L'angolo di Jane

Panino al prosciutto - Charles Bukowski


Titolo: Panino al prosciutto Titolo originale: Ham on Rye Autore: Charles Bukowski Traduzione: dato non disponibile Casa editrice: Guanda pag: 327 costo: 16 euro Nota: esiste attualmente anche una versione più economica di questo libro pubblicata da TEA
Chiunque voglia conoscere a pieno Charles Bukowski, e capire fino in fondo tutto quello che ha finito per trasformare il semplice americano di origine tedesca Heinrich Karl Bukowski nel mitico Hank, uno scrittore dall'ironia acuta e dissacratoria, capace di ridere di qualunque cosa, soprattutto delle proprie numerose debolezze, dovrebbe leggere  "Panino al prosciutto".Sebbene pubblicato dopo "Post office" (1971), che racconta invece della vita adulta dello scrittore, nel periodo in cui lavorò come postino, "Panino al prosciutto" (1982)  ne è l'ideale capitolo precedente, dedicato all'infanzia e alla prima giovinezza di Bukowski.Se c'è una cosa che colpisce moltissimo di questo libro sulla veramente poco felice infanzia dello scrittore, è che qui gli episodi comici, il tentativo di suscitare una risata, anche nel mezzo di una quasi tragedia, che sono uno dei tratti distintivi della scrittura di questo autore, sono davvero molto pochi.  Ho avuto la forte impressione che, per quanto Bukowski abbia cercato di rimanere distaccato da ricordi evidentemente dolorosi, in questo libro a parlare non sia l'artista, colui cioè che reinventa la realtà per trovare una chiave espressiva originale ( che per questo scrittore significa spesso sconfinare nel comico o nell'erotico),  ma l'uomo. Quella che si sente attraverso queste righe non è la voce del grande scrittore Bukowski, ma proprio quella di Henry, il ragazzo con una invincibile e deturpante acne, un padre manesco, una madre distante e debole, una identità non chiara perché non del tutto americano, ma nemmeno più tedesco.Una costante nella scrittura di Bukowski però rimane, ed è la sincerità: quest'uomo non nasconde davvero niente di sé stesso, per quanto imbarazzante e perfino potenzialmente pericoloso.Dalla voce di Henry, il nome  con cui veniva chiamato da giovane dai propri genitori, veniamo a sapere del disagio e dell'isolamento scolastici in un istituto frequentato da persone molto più ricche, dei numerosi ritiri dovuti ad attacchi di brufoli che sembravano bubboni, delle molte e dolorose cure a cui doveva sottoporsi.Ma anche di come, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, si sia dichiarato filo-nazista solo per scioccare i propri insegnanti, difendendo idee che non condivideva realmente solo perché si sentiva in parte tedesco (tenete conto che non si sapeva ancora nulla di campi di concentramento) e di come, inaspettatamente, sia stato addirittura avvicinato da una associazione segreta di studenti, tutti americani, che invece credeva veramente in quelle che per Bukowski erano solo spacconate. Naturalmente l'autore fa capire molto chiaramente di non aver mai davvero condiviso alcun ideale razzista, ma di aver appoggiato delle idee solo per il gusto della sfida e dello scontro, spesso cercato in maniera totalmente autolesionistica.La rabbia di Bukowski, la sua profonda, amara insoddisfazione, annegata per tutta la vita nell'alcool, che trovava sfogo in giovinezza in improvvise e violente scazzottate, ha certamente avuto origine dal tormentatissimo rapporto con il padre. Un tratto questo che lo accomuna ad un altro grandissimo scrittore  americano di origine europea, John Fante, che proprio come Bukowski trovò nell'autoironia la chiave per trasformare le proprie vicende biografiche in materiale per le proprie storie. Bukowski ammirava infatti moltissimo la scrittura di Fante e non fece mai mistero di aver trovato in questo autore una grande fonte di ispirazione. Le loro vicende sono così simili, come pure il modo in cui hanno saputo trasformare il dolore in arte, che davvero questi due scrittori sono idealmente fratelli: la sola differenza forse è che Bukoswki avrebbe festeggiato la cosa con una buona birra e Fante con del Chianti, del resto per quanto simili, erano pur sempre un quasi tedesco ed un quasi italiano.Bukowski padre fu più del prototipo del pessimo genitore, lo scrittore fu davvero molto sfortunato e trovò nel capofamiglia, convinto che picchiare il figlio fosse un suo preciso dovere, un vero e proprio aguzzino: un uomo capace di pestare selvaggiamente un ragazzino perché i fili d'erba del prato non erano stati rasati tutti alla stessa altezza, e per il quale ogni pretesto era buono per tirare fuori la cinghia.
Il padre di Bukowski aveva avuto a sua volta un genitore alcolizzato e raccomandò per tutta la sua vita a suo figlio di non bere. Come un vero dovere, Bukowski bevve dall'età di tredici anni  fino forse alla fine della sua vita: bevve avidamente, compulsivamente, senza freni e celebrò l'alcool con gran gioia e senza pudore in tutti i suoi scritti, che letteralmente annegano nello spirito (da tutti i punti di vista).Ma una cosa fu forse fondamentale per la storia di Bukowski e probabilmente della stessa letteratura. Il padre disprezzava profondamente gli scritti del figlio, trovandoli osceni. Arrivò addirittura a cacciarlo di casa, dopo aver trovato alcuni suoi racconti, nascosti in un cassetto: prese tutte le sue carte e la macchina da scrivere e li buttò nel giardino, proprio su quel prato fonte di punizioni ed ossessioni che tanto avevano tormentato il giovane Henry, a marcire in mezzo a rivoli di acqua, intimandogli a gran voce di non farsi più rivedere.Henry forse morì quel giorno e quello stesso giorno nacque Charles Bukowski, il grande scrittore, perché Hank raccolse tutti i fogli che riuscì salvare, prese la macchina da scrivere e non tornò mai più sui suoi passi. Naturalmente la mossa seguente fu quella di ubriacarsi.Significativamente il libro è dedicato "A tutti i padri".Non c'è bisogno di aggiungere che "Panino al prosciutto" è davvero un gran bel libro, scritto impeccabilmente, forse solo un po' più triste del consueto, perché alla reinvenzione della realtà lo scrittore ha preferito l'aderenza alla stessa.Di Charles Bukowski ho recensito anche:Storie di ordinaria follia