L'angolo di Jane

La lince - Silvia Avallone


Titolo: La lince Autrice: Silvia Avallone Casa editrice: Corriere della Sera pag: 62 costo: 1euroNote: Il libro fa parte della collana "Inediti d'autore" acquistabile unicamente in edicola con "Il Corriere della Sera"
Il secondo inedito d'autore pubblicato da "Il Corriere della Sera", che sta proponedo brevi racconti di noti autori italiani allegati agli inserti del quotidiano, dopo "Super Santos" di Roberto Saviano (recensito nel post n° 646) è riservato a Silvia Avallone, giovane scrittrice vincitrice di un premio Campiello per la migliore opera prima nel 2010 per "Acciaio", romanzo ambientato nella provincia Livornese che le è quasi valso anche il premio Strega nello stesso anno (si classificò seconda dopo Antonio Pennacchi).Non ho letto "Acciaio" e pertanto non posso fare confronti fra il romanzo e il  racconto "La lince". L'esperienza mi insegna che raramente buoni scrittori di romanzi sono altrettanto bravi nel racconto breve, quindi, poiché "La lince" non segnerà certo una pietra miliare nell'arte del racconto, suppongo (e spero) che "Acciaio" sia migliore de "La lince".L'ambientazione è questa volta la provincia piemontese dove Piero ( la nostra lince),trentanovenne ladro professionista, si infatua, nel corso di una rapina in autogrill, di Andrea, diciottenne biondo e androgino,  malmenato nell'infanzia, che ascolta Marilyn Manson e tiene appeso in camera un poster di Lady Gaga ed è quindi l'emblema del giovane e attraente disadattato (a voi decidere se è perché lo hanno picchiato da piccolo o per il poster).  Galeotta (è il caso di dirlo) è la richiesta di un telefonino nel bagno dell'autogrill, prestato da Piero (ladro gentiluomo) ad Andrea.Poiché nel racconto non accade niente di niente, a parte la relazione fra Piero (fino a cinque minuti prima eterosessuale) e Andrea, suppongo che il racconto aspiri a scioccarci per il fatto che un uomo trentanovenne possa improvvisamente prendersi una scuffia omosex. Questo potrebbe forse accaderci se fossimo Maria, ovvero la moglie di Piero, donna remissiva e religiosa, dedita al punto croce, rassegnata per aver sposato un mascalzone, che vede entrare ed uscire il marito dal carcere, senza nemmeno la consolazione di un figlio (già, perché a quel punto capiremmo perché lui aveva sempre il mal di testa...). Diversamente sperduti nella non-trama del racconto, concluderemmo chiedendoci: "Ma a chi stava telefonando Andrea nel bagno dell'autogrill?" .Inquietante il finale, in cui dopo essere stato scaricato da Andrea, Piero, che prova spesso una specie di tenerezza genitoriale per il giovane amante, riflette su un un fatto: Il ragazzo non ce l'aveva una Maria a casa, che ti pulisce, ti stira e ti cucina. E anche se non ti sembra niente pero è già qualcosa.Il ragazzo aveva una stanza vuota.Ed era stato la cosa più bella della sua vita."Sai cosa penso a volte Maria?""Dimmi""Che abbiamo sbagliato a non avere figli.gettando forse le basi per altri preoccupanti storie di provincia...Se l'obiettivo era quello di creare pathos attorno ad una storia di passione non convenzionale, scavando nella psicologia dei personaggi, temo sia clamorosamente fallito: eros e passione non pervenuti.La storia è inoltre infarcita di cliché: dal ladro che ruba perchè l'adrenalina lo fa sentire "una lince", al disadattato adolescente, trendy e cellulare-dipendente, fino alla perla, cioè Maria, che è quasi una Maria Goretti della situazione, bovinamente buona e totalmente priva di attrazione fisica, che ha, tanto per farci comprendere bene quanto poco piaccia a Piero, anche hobby che nell'immaginario comune sono l'antitesi delle occupazioni che rendono sessualmente desiderabili, cioè il punto croce ed i il mezzo punto di soggetti religiosi (sia chiaro che io non condivido questo banalissimo punto di vista e ricordo a tutti che Winston Churchill, primo ministro inglese durante la seconda guerra mondiale, lavorava a maglia per distendere i nervi).Il racconto inoltre ha una certa disomogeneità di stile: si passa dall'aulica descrizione iniziale di un pezzo di autostrada in cui "gli unici fari nel fiume nero dell'autostrada, solitari come due stelle, erano i suoi" in "una delle tanti notti, tutte uguali, che gallegiano come petrolio nella landa muta tra Novara e Vercelli", per poi passare ad un linguaggio basato su un italiano colloquiale ed estremamente informale, non sempre elegante (tendenza questa che va per la maggiore e che mortifica secondo me la bellissima lingua italiana).Nonostante tutto però, ritengo che se Silvia Avallone si dotasse di un buona trama e lasciasse perdere la descrizione di realtà che evidentemente non sono le sue e che la portano quindi a costruire un mondo di cliché, potrebbe certamente produrre lavori migliori, perché non è tutto sommato una malvagia scrittrice e si intuiscono, nonostante questo racconto sia piuttosto insipido, delle potenzialità (che a questo punto spero vivamente siano state sviluppate in "Acciaio").