L'angolo di Jane

James Joyce e il copyright


Dal 13 Gennaio 2012 tutte le opere pubblicate di James Joyce hanno cessato di essere sotto copyright e sono liberamente pubblicabili da chiunque, con il solo vincolo di indicarne sempre correttamente l'autore (quindi chiunque può diffondere liberamente le opere di Joyce, ma nessuno può farle passare per proprie).La legge sul copyright dei libri vale infatti fino a 70 anni dopo la morte di un autore e James Joyce morì il 13 Gennaio1941: una volta entrati nel settantunesimo anno dalla morte, le sue opere sono diventate quindi di pubblico dominioSicuramente il 2012 sarà un anno che vedrà molte ripubblicazioni di opere di Joyce, da "Gente di Dublino" a "Finnegans Wake", così come di Virginia Woolf ("La signora Dalloway", "Orlando", "Gita al faro", etc.) morta proprio nello stesso anno, ma il 28 Marzo.Forse qualcuno ricorderà che qualche anno fa, fino al 1996, fa i libri di James Joyce avevano già cominciato a circolare liberamente, venduti per poche migliaia di lire, per poi nuovamente divenire appannaggio di pochi editori. Fu infatti nel 1996 che la legge sul copyright venne estesa anche in Italia a 70 anni, causando non poche polemiche: molti libri precedentemente pubblicati liberamente sparirono dalle librerie.James Joyce però continua a far discutere sul copyright anche dopo che, con ogni evidenza, la legge sul copyright è definitivamente scaduta in gran parte del mondo.E' nata infatti una controversia fra i custodi di uno scritto privato di Joyce ed una casa editrice irlandese, la Ithys Press, che ha provveduto prontamente a pubblicare, non appena scattati i fatidici 70 anni previsti dal diritto internazionale, una edizione di lusso, da 300 €, di un racconto inedito di Joyce, dal titolo "The Cats of Copenhagen" (I gatti di Copenaghen), una favola racchiusa in una lettera, datata 5 Settembre 1936, indirizzata al nipotino Stephen James Joyce, di soli quattro anni, uno scritto quindi di natura squisitamente privata. Nella lettera Joyce, che aveva precedentemente spedito al nipote un pupazzo a forma di gatto con uno scomparto segreto pieno di caramelle, raccontava al bimbo di una immaginaria Copenaghen in cui le cose non erano mai come sembravano e i gatti di quel tipo erano scomparsi.La lettera, passata di mano in mano fra i vari eredi, era poi stata donata al Fondazione James Joyce di Zurigo.Il punto in questione è il seguente: la legge sul copyright vale anche per le opere non pubblicate e gli scritti privati? Si può ritenere cioè che uno scritto privato, anche se redatto da uno scrittore ed assimilabile ad un'opera compiuta, diventi di pubblico dominio, purché siano passati oltre 70 anni dalla sua morte?La questione è spinosa e la legge sul copyright non dà forse chiare risposte in merito: la fondazione elvetica dedicata a James Joyce è assolutamente indignata che lo scritto sia stato diffuso senza permesso, mentre la Ithys Press ritiene di avere pienamente diritto alla pubblicazione, come previsto dalle leggi vigenti.Il punto alla base della controversia fra i due contendenti non è irrilevante per nessuno di noi: quando ciò che scriviamo smette di essere di nostra proprietà e quando invece chiunque potrebbe diffonderlo?Personalmente ritengo che la diffusione delle opere di Joyce sia corretta, visto anche il fatto che la lettera era già stata resa accessibile al pubblico, sebbene non pubblicata come scritto in sé.Ma la questione è più ampia e non riguarda solo gli scrittori di professione, infatti oggi molti di noi scrivono su internet nei blog, forum, su facebook, su twitter e su una miriade di social network.Ognuno di noi non sta scrivendo, in linea di massima, "opere"  intese per la pubblicazione a mezzo stampa, eppure se il principio usato per la lettera di James Joyce fosse esteso a tutti noi, allora anche i nostri scritti privati, ma resi pubblici dal mezzo, potrebbero entrare nel "dominio comune" ed essere pubblicati e diffusi da chiunque. Certo, solo a 70 anni dalla nostra morte, quindi difficile preoccuparsene troppo, come difficile pensare che possano poi interessare tante persone.Ma se ai nostri discendenti la cosa non stesse bene? Se non volessero rivangare vecchie storie di famiglia? Indubbiamente si tratta di questioni che la legge dovrà trattare più estesamente in futuro, non solo riguardo agli scrittori professionisti, ma anche a tutti coloro che, per i più svariati motivi, scrivono pubblicamente: se un tempo questa era una limitata porzione di umanità, oggi con il diffondersi dei social network, si può certamente parlare di fenomeno di massa.