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Capitolo 5

Post n°31 pubblicato il 23 Agosto 2005 da antislamico

Coabitazione "all'iraniana" "La situazione attuale è insopportabile, denuncia Saeed Hajlarian, politico molto in vista e consigliere tra i più ascoltati del presidente della Repubblica. In Iran procediamo su un terreno minato, senza sapere dove si trovano le cariche esplosive; mentre in altri regimi analoghi al nostro in Turchia ad esempio i cittadini possono evitarle, perché almeno sanno dove stanno". "Preferirei mille volte fruire di libertà limitate ma garantite, piuttosto che di libertà ampie ma virtuali come le nostre", rincara Abbas Abdi, dirigente della sinistra islamica.
I nostri interlocutori sono membri fondatori del Fronte della partecipazione, una delle due formazioni riformiste legalizzate. Il loro obiettivo prioritario è favorire il sorgere di altri contropoteri, di pubblicazioni indipendenti, di associazioni professionali, di sindacati liberi, e soprattutto di partiti politici in grado di affrontare le formazioni conservatrici una cinquantina che sono state invece autorizzate senza difficoltà.
Benché il pluripartitismo sia riconosciuto dalla Costituzione, esiste una commissione preposta a limitarlo in maniera considerevole, mediante l'applicazione di una legge che esclude le formazioni con orientamenti "incompatibili con l'islam".
Queste ultime sono suddivise in due categorie: khodi (letteralmente: "i nostri"), e gheir khodi ("gli altri). Tra questi ultimi figurano ad esempio due partiti fuori legge, ma tollerati: il movimento dei musulmani militanti e il movimento di liberazione dell'Iran, diretti rispettivamente da Habibollah Peyman e Ebrahim Yazdi. Entrambi hanno partecipato alla rivoluzione, ma si sono opposti senza mezzi termini all'introduzione del concetto del Velayat Faguih nel testo della Costituzione, sostenendo invece quello di democrazia. In seguito, hanno dichiarato la loro lealtà alla Costituzione adottata, pur chiedendo che venisse emendata. Ma questo non è bastato a "riabilitarli".
Le attività di queste due formazioni sono tollerate a livello semiclandestino; non possono tenere riunioni pubbliche né disporre di locali o pubblicare giornali. I comunicati e le dichiarazioni che rilasciano nella loro qualità di movimenti politici non vengono riprodotte dai media governativi; i loro militanti sono talora aggrediti o arrestati con pretesti vari.
"Continuiamo a subire un sistema che assomiglia molto all'inquisizione, spiega Yazdi, che è stato ministro degli esteri nel primo governo della Repubblica. La mia candidatura alla presidenza della Repubblica, nel maggio 1997, è stata scartata". La sua opinione, condivisa dagli altri dibattiti dell'opposizione, è che solo la legalizzazione di tutti i partiti politici, senza distinzioni, "è suscettibile di porre termine a un equilibrio instabile, in cui la pace civile è in pericolo".
La "coabitazione all'iraniana" è caratterizzata essenzialmente da uno squilibrio strutturale, nel quale un potere assoluto si contrappone alla legittimità conferita dal popolo. Il presidente della Repubblica, Mohamed Khatami, è stato eletto, con voto plebiscitario, da più del 70% dei suoi concittadini, una prima volta in occasione della sua elezione, nel maggio 1997, e la seconda alle elezioni locali e municipali del marzo 1999. Ma in pratica, è impotente davanti al faguih, che grazie alle sue prerogative può fare a meno di tener conto della sconfitta dei suoi sostenitori nelle due ultime elezioni. La Costituzione gli conferisce in effetti, tra l'altro, il controllo esclusivo del potere giudiziario, dell'esercito, dei pasdaran (i "guardiani della rivoluzione", guardia pretoriana del regime), di centinaia di imam della preghiera del venerdì, incaricati di diffondere la buona parola, dei media e dei grandi quotidiani governativi, dei quali nomina i direttori. Inoltre è incaricato di definire l'applicazione della politica generale della Repubblica, soggetta alla sua supervisione; di avallare l'elezione del presidente della Repubblica, e se necessario di destituirlo; di dichiarare la guerra e di concludere la pace. In un certo senso, è al disopra delle leggi, dato che è l'interprete della volontà del Profeta e dei suoi successori, i dodici santi imam, e non deve rendere conto a nessun altro che al Signore .
