IPERBOLE

ALI DI CERA, ALI DI CENERE


   
Arriva improvviso il momento in cui il peso struggente dei ricordi annulla ogni altra interiore pulsione e diviene persino difficile scrivere per diletto di argomenti più cogenti e attuali o attendere con un minimo di pratico raziocinio alle "usate cose" distratto come sono dalla spirale implacabile di una dolce mestizia che, specie di sera, quando il cielo si spegne e l'orizzonte si accende di luci lontane, giunge a soffocare col suo disincanto il mio trepido rimembrare.Cerco la solitudine e la campagna mi aiuta ad isolarmi da quell'altrove di dolore nel quale ho speso un altro mio giorno di lavoro, così facendo mi illudo di poter spaziare liberamente con lo sguardo verso il mare senza provare rancore per l'ombra mia stessa e di volare ancora e sempre con ali posticce di cera senza precipitare, come certo vorrei, nel gorgo di una passione che già vissi alla luce di un sole che adesso illumina e riscalda un cuore diverso dal mio. Desidero la donna di un altro, ma quella donna un tempo è stata "mia" anche se ora quel desiderio di astratto possesso mi porta solo a idealizzare un "Amore" che trascende il tempo e lo spazio e pertanto appartiene a quei miti di un Olimpo dei sentimenti ai quali si guarda con la certezza di saperli irraggiungibili e inverosimili. Continuo a riavvolgere il nastro del tempo seguendo la rotta e le tappe dell'imponderabile destino, tento di sciogliere e di riannodare quel filo che ancora a te mi conduce, perduto come sono nel labirinto delle emozioni nel quale ancora mi confina l'onirica idea di saperti a me vicina. Sarei poco sincero se non riconoscessi che in tali frangenti faccio di tutto per spegnere qualche altra scintilla latente che da una parte forse aspetta, nascosta in qualche recondito recesso dell'anima, di scoccare nuovamente per ravvivare il fuoco di un'esistenza diversa che invece si trascina stancamente fra "ozi" pieni di convulsi "negozi" mentre dall'altra cerca di non esporsi più di tanto al vento delle passioni per non dissolversi e spegnersi del tutto in un presente che non sa di niente. Forse reprimo stoicamente un bisogno d'amore che solo tu e nessun altra poteva donarmi, dissimulo in estenuanti mille interessi e in un lavoro di certo appagante, il tedio mortale della solitudine che tuttavia mi "sorride come una puttana" e nascondo nel fragile guscio dell'apparente rassegnazione una paura di novità o se vuoi di tradimenti che avrebbero il merito di allontanarmi, di certo mai del tutto,  da te e dal mio piccolo mondo antico, un porto così intimo e familiare, nel quale sono talmente ancorato da sentirmi protetto e al riparo da ogni altra tempesta.Resto perciò quasi sospeso nel nulla, mentre come nuvole scorrono a frotte immagini e persone e basta un niente, un appunto, un incontro, un disco, un fiore, un libro per precipitare nel gorgo dei rimpianti che si sommano gli uni agli altri, formando gli anelli di una catena che mi lega ad un passato dal quale tu sola emergi ammaliante per darmi ancora nei sogni l'illusione di averti accanto.Scorro fra le dita fogli ingialliti, leggo quel che scrissi in anni ormai lontani e mi sorprendo nel considerare l'abissale distanza che mi separa da quegli eventi, non tanto per il tempo trascorso, quanto per la spensierata incoscienza che accompagnò la fine della mia adolescenza, mai abbastanza plagiata e irretita da non permettermi di reagire e di prendere letteralmente a calci un mondo, quello clericale, che ora critico e guardo con astio feroce e con estrema commiserazione.  Il fruscio delle pagine mi porta l'eco di giorni stonati, perduti fra le austere volte di un vecchio seminario del quale l'unico, vivido ricordo rimastomi è rappresentato da un harmonium sul quale di nascosto iniziai a suonare qualcosa che per me era musica, da quella mia calligrafia che il tempo ha mutato, ora sgorgano pensieri inariditi nei quali stento a riconoscermi per averli finalmente abiurati: alle verità rivelate, ho sempre preferito quelle acquisite e conquistate.Eppure quelle riflessioni, quei pensieri vergati con la stilografica, vecchio vezzo sopravvissuto a quegli anni, sono ciò che resta di un atroce, stagnante periodo nel quale tutto tramava per farmi diventare quel che altri avrebbero voluto che io fossi: un prete.Quanto di peggio possa io ora concepire per un ragazzo non ancora abbastanza cresciuto da decidere del suo futuro senza condizionamenti astrusamente vocazionali: "dio ti vuole, dio ti chiama"! Ma quale dio? Sotto quella falsa, fideistica, indottrinata certezza che ancora fatua traspare fra le righe di un diario spesso sottratto dalle grinfie di un padre spirituale, più attento ai turbamenti del corpo che a quelli dell'anima, leggo piuttosto il riflesso di un'inquietudine che presto divenne, anche grazie a te, epica e feroce ribellione. Non immagini quanto ancor oggi penso a quelle domeniche pomeriggio, quando tuo padre, forse l'unico che avvertiva il mio profondo disagio, accompagnava in auto i miei per un incontro settimanale durante il quale io affidavo ad uno sguardo il desiderio di vederti. Guardavo i suoi occhi e speravo di veder riflessa la tua immagine, un gioco certo infantile e innocente, una "corrispondenza d'amorosi sensi" che solo d'estate s'avverava ed esplodeva come quei temporali che tanto ti spaventavano. Chissà se hai ancora paura dei tuoni, chissà se quando vedi una cinquecento pensi ancora alla mia, alla nostra, vecchia cinquecento amaranto, quella che tu chiamavi "amatanto" quasi per sottolineare l'intensità di un sentimento che doveva sembrarci davvero eterno.  E' l'ultima volta che sfoglio questo diario, sto per bruciarlo, preferisco che sia cenere al pari di quegli anni dei quali è bene che non restino altro che questi pensieri sparsi nel cielo ventoso di un giorno d'inverno insieme all'intimo tormento che solo il tuo ricordo riesce a lenire.