angoloprivato

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 L’ombra dell’inverno cadeva sulla casa, portando fra le sue sontuose stanze il buio di quei giorni. Nella stanza chiusa si sentiva il suono di un pianoforte, le stesse note ripetute con ossessione, senza che una melodia uscisse da quei tasti bianchi e neri. Si avvertiva un dolore profondo in quella musica, che cercava uno sbocco, che voleva liberarsi dalla diga in cui era racchiusa, come pioggia, torrenti che volevano tracimare, distruggere per poi vedere ritornare la vita intorno a sé. La casa avvolta dall’inverno, con gli alberi spogli che le facevano da corona, languiva osservando sopra di sé il fumo grigio fuoriuscire da comignoli.Le stanze vivevano nel crepuscolo, fra tappeti lisi e arazzi a cui il colore faceva difetto. Nei quadri volti alteri e senza sorriso, e sui mobili scuri appoggiati sopra, animali in ceramica, alabastro, avorio, piccoli e grandi, erano disseminati in ogni dove, come in  uno zoo ma inanimato, dove nulla dava fastidio con il suo odore, le sue richieste di cibo, ma da cui non proveniva alcun calore.  La donna di una bellezza carnale, nel suo ampio abito nero di chiffon, si alzò dallo sgabello davanti al pianoforte, si sedette guardando con gli occhi bianchi il tavolinetto con sopra una graziosa tazzina con dentro un liquido dorato  e un biscotto di fianco, sorseggiò e mangio lentamente il biscotto, poi con le dita inizio a tamburellare le stesse note suonate ossessivamente al pianoforte, mentre l’ombra  dell’inverno continuava a cadere sulla casa.