D'altro canto, il faguih raccoglie, in tutto o in parte, i proventi delle cosiddette fondazioni caritative. In realtà si tratta di holding economiche tentacolari, costituite all'indomani della rivoluzione, soprattutto grazie ai beni confiscati alla famiglia imperiale, che rappresentano fonti di proventi considerevoli, dei quali il faguih dispone a suo piacimento. In particolare, gli servono per finanziare il clero e le sue istituzioni: un ulteriore mezzo per garantire la loro dipendenza nei suoi riguardi.
Considerando questo manifesto squilibrio dei rapporti di forze, il bilancio della coabitazione è però tutt'altro che negativo per il presidente della Repubblica. In capo a due anni, a metà del suo mandato, Mohamed Khatami è riuscito a rendere popolari i concetti di stato di diritto, di pluripartitismo e di alternanza; a consolidare l'estensione delle libertà pubbliche; ad affidare a uomini di sua fiducia alcuni dicasteri chiave, quali il ministero dell'interno e quelli della comunicazione e della cultura; a silurare il ministro dell'informazione, dopo che questi era stato costretto ad ammettere i delitti politici dell'autunno 1998; ad assicurare la convocazione di elezioni locali e municipali, le prime dall'instaurazione della Repubblica, benché previste dalla Costituzione.
Non è riuscito invece riequilibrare le istituzioni, né a rilanciare l'economia e a migliorare le condizioni sociali, e neppure a condurre a buon fine la sua strategia di normalizzazione dei rapporti internazionali dell'Iran, in particolare con gli Stati uniti. Ma a giudicare dalla larghissima maggioranza ottenuta dal suo schieramento alle elezioni locali, l'opinione pubblica non lo ha stigmatizzato, dando prova di grande maturità: evidentemente, ha saputo misurare i limiti del suo potere, la sua onestà intellettuale, il suo coraggio e la garbata tenacia di un uomo di forti convinzioni, che ha dato prova di una fedeltà puntigliosa alle sue promesse elettorali, apparentemente modeste ma fondamentali per l'avvenire democratico della Repubblica.
Per converso, il faguih, l'ayatollah Khamenei, contestato nell'ambito del clero non meno che dalla popolazione, è ormai largamente screditato. Tanto che il direttore del quotidiano liberale Hamshahri, Atrianfar, ha potuto dire: "Il movimento riformista è come un razzo a più stadi, di cui l'ultimo, il formidabile appoggio popolare che ci sostiene, è l'equivalente di un ordigno nucleare".
La duplice vittoria riportata dai riformisti alle elezioni presidenziali e municipali riflette le profonde mutazioni intervenute nella società: il 75% dei cittadini è di età inferiore ai trentaquattro anni, e non ha quindi partecipato alla rivoluzione del 1979. Questa generazione è cresciuta nell'era dei satelliti e di Internet (i cybercaffè si stanno diffondendo nelle grandi città) e aspira a uno stile di vita moderno, europeo o americano, con tutte le libertà individuali che comporta. In questo modo, spiega lo scrittore Mohamed Sadek el Husseini, essi ricuperano le tre componenti della loro cultura ancestrale, che era "occidentale", "nazionale" e "islamica": sotto l'influenza del regime khomeinista, quest'ultimo elemento ha messo in ombra i primi due.
