IPERBOLE

ALTRI GIORNI DI VENTO


Prima il maestrale ed ora il libeccio, vento ancora vento per questi giorni di sole e di mare spazzati dal possente respiro del Cielo e flagellati dal turbine di una querula nostalgia che improvvisa giunge e si dilegua lasciandomi polvere e malinconia. I versi di Ungaretti, lapidari come non mai sono lì, confusamente sparsi lungo il mio tempo e in quel suo brevissimo verseggiare, c'è tutto l'afflato dell'essere e del Creato."I ricordi, un inutile infinito" reminiscenze di ieri e di oggi infiacchite e incattivite dal livore verso un passato del quale porto ancora nell'animo i segni devastanti di un mondo che mi ha insegnato solo l'inutile retorica del niente. Al di là del bene e del male, oltre le colonne d'Ercole del mio naufragare si sprofonda nell'abisso senza fondo del Cielo, innalzarsi nell'estatico contemplare il Nulla e precipitare inghiottito dal vortice delle passioni, cadere con la certezza di riemergere annichiliti e temprati dal fuoco di un inferno che non sarà mai Paradiso almeno su "quest'atomo opaco del male". I postumi di amare esperienze, stigmate invisibili, o forse mal celate del mai appreso mestiere di vivere e dell'arte di amare: agli occhi di chi sa leggere lo sguardo e fra le righe manifestano il disagio, lo sconforto e il disincanto, di chi non si lascia più sorprendere dai colpi d'ala, né  dagli assalti all'arma bianca del dubbio o delle mal riposte speranze. Certo di null'altro che di questo vento che ogni tanto si placa quasi a voler riacquistare nuovo vigore, mi affido ai ricordi, al monotono, stagnante riflesso di una tremula ninfea sospesa nell'evanescente miraggio dell'implacabile scorrere del tempo. Impronte relegate nel recesso più intimo dell'anima, orme appena disegnate dal peso dei ricordi e subito cancellate dal vento, l'ombra di un'anima che quelle impronte lasciò vaga silente e irrompe col vento del deserto nel limbo di una non-vita. Il bisogno prorompente di parlarle ancora, di comunicarle qualcosa che suoni come nuovo rispetto al già detto, iterazione fantastica ed irreale di un sogno che si intreccia fra i giunchi e le storie di una vita che ogni giorno intessono di nuova trama l'ordito di una tela in cui anche un ragno cadrebbe preda del suo stesso inganno. Rintocchi di un pendolo che nel silenzio diventano cadenze, accordi di ore e di minuti, suggestioni di una perfezione che non conosce l'affanno del tempo essendo essa stessa fuori dal tempo, alibi metafisico di una ricerca che si perde, ahimè, nell'inconcludente rincorrere il fantasma di un mito che si chiama Amore. Lungi dal cedere alle lusinghe di un vuoto presente, mi attardo sulla soglia di un passato che mi ha donato tutto ciò che possiedo: i ricordi, la memoria e l'oblio."Lasciamo il futuro sulle ginocchia di Giove e affrettiamoci con nuova lena alle usate cose dopo gli ozi di un'estate che ci ha impigriti più di quanto il nostro spirito ha desiato" diceva un mio vecchio Prof ad ogni inizio d'anno scolastico. Mi sembra di risentirlo ancora specie in questi giorni di vento, quando, per spronare l'interesse di una classe di "grecisti" atoni e con la testa fra le nuvole enumerava uno dopo l'altro i dodici figli di Eolo: Borea, Euro, Noto, Zefiro, Ellesponto, Afeliote, Argeste, Trascia, Aparctias, Euronoto, Libanoto, Libs... "Voi siete in balia di tutti questi venti messi insieme" aggiungeva.A me stasera basta solo questo vento di libeccio per essere tutt'uno col mare e col Cielo.