UNA DONNA PERDUTA

Carnevale a Roma


Già gli antichi Egiziani festeggiavano il Carnevale e anche nell‘antica Grecia veniva festeggiato e dedicato al Dio del vino, Dionisio. Nell‘antica Roma le feste che annunciavano l‘arrivo della primavera erano addirittura due, i Saturnali e i Lupercali. Il massimo splendore del carnevale romano fu però raggiunto nel 1500 d.C.  divenendo nel Rinascimento più famoso di quello di Venezia. Una festa di strada che durava otto giorni e che si svolgeva dapprima a Piazza Navona, poi a Monte Testaccio con la ruzzica de li porci (lancio dei maiali attaccati al carretto lungo i pendii del monte), infine a Via del Corso. Ogni anno si attendeva l’editto papale per dare inizio alla grande festa, con sfilate in maschera, carri allegorici, giostre, canti, balli, lanci di “confetti” (pallottoline di gesso colorate) e di “sbruffi” (gli attuali coriandoli), di arance, mele e rape (proibite da Papa Sisto V per la loro pericolosità), sontuosi banchetti pubblici e un numero impressionante di corse: dei Ragazzini, degli Asini, dei Bufali, degli Zoppi, dei Deformi, dei Nani, degli Ebrei anziani e quella degli Storpi … sostituite nel 1667 da Papa Clemente IX con la Corsa dei Cavalli Berberi. Spettacolari erano i tornei cavallereschi, prettamente medievali a Piazza Navona. Oltre al notabile, al mendicante, alla popolana … le maschere romanesche, indossate per liberarsi della propria faccia e, come scrisse Gianni Rodari, per “veder la faccia vera / di tanta gente”, erano ispirate ad ospiti d’eccezione come Rugantino, Meo Patacca e Pasquino, maschere ispirate al tipico popolano romano, spaccone ed arrogante, timorato di Dio ma non del papa, che viveva sempre sul filo del processo e del rogo. La natura spontanea, voluta e popolare della festa nel 1788 fu descritta da Goethe come “una festa  che il popolo offre a sé stessa. Il governo non fa né preparativi né spese. Non illuminazioni, non fuochi artificiali, non processioni splendide, ma un semplice segnale che autorizza ciascuno ad essere pazzo e stravagante quanto gli pare e piace, ed annunzia che, salvo le bastonate e le coltellate, tutto è permesso”. Del resto il Carnevale era per il popolo romano, oppresso dagli stenti quotidiani, una vera e propria valvola di sfogo alla quale rinunciava malvolentieri, tanto che la morte di Papa Leone XII (già di per sé malvisto), avvenuta durante il Carnevale del 1829, si meritò la pasquinata: “Tre dispetti ci festi, o PadreSanto: accettare il papato, viver tanto e morir di Carneval per esser pianto”. L’ultimo giorno del Carnevale, la Festa dei Moccoletti, accendeva le strade della capitale di tante luci, e tra la folla di romani muniti di candela o lanterna, ognuno doveva cercare di spegnere la candela alla persona di sesso opposto. Con il moccoletto spento ci si toglieva la maschera, il carnevale moriva, i romani tornavano ad essere i cittadini di sempre, e il mercoledì delle ceneri segnava il primo giorno della Quaresima. (dal web)