IPERBOLE

RIFLESSIONE PER UN VENERDI' DI PASSIONE


         
Non vorrei sembrare blasfemo, ma oggi, venerdì santo di una settimana in cui la chiesa cattolica porta in processione il mistero di una redenzione rimasta in quel sepolcro scavato nella roccia dal quale nessuno più risorge per annunciare la lieta novella, credo che sarebbe meglio interrogarsi sul significato di una morte che ha lasciato il vuoto di un'attesa di là da venire, a malapena colmato da una fede costruita a immagine e somiglianza di un uomo morto invano sulla croce più di duemila anni fa. "Tutto è compiuto" le sue ultime parole prima di chinare il capo e spirare.Tutto è invece rimasto com'era, l'incompiutezza della missione redentrice manifesta il suo fallimento nelle stigmate di una società nella quale il comandamento cristiano più importante "ama il prossimo tuo come te stesso" è rimasto lettera morta, crocefisso insieme a quel Gesù di Nazareth, che continua a chiedere "Padre, Padre perché mi hai abbandonato" quasi a voler significare l'estrema, dolorosa solitudine nella quale si è consumata un'esistenza culminata con la morte più atroce sul legno di una croce sulla quale continuano invariabilmente ad essere crocifissi i poveri, i derelitti, gli emarginati, gli ultimi  che difficilmente saranno così beati da poter solo sperare di essere, come promesso, primi. Infatti, nel discorso della montagna, meglio noto come le Beatitudini e in buona parte delle promesse evangeliche, il predicato verbale è coniugato al tempo futuro, il presente rimane drammaticamente oscuro, con le sue stridenti contraddizioni sembra precludere del tutto ogni speranza. Per averne la conferma basta spostare l'attenzione su quel che avviene nel terzo e quarto mondo, nelle periferie di un occidente attento solo a rivendicare le radici cristiane di una pianta che vegeta senza fruttificare. Purtroppo la mia fede non mi consente più di cogliere il significato escatologico di una morte oggetto solo di finissime disquisizioni teologiche ed esegetiche che puntualmente diventano lacere pezze di appoggio di un chiesa in crisi di identità che ha sfruttato la morte di un uomo fatto Dio per darsi una parvenza di mistica religiosità intrisa di farisaica ipocrisia, decisamente incompatibile col messaggio che si vorrebbe annunciare avendo inoltre la supponenza di credersi unici depositari di una verità assoluta. Non riesco più a vedere il Rappresentato nei suoi rappresentanti che vestono di bisso e di porpora, hanno preziosi gemelli ai polsini inamidati, sfoggiano pesanti catene con crocefissi d'oro al collo, si appoggiano a pastorali d'argento, banchettano insieme agli epuloni e ai crapuloni di turno, si schierano come tanti sepolcri imbiancati nel cimitero del falso perbenismo e lasciano cadere solo le briciole per i tanti Lazzaro che invece di essere "innalzati" precipitano nel baratro della miseria percorrendo una via crucis che diventa vita crucis, tra l'indifferenza di quanti potrebbero trasformarsi in cirenei e non lo fanno, accecati come sono, come siamo, dall'egoismo e dal sonno dogmatico dell'abbondanza.   Ho fra le mani un crocefisso che il mio bisnonno, morendo, strinse fra le sue, lo conservo con una particolare venerazione, il valore affettivo e il ricordo che suscita ne fanno un oggetto la cui sacralità (il Buon Dio mi perdoni) prescinde da ogni altra considerazione.  Il timore dell'idolatria fa di me un iconoclasta. Sul retro del crocefisso sono raffigurate le stazioni della via crucis, quella stessa via crucis che fa da sfondo alle tante tragedie che ogni giorno si consumano, fra i sommi sacerdoti che giudicano e condannano, i Pilato che si lavano le mani sporche del sangue di tanti innocenti e i Longino la cui lancia continua a trafiggerne il costato per assicurarsi di aver eliminato per sempre quanti possano essere di impedimento al realizzarsi di un regno che, pur non essendo di questo mondo, gratifica grandemente i suoi governanti e si manifesta in tutta la sua invereconda ipocrisia nella chiesa del papa di Roma. E' per me impossibile vedere il volto di Cristo nel papa re, che si proclama suo vicario, o nei preti che si dicono suoi ministri, i quali tutti stasera, sfilano a corte e in processione falsamente contriti e compunti per celebrare il mysterium iniquitatis della chiesa trionfante.Se proprio devo, preferisco vedere Cristo nei disperati del Darfur, nei poveri della baraccopoli di Nairobi e nell'opera di padre Zanotelli, o ascoltarlo con la voce di padre Jon Sobrino che predica la Teologia della Liberazione fra i diseredati dell'America Latina, perché "i poveri rimandano a Dio in quanto Dio è in essi, al tempo stesso nascosto e manifesto. E loro e non altri sono i veri vicari di Cristo".