L'angolo di Jane

Alla mia sinistra - Federico Rampini


Titolo: Alla mia sinistra. Lettera aperta a tutti quelli che vogliono sognare insieme a me Autore: Federico Rampini Casa editrice: Mondadori pag: 240 costo: 18,00 €
Federico Rampini, giornalista a lungo corrispondente dall'estero in Asia e in America, dichiara di avere scritto "Alla mia sinistra" come un dovere verso i propri figli ventenni che dovranno affrontare, insieme a tutti quelli della loro generazione (e non solo, aggiungo io), un mondo occidentale travolto da un crisi economica senza precedenti.Lo scrittore si chiede  cosa non abbia funzionato nelle politiche intraprese nei decenni che hanno preceduto questo travagliato inizio secolo e sopratutto perché "la sinistra", alla quale Rampini si rivolge nel titolo, non abbia saputo svolgere con efficienza il proprio ruolo di difesa delle parti sociali più deboli e dell'intero sistema in generale. Cosa è andato storto, insomma?Lasciatemi dire che il libro potrebbe essere anche intitolarsi "Alla mia destra" o "Al mio centro" o meglio ancora "A chiunque si senta italiano", perché l'analisi di Rampini non è poi molto ideologica : illustra come siano state affrontate le questioni politiche e sociali in varie zone del mondo, dall'America alla Cina, al Brasile, raffrontando le ricadute di scelte differenti sulle varie economie.Seguendo un tipico metodo pragmatico americano, Rampini osserva "cosa ha funzionato" e "dove", o al contrario cosa è andato storto, alla ricerca di un sistema replicabile anche in Italia.Il libro ribalta molti stereotipi su paesi che siamo tradizionalmente abituati a considerare come su un gradino leggermente inferiore in termini di sviluppo economico a quelli del blocco occidentale: se un tempo Cina, India, Russia o Brasile evocavano immagini di arretratezza, sono proprio queste oggi le nazioni che hanno i maggiori successi nella crescita economica, tecnologica e scientifica.In questi ultimi anni ci hanno parlato di "crisi economica mondiale", ma secondo Rampini non è affatto così: questa è una crisi del mondo occidentale, ovvero Europa + America + Giappone.Tutti gli altri a quanto pare non arrancano dietro a spread impazziti, borse depresse e disoccupazione galoppante, al contrario godono di trend positivi. Cosa hanno fatto loro che noi abbiamo dimenticato di fare?La risposta non è per niente semplice: alcune di queste potenze emergenti hanno regimi, come quelli cinesi, in cui le libertà personali sono incredibilmente limitate e i diritti dei lavoratori sono minimi. Secondo Rampini il successo dei BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) non si spiega semplicemente con la teoria della "flessibilità", ovvero dell'annullamento dei diritti fondamentali.I quattro Paesi poi hanno sistemi politici differenti, praticamente opposti: India e Brasile sono democratiche, Cina e Russia sono basate su oligarchie comuniste (il loro sistema di voto ricorda terribilmente il nostro, visto che il popolo non può scegliere  i candidati, ma li subisce).Quello che hanno in comune queste nazioni è di aver avuto una politica che, perfino se più che evidentemente corrotta, non ha mai smesso di essere nazionalista: molto denaro è stato investito in ammodernamenti, nell'istruzione, nel migliorare la sanità pubblica. L'industria è stata sviluppata in questi paesi n modo da essere obbligata a sfruttare le risorse interne, piuttosto che correre là dove più conviene (certo da loro conviene parecchio, non c'è dubbio). La classe politica ha dovuto rendere conto della propria efficienza: sono stati promossi solo quelli che hanno dati risultati positivi.La crisi che stiamo attraversando in occidente, secondo Rampini, è diversa da quella del 1929 per un motivo fondamentale: allora Roosevelt, in America, riuscì a convincere i grandi capitali che o salvavano anche tutti gli altri o sarebbero andati a fondo anche loro. La globalizzazione, insieme alle fabbriche trasferite dall'oggi al domani, era ben lontana.Oggi invece, un capitalista occidentale non ha nazione, non ha colore: rappresenta solo il proprio denaro, che va là dove può rendere di più. Rampini cita, come esempio di questo nuovo capitalismo senza frontiere, Marchionne, amministratore delegato della Fiat che, ben lungi dal rattristarsi dal declino del tricolore, minaccia continuamente di delocalizzare gli apparati produttivi.Di fronte a questa labilità delle risorse interne, la politica occidentale, a tutti i livelli, ha avuto la colpevolezza di avere assecondato il "mercato", la grande finanza, nell'illusione che tutto quello che il mercato voleva fosse intrinsecamente buono: un gioco nel quale potevano vincere tutti. Non è stato così, ce ne siamo accorti, purtroppo, solo quando ormai era tardi.Obama stesso, il cui operato Rampini analizza a fondo, come pure molte delle scelte politico-economiche statunitensi degli ultimi settanta anni, è arrivato probabilmente troppo tardi per invertire la tendenza già innescata dai suoi predecessori, in un paese che non vuole altri sacrifici, anche perché non è mai stato abituato a farli.Il volume di Rampini tratta in maniera molto chiara argomenti veramente difficili, certamente ancora poco noti, dell'evoluzione delle economie mondiali e ha il pregio di non avere niente della freddezza che spesso accompagna simili analisi. I diversi paesi sono descritti soprattutto attraverso aneddoti ed esperienze personali piuttosto che mediante un elenco di dati, dando al lettore il piacere di assaporare anche un po' dello spirito che sta animando i cambiamenti in tutto il pianeta, che siano essi positivi o negativi.Il libro spazia attraverso molti temi, decisamente in numero maggiore di quelli che mi è possibile citare in questa recensione, in cui mi sono limitata a rendere conto di quelli che mi hanno maggiormente colpita e merita davvero una lettura se si vuole conoscere un po' più a fondo come si sta organizzando, e rivoluzionando, il pianeta.