Khatami, l'ultima opportunità L'osservatore straniero è colpito dall'ostentato attaccamento dei giovani ai valori strettamente nazionali, a discapito dell'eredità musulmana . Ad esempio, è sempre più diffusa l'usanza di imporre ai neonati nomi preislamici; mentre il numero degli alunni che frequentano i corsi di arabo (la lingua coranica privilegiata dal potere) è in caduta libera. A quest'evoluzione hanno contribuito almeno tre fattori: l'urbanizzazione accelerata che ha trasformato la popolazione rurale, federata dai clan e dalle moschee, in cittadini integrati nella comunità nazionale; la guerra contro l'Iraq (1980-1988), che ha dato un potente impulso al patriottismo; e infine il discredito in cui è caduta l'ideologia arcaica dello stato islamico. L'incuria e le turpitudini dei governanti, l'indebito arricchimento dei potentati religiosi e dei commercianti del bazar (legati tradizionalmente a quegli ambienti) e il deterioramento delle condizioni sociali contribuiscono indirettamente ad alimentare il sentimento di appartenenza nazionale.
Paradossalmente, la Repubblica islamica ha generato o amplificato le forze che la minacciano. La sua politica di natalità incontrollata, portata avanti per svariati anni, ha modificato la struttura demografica della società a favore della sua componente giovanile. La vigorosa campagna di alfabetizzazione e l'istruzione gratuita generalizzata hanno ridotto del 75% il tasso di analfabetismo (che attualmente è del 15%) decuplicando al tempo stesso il numero dei diplomati universitari (più di 4 milioni, senza contare i 2 milioni di studenti delle scuole superiori) che vanno a infoltire la schiera dei disoccupati.
Suprema ironia, l'obbligatorietà del chador, o del velo islamico, ha dato un impulso irresistibile all'emancipazione delle donne. E' stato in effetti il copricapo islamico a consentire l'ingresso in massa delle ragazze nelle scuole e nelle università, mentre ai tempi della monarchia, quando, al contrario, era vietato portare il velo, le famiglie tradizionaliste rifiutavano di far studiare le figlie. Le studentesse costituiscono più del 60% della popolazione universitaria, contro il 25% all'epoca dello scià. Inoltre sotto la Repubblica le donne, "pudicamente" vestite, hanno invaso il mercato del lavoro, anche perché costrette a fornire un'integrazione indispensabile al reddito familiare. E rivendicano a un tratto la piena uguaglianza dei diritti, segnatamente nel campo dell'eredità e in quello del divorzio: diritti sacrileghi per i sostenitori conservatori dell'islam.
Evento senza precedenti: le organizzazioni femministe, islamiche e laiche, hanno deciso di creare un fronte comune per avere partita vinta . "Abbiamo preso coscienza che la difesa dei diritti umani passa per il riconoscimento dei diritti della donna", osserva una delle militanti islamiche, l'avvocato Shireen Ebadi.
Le donne quindi, in particolare le più giovani, sono divenute così la punta di lancia del movimento riformista. Fatto senza precedenti sul piano mondiale, ben nove donne salvo errore hanno presentato la loro candidatura alle elezioni presidenziali.
E si può essere tentati di credere che una di esse sarebbe stata eletta alla magistratura suprema, se queste candidature non fossero state scartate a priori dai rappresentanti del faguih. In effetti, una delle caratteristiche delle recenti elezioni municipali è stata la vittoria di numerose donne. Nei grandi centri urbani le donne hanno riportato spesso risultati superiori a quelli dei loro colleghi di sesso maschile: ad esempio, nella città santa di Qom un'infermiera "moderna" ha battuto svariati concorrenti con tanto di turbante. Il Consiglio municipale di Tehran comprende due donne, una delle quali è sorella di Mohsen Kadivar. Un'evoluzione notevole per una società di tradizioni patriarcali, che rimane altro paradosso profondamente segnata dal maschilismo.
