club dei cartoni

la caffetteria di Topolino


era una volta un topolino che viveva con la mamma in una grande città. La mamma era rimasta sola e sperava tanto che il suo unico figlio combinasse qualcosa di buono, ma io (non mi dite che siete sorpresi!) non avevo voglia né di studiare né di lavorare. Preferivo di gran lunga gironzolare tutto il giorno, e giocare con gli altri topini. Un giorno, mentre rovistavo in una discarica a caccia di qualche giocattolo ancora in buono stato, fui attratto da una vecchia caffettiera un po’ arrugginita. Pensai subito di regalarla alla mamma, che era golosa di caffè. «Basterà lucidarla un po’ e sarà come nuova!», esclamai.E mentre la sfregavo ben bene, la caffettiera cominciò a tremare: e dal beccuccio uscì uno sbuffo di fumo aromatizzato al caffè e... Plof!
«Ciao, sono il genio della caffettiera e sono qui per servirti». A parlare era un gigante tutto nero, con un anello nel naso e vestiti coloratissimi.«E tu da dove vieni?», domandai stupito.«Come, non si vede? Vengo dal Carnaval do Brasil, la patria del divertimento e del caffè. Avevo davvero voglia di sgranchirmi un po’».E cominciò a ballare la samba canticchiando: «Brasil, lallaà, lallà, lallà, lallà...».«Scusa, ma se sei un genio non dovresti realizzare i miei desideri?».«Ah, giusto, dimenticavo: comandi, padrone!».«Per prima cosa vorrei una forma di groviera grande come il Colosseo!».
E in un istante, al posto della discarica c’era un mare di groviera in cui mi tuffai rosicchiando a tutto spiano fino a quando non fui così pieno da scoppiare.«Ohi, ohi, ohi, povero me! Forse ho mangiato troppo. Mi ci vuole un riposino».Quando mi svegliai era notte, la caffettiera era ancora accanto a me, ma del genio non c’era traccia.«Vediamo se funziona ancora», e strofinai la caffettiera fino a quando... Plof!«In che cosa posso servirla, padroncino mio?».«Vorrei un intero negozio di giocattoli tutto per me».Mai visto niente di più sfavillante. C’erano migliaia di auto telecomandate, di videogiochi spaziali, robot, computer, biciclette, pupazzi. Prendevo un gioco, poi ne prendevo un altro, e poi un altro ancora, abbagliato da tutta quella abbondanza. Presto mi annoiai, perché non riuscivo a decidermi quale gioco scegliere. E poi non c’era nessun altro topino con cui giocare. Ci voleva qualcosa di più eccitante.
«Voglio diventare il re, così comanderò tutti, sarò ricco e avrò al mio fianco una bella regina».Il tempo di un battito di ciglia, e mi ritrovai seduto sul trono con tanto di scettro e corona . Di fronte a me, una fila di cortigiani con mille problemi da risolvere. Al mio fianco, una regina che si lamentava continuamente: «E com’è caldo, e com’è freddo; e voglio il tè e voglio il caffè; e non so che fare, e ho troppo da fare; e la parrucchiera mi ha pettinato male i capelli, e sono stufa dei soliti gioielli...».Intorno a me ministri, valletti, cavalieri e ciambellani, con carte da firmare, documenti da approvare, guerre da dichiarare, accordi da siglare. Finalmente arrivò il momento di mettersi a tavola. Speravo in un po’ di pace e invece dovetti affrontare un esercito di posate e bicchieri che non sapevo usare, cibi troppo raffinati da poter gustare e un sottofondo musicale da farmi sbadigliare.Non volevo rimanere re un secondo di più.Finalmente tornai nella mia discarica.«Che pace, che tranquillità!», esclamai . Sentivo il bisogno di parlare con il mio genio. E così ripresi in mano la caffettiera.«Brasil...», arrivò canticchiando, come sempre di buonumore.
«Mio buon genio del caffè, com’è che tutti i miei desideri sono così deludenti quando si avverano?».«Perché erano solo cose che credevi di volere. Chiudi gli occhi, non pensare a nulla e prova ad ascoltare il tuo cuoricino e a sentire qual è il tuo desiderio più autentico».Feci come diceva il genio e immaginai la mia mamma sorridente che, seduta sulla poltrona, si gustava una tazza di caffè e io che canticchiavo «Brasil...», mentre studiavo il volume L’arte di cucinare il groviera: manuale per topi ristoratori. Aprii gli occhi e mi trovai a vivere la scena che solo un istante prima avevo immaginato. Con un particolare in più. Nella credenza, lucida e splendente, c’era la caffettiera del genio. Un filo di fumo uscì, e apparve il genio per un’ultima volta, facendomi l’occhiolino prima di scomparire per sempre. 
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