Ancora giorno Capitolo dodicesimo Mi alzai e tornai veloce in cucina, sentendola come l’azione più logica da fare. Il mio cervello era in uno stato emotivo paralizzato, non pensava, agiva per i cavoli suoi, assecondando le mie abitudini con quello che per lui era meglio fare in questa situazione.Aprii la porta della cucina, mi sedetti su una sedia e dissi all’Elisa:- Ci sono tutti e mi è venuto in mente ancora un’altra cosa di ieri sera.- Cosa?- Che devo ammazzare una persona.- Chi?- Lascia stare. Vado a lavarmi i denti.Mi alzai. Appena richiusi la porta della cucina mollai diecimila imprecazioni. Cercai aiuto e andai da Alberto. Provai a svegliarlo. Non reagiva. Allora iniziai a prendere a calci Carlo, sulle gambe, che si mise seduto in un colpo. Ci guardammo.- Io ti ammazzo.- No vecchio. Fai piano. E’ successo un casino enorme. - Che cazzo me ne frega. Sto male. T’ammazzo.- No vecchio è successo veramente un casino. Ascoltami.- Vedendo la mia faccia veramente preoccupata si placò.- Dimmi, ma se è una troiata t’ammazzo. Che se noti sono di buon umore.- Come al solito.Iniziai a raccontare in modo spedito cosa mi era successo: Michele, lo svenimento e la scoperta di chi mancava. Poi gli dissi che volevo andare a cercarli prima che all’Elisa venisse voglia di abbracciare il suo amore.- Dai dammi una mano. Gli diciamo che andiamo a fare la spesa e li cerchiamo, fuori piove.- Piove? Ma sei completamente fuori.- Disse girandosi dall’altra parte.- Dai… Dopo se ci sono casini io conosco il nome di chi volendo poteva evitarli.- Mi stai minacciando?- Si.- Ah. Volevo solo esserne sicuro.- Dichiarò rimboccandosi meglio le coperte.- Dai coglione, o mi dai una mano oppure fra due minuti arriva l’Elisa preoccupata dal fatto che non mi vede tornare e nota chi manca. Io farò finta di aver ripreso sonno e ….- Ok ho capito. Succede il delirio e va tutto a puttane. Ma dopo lo ammazzo.- Siamo in due.- No no. E’ mio. Ho più di un motivo.Con uno sbadiglio enorme e rumoroso si alzò, si vestì e mi seguì strisciando i piedi.- Guarda chi ti ho portato Elisa. A proposito tu cosa ti ricordi di ieri sera che mi sono perso dei passaggi?- Domandai a Carlo.Lui mi guardò male rimanendo in silenzio. Prese il caffé ormai freddo, si mise il cappotto e finalmente proferì parola:- Andiamo a fare sta cazzo di spesa. Poi ammazzo una persona e torno a letto.- Per fortuna siete amici. Vi svegliate e vi volete tutti ammazzare a vicenda.- Ci disse l’Elisa, noi non la ascoltammo e uscimmo.Subito fuori Carlo si accese una sigaretta e mi guardò.- Adesso investigatopo che cazzo facciamo? E non pioveva?- Prima pioveva. Meglio così. Tu dove andresti a spurcellarti in tranquillità in questo cazzo di paese con la pioggia?Ci guardammo e senza parlarci ci avviammo verso le auto. Arrivammo al parcheggio. L’auto di Filippo era vuota, ma da distante si vedeva la macchina di Alberto tutta appannata. Io e Carlo ci scambiammo delle espressioni che si mescolavano tra l’imbarazzato, il divertito e lo schifato. Carlo si fermò a tre metri:- Tocca a te ora. - Va bene. Tu pensa a come farli rientrare a casa senza farci beccare dall’Elisa.- Cazzo.Iniziai a sbattere le nocche delle mani nei finestrini. Nessuna risposta. Guardai i chiavistelli e li vidi con mio stupore alzati. Guardai Carlo in cerca di un aiuto, mi sentivo molto imbarazzato. - Apri quella del guidatore- mi disse lui vedendomi indeciso -che non ti ritrovi la farfallina della Valeria davanti agli occhi. Dopo rimani piccolo. Investigatopo.- Ma allora tu sei un esperto. Non lo sapevo. Non l’avevo letto nel curriculum. Vuoi procedere tu? Collega.- Non ho i guanti, lascerei le impronte. Dai deficiente.Andai verso la porta del guidatore, presi platealmente il fazzoletto da naso che avevo in tasca, me lo misi in mano e con fare da C.S.I. aprii lentamente la portiera. Infilai la testa dentro. Distesi nei sedili dietro c’erano Filippo e la Valeria. Lui sopra lei. Filippo aveva addosso felpa e mutande mentre la Valeria era in canottiera, ma poiché era scivolata col corpo le si vedeva bene un seno. Quando me ne accorsi tornai fuori con la testa.- Oh vecchio, cos’hai visto? La farfallina?- Dovevo avere un’espressione di piacevole sorpresa.- Diciamo che non avevano freddo. Diciamo.- Mostra.- Guarda.- Va bè. E’ solo una tetta. Peccato non avere il cellulare che gli facevo una foto. Così lo ricattavo.- Perchè devi ricattarlo?- Così. Mi piace. Lascia stare, va’. Quando sarai grande ti racconterò una storia.- Ma vai a cagare. E io che volevo prestarti il mio cellulare che ho casualmente in tasca. Collega.- Fa le foto?- Si.- Falle, poi ci penso io.- E si mise a ghignare strofinandosi le mani.Scattammo la foto e una venne fuori abbastanza bene.- Ah. La tecnologia.- Ma che puzza sanno?
