l’ultima volta pochi giorni dopo quando lui cadde da una finestra e lei, nonostante tutto, accorse al suo capezzale. Poi lui riprese la vita sfarzosa di sempre tra “rose”, balli, cacce alla volpe, concerti e intanto inzeppava di orpelli e cianfrusaglie immonde la sua casa ivi compreso l’aereo con cui sorvolò Vienna, in un’accozzaglia di drappi e velluti, ricchi premi e cotillon. I ricchi premi erano naturalmente quelli che gli donavano le sue facoltose amanti. Il 1° marzo 1938, a 75 anni, mentre si preparava ad andare a cena, fu fulminato da un ictus. Chiamò aiuto invano, nessuno lo sentì. Forse perché per la prima volta si era dimenticato di recitare.