IPERBOLE

MISSIONE "LEONTE"


Una flottiglia di cinque navi della Marina Italiana da stamattina è in navigazione nelle acque del Mediterraneo con destinazione Tiro, in Libano, dove giungerà venerdì per una missione di pace che, a voler essere superstiziosi, non inizia sotto i migliori auspici. "Di venere e di marte, non si sposa e non si parte e non si dà principio all'arte" recita un noto adagio popolare. Evidentemente i nostri politici e i loro consiglieri non sono superstiziosi, probabilmente fanno bene a non esserlo, ma con i tempi che corrono è necessario avere dalla propria anche il favore di un Olimpo che forse non conoscerà "l'asimmetria dell'ordine istituzionale" e gli eventuali vuoti di potere, ma intende bene il cuore degli uomini e sa che negli scenari di guerre più o meno preventive e di tregue puntualmente violate, i buoni propositi vanno a farsi benedire prima di essere sotterrati, con buona pace solo degli strateghi che all'occorrenza divengono felici becchini guerrafondai, pronti per un'altra guerra e un'altra pace. Emblematico l'esempio dell'Iraq, un Paese in cui la guerra civile e asimmetrica, ha sostituito quella "regolare" imprudentemente combattuta e impudentemente dichiarata vinta dallo zio Sam, prima che lo sceriffo planetario si rendesse conto in quale ginepraio stesse cacciando una Nazione divisa da antichi odi tribali e lacerata da differenti concezioni religiose. Un continuo, quotidiano stillicidio di vite umane, rende quasi impossibile tenere la contabilità dei morti, anche di quelli a stelle e strisce che hanno abbondantemente superato quota duemilacinquecento. Solo nella giornata di domenica scorsa si sono registrati sessanta morti, sei dei quali militari statunitensi. Nessuno parla quasi più di questa guerra, né delle condizioni in cui è costretta a vivere la popolazione civile e men che meno del fallimento totale di una missione di cosiddetta peace keeping che è servita solo, almeno per quel che ci riguarda, a far celebrare troppi funerali di Stato e a rendere tragicamente famosa la provincia di Nassiyria.   Si spera che non ce ne siano degli altri e che la missione "Leonte" dall'antico nome del fiume libanese Litani, che oggi ha preso il via dalle acque del Canale d'Otranto, si riveli un successo non solo dal punto di vista diplomatico e militare, ma soprattutto da quello umanitario.  L'arte della pace è più difficile dell'arte della guerra, specie poi se la pace è frutto di una tregua ripetutamente violata e per questo ancora più fragile, impossibile da imporre sia pure con una risoluzione Onu, senza aver prima risolto in modo duraturo il vero nocciolo del problema mediorientale, ovvero la questione Israelo-Palestinese. Lodevole l'intenzione della comunità internazionale e di quella italiana in particolare, di farsi carico di un dramma che in poco più di un mese ha praticamente raso al suolo un terzo del Libano, ma non si può continuare ad affidare a Paesi Terzi la raccolta dei i cocci morali e materiali prodotti da guerre scatenate "solo" per l'arrogante capriccio di qualcuno che fa ancora dell'occhio per occhio e del dente per dente, la sua (perdente) biblica legge.L'ultima guerra, quella cosiddetta di autodifesa, scatenata da Israele per ottenere la liberazione dei suoi militari rapiti da Hezbollah e per rispondere al lancio dei razzi katyusha ha causato quasi 1200 morti. L'altra guerra, quella interna e senza fine nella striscia di Gaza contro Hamas, sempre per la liberazione di un altro militare rapito quasi due mesi fa, ha causato la morte di duecento palestinesi.Inutile dire che in entrambi i casi non si è ottenuto quel che si voleva: i militari israeliani rapiti sono sempre ostaggi di Hezbollah e di Hamas e col senno di poi, perfino uno come Nasrallah, ha riconosciuto che il rapimento è stato un errore anche in considerazione della veemente e sproporzionata reazione di Israele.  Un contingente multinazionale di 15.000 caschi blu, fra cui 2500 italiani, giunge sulle sponde del fiume Litani per  raccogliere proprio i cocci della guerra "degli ostaggi" cercando di ricostruire i rapporti già tesi fra un vicinato che purtroppo non ha mai accettato la pacifica convivenza.In questi casi chi fa da paciere rischia grosso. Le incognite sono tante, per stessa ammissione degli addetti ai lavori questa, per le Forze Armate Italiane, è la missione più pericolosa e delicata dalla fine della seconda guerra mondiale.  L'impegno italiano è fra i più rilevanti sia in termini di risorse umane che materiali e proprio per questo è necessario augurare "buon vento" ad una missione che pur se partita di martedì, di sicuro ha dalla sua il favore di un Cielo che ha sempre sostenuto e aiutato gli "uomini di buona volontà". P.S. Il settimanale americano "New Republic online"  qualifica come        peggio non poteva fare l'Esercito Italiano.        Definisce gli italiani "codardi" e inadeguati a guidare la missione        iniziata oggi e per questo destinata al fallimento.       Questo, caro silvio, è ciò che pensano i tuoi amici di quell'esercito        che tu hai mandato in Iraq per fare un piacere al tuo amico bush.        Quindi come ho già fatto nel precedente post, approfitto anche di       questo per mandarti ancora una volta a quel paese. Ora e sempre.          Amen!