Si eclissa il dì nell'alibi notturno. La notte giorno diviene, d'ansia trepidante s'anima l'inizio e la fine annuncia e l'impari lotta dal Destino segnata. Scienza e coscienza si rincorrono invano, di combattere l'Ineluttabile s'illudono boriose e si perdono oltre il labile confine segnato dall'incerto cammino. Falene danzano rapite dal fuoco fatale del niente, fochi respiri a fili sospesi nel pianto straziante di una madre si sciolgono nel buio accecante della morte. Sirene senza tempo e incanto, il cuore dal petto strappano, fugaci e silenti scivolano via nel cielo, lame d'azzurro saettano e squarciano sipari quasi laceri. Sudari intrisi di sangue stesi ad obliare immote vite, petali sparsi sul candido velo, segnano di sguardi spenti e di palpebre chiuse per sempre il turno di notte. Sitibondo mi disseto a quella greca fontana, arsa dal sole e dal vento, cariatide senza tempo in riva al mare stilla zampilli filanti d'ambrosia e l'arsura dell'anima placa. Adagio su quelle sponde a ritroso ritorno e con lo sguardo, notte, ti seguo mentre furtiva t'allontani e la mano riluttante concedi al mesto incedere di un altro ieri.