L'angolo di Jane

A criticare sono buoni tutti: evoluzione darwiniana della critica letteraria.


Si è discusso molto nelle ultime settimane di una dichiarazione rilasciata da Sir Peter Stothard (qui un articolo de La Stampa che ne parla), ex-direttore del supplemento letterario del Times, riguardo ai pericoli della critica letteraria nata spontaneamente nel web.Le parole di Stothard sono state: “I bookblogger possono uccidere la critica letteraria e rovinare la letteratura”
Per quanto mi riguarda posso dire che sono d'accordo a metà con questa dichiarazione. La prima parte è  parzialmente rispondente a verità: i bookblogger possono uccidere la critica letteraria tradizionale e professionistica, non c'è dubbio.La critica non professionistica è un autentico virus, una malattia pericolosissima che ha i seguenti sintomi: quando se ne viene contagiati lascia in piedi solo i più forti, quelli che amano davvero i libri e con una immunità naturale contro le critiche prezzolate e le piaggerie cortigiane.La forza dei bookblogger sta principalmente nel fatto che leggono solo libri che vorrebbero davvero leggere, testi verso cui non sono né distaccati, né indifferenti e da cui si aspettano sempre grandi cose.Chi non legge per lavoro, vuole in primo luogo amare ciò che legge o perlomeno sentire di non aver  sprecato del tempo nella lettura. Se queste aspettative vengono deluse, allora un bookblogger, in linea di massima, non si farà scrupoli ad esprimere il proprio disappunto e le sue cause, visto che non ci sono case editrici e inserzionisti pubblicitari a cui rendere conto.In secondo luogo i bookblogger scrivono con una idea ben precisa in testa: far capire esattamente cosa pensano di un libro, cercando di essere il più chiari possibile, con un linguaggio diretto e semplice. Inoltre, poiché un bookblogger sa di non essere l'unica una autorità suprema della letteratura, non tralascia di solito di far capire che il suo è un parere espresso in maniera personale.Una critica non professionistica ha una caratteristica fondamentale, che la rende totalmente diversa da una professionistica: non esclude mai la personalità del lettore, parla del libro, ma parla anche del lettore. E' una critica in linea con le maggiori scoperte della fisica moderna: non si può mai prescindere dall'osservatore. In questo senso è una critica percepita forse come “più onesta”, proprio perché non vanta di essere definitiva, assoluta e valida per tutti. Infine, fatto non trascurabile, è una critica aperta alle critiche: tutti possono esprimere il proprio parere su articolo scritto nel web su un blog, commentandolo, contraddicendolo, se si vuole, punto per punto.La critica professionista legge non ciò che ama, ma ciò che gli viene sottoposto ed esprime la propria opinione in maniera forse più articolata e analitica, ma tralascia spesso un elemento fondamentale: il lato emotivo, la felicità che si è provata leggendo, il trasporto verso un mondo “altro”, quello della lettura, che quel libro specifico è in grado di comunicare.I lettori non vogliono leggere trattati sui libri, simili alla relazione di un anatomo-patologo su una autopsia. I libri sono vivi, non roba morta. Inoltre i lettori non sono sciocchi e se qualcuno parla molto bene o molto male di un libro, solo perché è amico o nemico di qualcuno, come può accadere a chi lavora professionalmente nel mondo dell'editoria e ha in esso una serie di relazioni, la cosa viene sempre fuori non appena si ha davvero il libro in mano e siccome, come già detto, i lettori non sono freddi, se ingannati, finiscono per arrabbiarsi.La critica professionistica ha in mano molte armi per sopravvivere: buona capacità di scrittura, possibilità di accedere con largo anticipo ai libri e di parlare addirittura con gli autori per capirli meglio, archivi di ricerca molto più vasti di quelli a disposizione di un bookblogger qualunque.Però senza onestà e amore per i libri, la critica professionistica può morire, non ho dubbi.Veniamo ora al secondo punto, cioè che i bookblogger possono uccidere la letteratura.No, miei cari critici, state tranquilli, anzi serenissimi.Non possiamo. E sapete perché?Perché non può farlo nessuno, nemmeno voi.La critica non guida la letteratura, la letteratura ha una sola guida: la vita.Critici e bookbloggers dovrebbero capire una cosa fondamentale: parliamo di libri perché ci piacciono i libri, non perché li facciamo. E' una cosa che serve a noi, non agli scrittori o alle loro creazioni. Che ci crediate o no, siamo come bambini che vogliono mostrare agli altri le cose belle che li incantano o quelle brutte che li turbano. Parliamo di noi stessi e di come i libri ci facciano sentire o abbiano ampliato il nostro modo di pensare.Se per caso uno scrittore ne resta influenzato, non sarà certo perché gli abbiamo detto di fare un po' più caso alla punteggiatura o allo stile, ma perché leggendo noi che leggiamo quel che ha scritto, ha trovato un nuovo spunto, un'idea che fluttua nell'aria, che in quel momento tiene in fermento la nostra umana società.E se credete differentemente, mi dispiace, ma credo vi stiate solo illudendo.