Il prossimo confronto elettorale, quello delle legislative del marzo 2000, preoccupa entrambi gli schieramenti: i conservatori temono una sconfitta, che dopo la presidenza della Repubblica e le giunte municipali, consegnerebbe ai sostenitori di Khatami anche il potere legislativo. I riformisti si chiedono se una prospettiva del genere non comporti il pericolo di incitare i più estremisti tra i loro avversari a commettere l'irreparabile. Si prevedono scenari drammatici. Akbar Gaju, giornalista di sinistra celebre per i suoi articoli di denuncia del "fascismo islamico", non esclude "l'assassinio di 200- 300 intellettuali che stanno conducendo la lotta democratica". Si è pensato anche all'eventualità di un colpo di stato, ma apparentemente senza molta convinzione.
Il direttore del gabinetto di Mohamed Khatami, l'hodjatoleslam Mohamed Ali El Abtahi, fedele tra i fedeli del presidente della Repubblica da una ventina d'anni, respinge categoricamente un'ipotesi del genere: "Gli uomini dell'esercito e i pasdaran sono gente del popolo, che non accetterà mai di rivoltarsi contro il presidente e la legalità che rappresenta", afferma, per precisare subito dopo: "in ogni caso, le trasformazioni intervenute nella società, la ritrovata dignità degli iraniani, le libertà conquistate dal popolo sono irreversibili, con o senza Khatami al potere, e persino nell'ipotesi che quest'ultimo subisse una metamorfosi tale da diventare un nuovo Stalin" Nonostante tutto, in attesa delle elezioni legislative, la prudenza caratterizza la strategia dei riformisti; i quali ripetono instancabilmente che la Costituzione, compreso anche il Velayat Faguih, va benissimo, a condizione che venga applicata onestamente. Peraltro è il caso di ricordare che la revisione della legge fondamentale è praticamente impossibile, tenuto conto dei molteplici meccanismi di sicurezza introdotti dal legislatore. Abbas Abdi, uno dei teorici di questa strategia, sembra più convinto quando dichiara: "Ci sforziamo di persuadere i nostri avversari che il loro avvenire sarà meglio garantito in una democrazia fondata sulla regola dell'alternanza, piuttosto che in una dittatura. Perciò consigliamo alla stampa dell'opposizione di frenare i suoi ardori, e al governo di rallentare il ritmo delle riforme, mentre noi ci dedichiamo al compito di consolidare le conquiste della presidenza di Khatami, inimmaginabili appena due anni fa".
A giudicare dalle dichiarazioni dei più realisti tra i dirigenti conservatori, si può pensare che la ragione finirà per prevalere.
"Giocheremo il gioco della democrazia, anche a costo di finire minoritari nel prossimo parlamento", assicura ad esempio Hassan Ghaffoorifard. Mentre l'hodjatoleslam Nataq Nouri, presidente del parlamento e candidato sfortunato alle ultime elezioni presidenziali, che pure si esprime in termini analoghi, non può fare a meno di suonare il campanello d'allarme: "Dobbiamo rimanere vigilanti, dato che questi sedicenti riformisti cercano di instaurare un sistema democratico, e non una democrazia islamica; puntano a una repubblica laica, non a una repubblica islamica, come vorrebbero far credere".
L'accusa, a malapena velata, è che l'obiettivo ultimo dei sostenitori del presidente sia quello di "dekhomeinizzare" lo stato. Il giornalista Akbar Ganji, uno dei capofila dell'opposizione, lo nega, e al tempo stesso traccia un parallelo tra Khatami e Gorbaciov: "Il nostro presidente vuole un islam dal volto umano, esattamente come il leader sovietico cercava di umanizzare il comunismo per assicurare la sua sopravvivenza. Provocando la caduta di Gorbaciov, i suoi avversari hanno involontariamente favorito l'ascesa al potere di Eltsin. E inoltre, i nostri conservatori non hanno compreso che Khatami è la nostra ultima opportunità, e che la sua sconfitta porterebbe alla liquidazione di tutti gli islamici, siano essi riformisti o conservatori". Come si legge è in ballo una partita che potrebbe portare l'iran verso la democrazia o farla cadere ulteriormente indietro.

musica  Chicago- hard to say  I am sorry

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