UNA DONNA PERDUTA

Vittima esemplare di una giustizia ingiusta


La città magica per eccellenza é Torino, ma anche a Roma quanto a fantasmi non stiamo messi male. Il più amato è senza dubbio quello di Beatrice Cenci che tanti giurano di aver visto vagare nei pressi di Castel S. Angelo alla ricerca di una pace che non troverà forse mai. Beatrice Cenci era una giovane nobildonna romana costretta a subire gli attacchi incestuosi di un padre violento e brutale che maltrattava moglie e figli e che si abbandonava a ogni sorta di depravazione. Tra l’altro aveva  sodomizzato e poi ucciso un bambino e aveva evitato il carcere sborsando un bel po’ di scudi (anche allora!). A niente valsero le denunce di Beatrice alle autorità finché, esasperata e disperata, convinse la madre, i due fratelli, un servitore e il suo amante Olimpio a uccidere il miserrimum patrem et infelicissimum maritum. E così fu. Lo drogarono, gli sfondarono il cranio, gli spezzarono le gambe, gli  piantarono una lunga canna negli occhi e nella gola e ne gettarono il cadavere giù da una rupe per far credere a un incidente. A seguito delle indagini condotte dalla gendarmeria pontificia l’intera famiglia e i due complici vennero arrestati e processati. Nonostante l’accorata difesa dell’avvocato Prospero Fornaciari, uno dei più grandi dell’epoca, furono tutti condannati a morte. Inutile fu la richiesta di clemenza avanzata al papa Clemente VIII che tanto clemente evidentemente non era e che la respinse per poter entrare in possesso dei beni della famiglia. Fu risparmiata la vita solo al fratello piccolo ma gli furono confiscati tutti i beni e fu comunque condannato ad assistere all’esecuzione e alla pena dei remi perpetui nelle galere pontificie. Le donne furono tradotte nelle tristi carceri di Corte Savella dove furono sottoposte alla tortura della corda e dove ancora oggi, in via di Monserrato, un’iscrizione ne ricorda la detenzione. L’amante di Beatrice fu torturato, ma non denunciò la sua donna (chi omo!) e il fratello maggiore, torturato con tenaglie roventi, fu condannato allo squartamento e i brandelli del suo corpo furono esposti a monito. (Bisognerà aspettare due secoli prima che Cesare Beccaria denunci come barbara la pratica della tortura, ma ancora oggi non s’è mica capita bene …)  L'esecuzione di Beatrice, della matrigna e del fratello avvenne l’11 settembre 1599 e fu seguita da una folla enorme. Erano presenti tra gli altri il Caravaggio, Orazio Gentileschi e sua figlia Artemisia. La giornata molto afosa e la calca provocarono la morte di molti spettatori e alcuni caddero e affogarono nel Tevere. Dice Beatrice nella sua confessione: “La mia unica colpa è di essere nata. Io sono come morta e la mia anima non riesce a liberarsi” e infatti la sua anima, prigioniera della sua miseria, aleggia ancora davanti a Castel S. Angelo e molti assicurano di averla vista errare con la testa sotto braccio, nelle notti tra il 10 e l’11 settembre di questi ultimi 400 anni.