IPERBOLE

ECCELLENZA INGERENZA


                                  
A volte, la risposta migliore all'accusa di manifesta ingerenza con fondatezza rivolta alla ingombrante e parassitaria chiesa dei papi e dei preti, arriva paradossalmente proprio a stretto giro di pulpito dalla viva voce di chi si ritrova ad essere sputtanato dalle sue stesse parole che risuonano con gran fragore nel sotto vuoto spinto della loro proverbiale e nauseante farisaica condotta, per ritornare quindi a colpire come un boomerang micidiale, proprio chi ha avuto l'eccellentissima sfacciataggine di pronunciarle. E' il caso del signor paolo romeo, che qualcuno chiama al pari dei suoi colleghi chierici: "monsignore" un termine, anche questo, che già di per sé evoca un servilismo da superare proprio abolendo quegli epiteti che ne richiamano l'antico medievale servaggio, o al più da mantenere, ma in forma "dispregiativa" beninteso, come mi pregio spesso fare, per qualificare un qualsiasi prete in carriera, che nel caso in specie esercita la professione di arcivescovo-valvassore papale in terra sicula, il quale prelato, nel celebrare la messa funebre in suffragio dell'ispettore capo Filippo Raciti, giunto al momento del predicozzo, come da copione, si è completamente disinteressato del defunto per esibirsi nel vaniloquio panegirico dedicato alla santa patrona della città etnea.La qual cosa non è sfuggita ai numerosi politici presenti alcuni credenti, praticanti e leccanti oltre il lecito, che hanno variamente commentato il maldestro tentativo del signor romeo di coniugare i due momenti, quello delle esequie propriamente detto e l'altro, per così dire festante e giulivo, dedicato alla incolpevole taumaturga, trovatasi suo malgrado, nel giorno a lei dedicato, ad essere tirata in ballo da un officiante zelante quanto poco partecipe del lutto che ha colpito la Nazione intera."Era stridente il contrasto tra la funzione religiosa e il funerale" ha commentato il devotissimo Castagnetti, più immediata, pungente e laica è stata invece Giovanna Melandri che ha così chiosato: "Meno male che di Raciti hanno parlato la moglie e la figlia".La risposta del "monsignore" delle mie rotanti sfere non si è fatta certo attendere: "L'omelia non è un comizio...A politici come Giovanna Melandri, dico solo che prima di dire ad un vescovo cosa dire dall'altare dovrebbe prima imparare a pregare".Minchia, eccellenza dei miei stivali, minchia (mi si consenta la colorita espressione sicula, così giusto per restare nel palazzo curiale del signor romeo), la sua replica è così secca e intransigente da permettermi di ribattere che altrettanto allora dovrebbero finalmente dire gli onorevoli parlamentari di questa Repubblica (ahi, serva Italia) così ben disposti nel lasciarsi influenzare dai "non possumus" di un vaneggiante her ratzinger o dai diktat di una "ruinante" conferenza episcopale italiana che ha scambiato il Parlamento di uno Stato nel capitolo generale della confraternita degli imbelli osservanti, sempre muti, proni e genuflessi.La gerarchia ecclesiastica non gradisce che alcuno sia pure en passant abbia alcunché da ridire sul loro operato e la qual cosa potrebbe anche essere comprensibile a condizione però che anch'essi si astengano cristianamente, dal mettere lo zampino anzi, per meglio qualificarli, lo zampone, in affari che non dovrebbero minimamente interessarli. Proprio secondo il citatissimo passo evangelico: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Quando si confondono le due Entità, infatti, basta poco per trasformare uno Stato "laico" o presunto tale, nella sciagurata teocrazia dei fondamentalismi nella quale regna sovrano il papa re, la cui maestà è stata l'altro giorno lesa anche da un popolare presentatore televisivo che ha avuto l'ardire di rimproverare il basso profilo tenuto dal vaticano nel commentare quanto accaduto a Catania. Per tutta risposta si è beccato una piccata reprimenda dell'organo ufficiale dello stato pontificio che ha bacchettato il Baudo nazionale, nonché catanese di nascita, perché ha osato abbaiare verso la finestra dalla quale si affaccia il papa, senza aver prima indossato la museruola. E domani, alla luce di quanto sta accadendo in queste ore, i pennivendoli del giornalettismo d'area destrorsa, quelli tutti "dio, patria, famiglia e moschetto" e gli scribacchini del giornale dei vescovi italioti, organo di stampa che si avvale del sostanzioso contributo sull'editoria elargito loro da uno stato magnanimo quanto compiacente, intingeranno i loro spuntati pennini nell'acquasantiera d'Oltretevere e indirizzeranno sotto dettatura l'ennesimo anatema contro il disegno di legge sui "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi."Già ieri avevano issato lo stendardo del papa-re, riesumando il "non possumus" di pio nono, pronunciato nel 1870 dopo la storica Breccia di Porta Pia, contro quelle che la chiesa chiamava le "usurpazioni piemontesi" che segnarono la fine dello stato pontificio e l'inizio della riunificazione dell'Italia, per bollare come una "usurpazione" la legittima potestà di uno Stato indipendente e sovrano, di legiferare in piena autonomia e senza condizionamenti moralisteggianti.Hanno definito il disegno di legge in itinere: "uno spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana".Un altro principe della chiesa dei papi-padroni, il signor poletto, di professione cardinale, valvassore papale all'ombra della Mole,  è arrivato persino a suggerire l'idea di un intervento del diavolo nella legislazione italiana."Sull'esistenza del demonio non ci sono dubbi" ha dichiarato, specificando che satana è in azione per indurre al peccato anche con progetti di "scassinamento della famiglia" e della società.Diabolico, non c'è che dire! La chiesa cattolica è ormai "minoranza ideologica" un relitto di religione, sa di non avere più "voce in capitolo" malgrado strepiti così sguaiatamente, sa che la sua evidente ipocrisia è "un segno dei tempi" e perciò è tanto più agguerrita nel reclamare spazio e visibilità, quanto più cosciente di lottare per la sua stessa sopravvivenza.