IPERBOLE

VACCHE MAGRE? NON PER TUTTI


        
Il maxiemendamento alla Legge di Bilancio approvata prima di Natale continua a far discutere per lo spirito draconiano che anima una Finanziaria tutta "lacrime e sangue" e per le sorprese abilmente nascoste fra le pieghe del suo sterminato articolato.  Dopo la "prescrizione breve" che nelle intenzioni dell'anonimo estensore avrebbe dovuto accorciare sensibilmente i termini previsti per "sanare" senza conseguenze per l'imputato, i danni causati allo Stato dalla disinvolta gestione del pubblico amministratore infedele e "furtivamente" inserita (e poi cassata con opportuna decretazione d'urgenza) nella Finanziaria di Prodi, un altro fra i quattromila e più commi, brilla per la dissennata volontà governativa di "premiare" senza motivo alcuno, enti e istituzioni che spesso sputano nel piatto in cui mangiano reclamando altro costosissimo foraggio.Nonostante la grave carenza di fondi che ha portato il mondo dell'Università pubblica a forme clamorose di protesta, sono stati infatti destinati ben 100 milioni di euro ripartiti in tre anni a "tutti i collegi universitari gestiti da fondazioni, enti morali, nonché enti ecclesiastici" che abbiano la finalità di ospitare studenti e "risultino iscritti ai registri delle prefetture"."Inserire questa vera e propria elargizione di soldi pubblici a strutture private - ha commentato il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio - fa a pugni non solo con il dettato costituzionale (...Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato. Art. 33), ma anche con il richiamo al rigore e ai sacrifici che, continuamente, un giorno sì e l'altro pure, viene fatto da autorevoli esponenti di governo ai cittadini".Sgobio ha inoltre aggiunto: "Non ci sono soldi per l'università che avrebbe bisogno, come hanno denunciato i Rettori, di 350 milioni di euro e invece se ne ritrova solo 78, e per la ricerca pubblica cui, alla fine, sono stati concessi solo 20 milioni di euro grazie all'emendamento cosiddetto "Montalcini" e poi si finanzia l'università privata...Mah, questo ci appare davvero una cosa inaccettabile. Vuoi vedere che per tenere buone le gerarchie ecclesiastiche, qualcuno ha pensato bene di somministrare un sedativo doppiamente tranquillizzante".Un provvedimento, questo, per nulla criticato da quella "destra" liberale e antistatalista che ha stroncato senza alcuna misericordia la finanziaria nel suo complesso, anzi un silenzio complice e interessato degli amici di silvio ha bonariamente circondato l'intero "comma". Evidentemente il pensiero "liberal-riformatore" che ispira le "anime belle" dell'attuale maggioranza, raccoglie un consenso pressoché unanime fra gli epigoni destrorsi del libero mercato e fra quelli cosiddetti di sinistra per i quali il liberismo è l'unico collante per tenere insieme i tasselli di un sistema nel quale secondo una scuola di pensiero non sempre valida, il "privato" dovrebbe sostituire lo Stato. D'altronde non poteva essere diversamente in considerazione della non trascurabile variabile costituita dal finanziamento pubblico, vera manna piovuta una semper dal cielo nelle casse di un "privato" italiota che raramente riesce a garantire un servizio migliore del pubblico e quando ciò avviene è solo perché si appoggia alle stampelle di uno Stato oltremodo generoso con quella borghesia parassitaria renitente ad ogni principio di "flessibilità" sociale, che da una parte critica lo statalismo e dall'altra si giova dei suoi favori elemosinando quelle prebende che a parole si vorrebbero abolire, ma che nei fatti si reclamano in forma di sovvenzioni e di agevolazioni fiscali e tributarie.    Non sempre "privato è bello" anzi, spesso, privato è sinonimo di interessi di casta e di classe, perciò chi non possiede un adeguato conto in banca vede preclusa la maggior parte dei servizi che il "privato" offre, naturalmente dietro adeguato compenso; sicché vale sempre il vecchio assioma secondo cui "il guadagno di una persona è la perdita di un'altra" e stento a credere alla filantropia di un'economia di mercato le cui ferree leggi impongono che a vincere debba essere sempre e comunque il più forte.