Negli angoli di casa

Afasica


Si dice, mi hanno detto, o forse me lo sono inventato io, che quando parli un'altra lingua sei un'altra persona. In parte, non so se solo metaforicamente, è vero.Quello che è sicuro è che il cervello vive ogni giorno sotto sforzo. Perché per quanto la si sappia bene, un'altra lingua utilizza (se non mi sono inventata anche questo) un'alta parte del cervello. E' come quando inizi ad andare in bicicletta: per quanti chilometri tu abbia macinato a piedi, i muscoli delle gambe fanno male.E come quando si scende dalla bici dopo un lungo giro di iniziazione, l'unica cosa che si ha voglia di fare è sbragarsi sul letto e chiedere a qualcuno di allungarti il posacenere o la bottiglia.Poi quando si cammina a piedi, non è più lo stesso. Non è mai più lo stesso. Non è una questione di velocità, e neanche di fatica. E' più quella cosa che ti scatta quando tutto ti sa di già visto, già vissuto, da abbandonare.Solo che quando parli un'altra lingua quello che dovresti archiviare, per coerenza di metafora, è un po' più che un modo di locomozione. E non è né facile, né, tutto sommato, giusto. Così quel che rimane è la stanchezza, la poca voglia di raccontare, che è poi poca voglia di tradurre (lo faccio già diverse ore al giorno, controvoglia).E di tutti i buoni propositi di scrittura rimane quello che resta quando di fronte alla vita ti dici che avresti dovuto "fare di più". Un'alzata di spalle e qualche rimorso sfiancato, da scacciare con una manata come una mosca d'autunno.