Post N° 52
Ancora giorno Capitolo dodicesimo Mi alzai e tornai veloce in cucina, sentendola come l’azione più logica da fare. Il mio cervello era in uno stato emotivo paralizzato, non pensava, agiva per i cavoli suoi, assecondando le mie abitudini con quello che per lui era meglio fare in questa situazione.Aprii la porta della cucina, mi sedetti su una sedia e dissi all’Elisa:- Ci sono tutti e mi è venuto in mente ancora un’altra cosa di ieri sera.- Cosa?- Che devo ammazzare una persona.- Chi?- Lascia stare. Vado a lavarmi i denti.Mi alzai. Appena richiusi la porta della cucina mollai diecimila imprecazioni. Cercai aiuto e andai da Alberto. Provai a svegliarlo. Non reagiva. Allora iniziai a prendere a calci Carlo, sulle gambe, che si mise seduto in un colpo. Ci guardammo.- Io ti ammazzo.- No vecchio. Fai piano. E’ successo un casino enorme. - Che cazzo me ne frega. Sto male. T’ammazzo.- No vecchio è successo veramente un casino. Ascoltami.- Vedendo la mia faccia veramente preoccupata si placò.- Dimmi, ma se è una troiata t’ammazzo. Che se noti sono di buon umore.- Come al solito.Iniziai a raccontare in modo spedito cosa mi era successo: Michele, lo svenimento e la scoperta di chi mancava. Poi gli dissi che volevo andare a cercarli prima che all’Elisa venisse voglia di abbracciare il suo amore.- Dai dammi una mano. Gli diciamo che andiamo a fare la spesa e li cerchiamo, fuori piove.- Piove? Ma sei completamente fuori.- Disse girandosi dall’altra parte.- Dai… Dopo se ci sono casini io conosco il nome di chi volendo poteva evitarli.- Mi stai minacciando?- Si.- Ah. Volevo solo esserne sicuro.- Dichiarò rimboccandosi meglio le coperte.- Dai coglione, o mi dai una mano oppure fra due minuti arriva l’Elisa preoccupata dal fatto che non mi vede tornare e nota chi manca. Io farò finta di aver ripreso sonno e ….- Ok ho capito. Succede il delirio e va tutto a puttane. Ma dopo lo ammazzo.- Siamo in due.- No no. E’ mio. Ho più di un motivo.Con uno sbadiglio enorme e rumoroso si alzò, si vestì e mi seguì strisciando i piedi.- Guarda chi ti ho portato Elisa. A proposito tu cosa ti ricordi di ieri sera che mi sono perso dei passaggi?- Domandai a Carlo.Lui mi guardò male rimanendo in silenzio. Prese il caffé ormai freddo, si mise il cappotto e finalmente proferì parola:- Andiamo a fare sta cazzo di spesa. Poi ammazzo una persona e torno a letto.- Per fortuna siete amici. Vi svegliate e vi volete tutti ammazzare a vicenda.- Ci disse l’Elisa, noi non la ascoltammo e uscimmo.Subito fuori Carlo si accese una sigaretta e mi guardò.- Adesso investigatopo che cazzo facciamo? E non pioveva?- Prima pioveva. Meglio così. Tu dove andresti a spurcellarti in tranquillità in questo cazzo di paese con la pioggia?Ci guardammo e senza parlarci ci avviammo verso le auto. Arrivammo al parcheggio. L’auto di Filippo era vuota, ma da distante si vedeva la macchina di Alberto tutta appannata. Io e Carlo ci scambiammo delle espressioni che si mescolavano tra l’imbarazzato, il divertito e lo schifato. Carlo si fermò a tre metri:- Tocca a te ora. - Va bene. Tu pensa a come farli rientrare a casa senza farci beccare dall’Elisa.- Cazzo.Iniziai a sbattere le nocche delle mani nei finestrini. Nessuna risposta. Guardai i chiavistelli e li vidi con mio stupore alzati. Guardai Carlo in cerca di un aiuto, mi sentivo molto imbarazzato. - Apri quella del guidatore- mi disse lui vedendomi indeciso -che non ti ritrovi la farfallina della Valeria davanti agli occhi. Dopo rimani piccolo. Investigatopo.- Ma allora tu sei un esperto. Non lo sapevo. Non l’avevo letto nel curriculum. Vuoi procedere tu? Collega.- Non ho i guanti, lascerei le impronte. Dai deficiente.Andai verso la porta del guidatore, presi platealmente il fazzoletto da naso che avevo in tasca, me lo misi in mano e con fare da C.S.I. aprii lentamente la portiera. Infilai la testa dentro. Distesi nei sedili dietro c’erano Filippo e la Valeria. Lui sopra lei. Filippo aveva addosso felpa e mutande mentre la Valeria era in canottiera, ma poiché era scivolata col corpo le si vedeva bene un seno. Quando me ne accorsi tornai fuori con la testa.- Oh vecchio, cos’hai visto? La farfallina?- Dovevo avere un’espressione di piacevole sorpresa.- Diciamo che non avevano freddo. Diciamo.- Mostra.- Guarda.- Va bè. E’ solo una tetta. Peccato non avere il cellulare che gli facevo una foto. Così lo ricattavo.- Perchè devi ricattarlo?- Così. Mi piace. Lascia stare, va’. Quando sarai grande ti racconterò una storia.- Ma vai a cagare. E io che volevo prestarti il mio cellulare che ho casualmente in tasca. Collega.- Fa le foto?- Si.- Falle, poi ci penso io.- E si mise a ghignare strofinandosi le mani.Scattammo la foto e una venne fuori abbastanza bene.- Ah. La tecnologia.- Ma che puzza sanno?