IPERBOLE

RILEGGENDO "IL POVERO LAZZARO E IL RICCO EPULONE"


 
Spesso in questi post ho evocato, en passant, la figura del povero Lazzaro e del ricco Epulone, due personaggi fra loro agli antipodi ed entrambi emblematici di una povertà dignitosamente vissuta e di una ricchezza spudoratamente esibita.Pur non essendo più cattolico praticante e neanche credente, quindi esente da ogni forma di precettistica riconducibile alla esteriore ritualità così ben rappresentata dalla canonica “messa” in scena domenicale sponsorizzata dal catto-fariseume imperante, continuo a leggere e a meditare, per mio conto e senza la faziosa esegesi di altri presunti intermediari, la liturgia della Parola, l’unica parte della “celebrazione eucaristica” che ancora riesce a parlare al mio cuore.Una vecchia abitudine “contratta” ai tempi del seminario mi porta a sfogliare l’indice delle letture inserite nella liturgia della Parola, il logos che diventa spunto di riflessione continua ad affascinarmi, non solo dal punto di vista meramente letterario, ma anche e soprattutto filosofico e sociale, in considerazione del fatto che il cristianesimo, prima che i papi e gli imperatori decidessero di farlo diventare una delle tante religioni che infestano il pianeta, è stata ed è una filosofia di vita. L’insegnamento cristiano, per certi versi assimilabile agli ideali socialisti, se attuato, costituirebbe la risposta più efficace ai mille problemi che affliggono i nostri giorni così esposti alle intemperie dell’egoismo e delle ingiustizie sociali; ci sono, infatti, delle pagine del Vangelo che pur non offrendo delle soluzioni preconfezionate sembrano suggerire il modo migliore per superare conflitti e iniquità, alcune pagine sono così attuali da essere “rivoluzionarie” nella disarmante semplicità di un testo che, al netto di ogni manomissione letteraria ed esegetica, sempre in agguato quando si tratta di traduzioni e di interpretazioni passate per il vaglio vaticano, pare davvero riflettere il pensiero del Nazareno che, in verità, non si è mai proclamato figlio di Dio né ha preteso che altri lo facessero per lui.  E’ il caso della terza lettura inserita nella liturgia della Parola di ieri e tratta dal Vangelo di Luca (Lc cap.16, vers. 19 e seg.), un brano che molti, fra i riccastri parassiti nostrani, dovrebbero tenere bene in mente soprattutto, quando legiferano o pontificano in violazione proprio di quelle norme alle quali, solo a parole, dicono di ispirarsi e così facendo dimostrano quanto lontani siano dal prefigurare e dal perseguire una società più giusta: impegnati come sono nel garantire gli interessi del ricco Epulone, calpestano quelli del povero Lazzaro, forse perché credono che gli ultimi non avranno mai la forza di ribellarsi.Fosse solo per la legge del contrappasso, quei riccastri patrizi oberati dalla loro “inindagabile ricchezza” che si fanno chiamare onorevoli e presidenti, i preti che si fregiano del titolo di monsignore, eminenza e santità, gli scribi e i farisei che oggi se la spassano sfruttando il popolo bue e i servi della gleba, dovrebbero temere più la reazione della plebe che non la giustizia divina, di là da venire, ammesso e non concesso che da qualche parte ci sia ancora Qualcuno che abbia a cuore la sorte degli ultimi e dei negletti della terra, ai quali sono negate finanche le briciole.“Cera un uomo che vestiva di porpora e di bisso e banchettava ogni giorno splendidamente. Presso il suo portone giaceva un povero di nome Lazzaro, pieno di ulcere e che desiderava sfamarsi di ciò che cadeva dalla mensa del ricco; perfino i cani venivano a leccargli le ulcere.Or avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.Morì anche il ricco e fu sepolto. Trovandosi questi nell’Ade fra i tormenti, alzati gli occhi, vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno.Allora, alzata la voce disse: Padre Abramo, abbi pietà di me. Manda Lazzaro, affinché intinga nell’acqua l’estremità del suo dito per refrigerarmi la lingua, perché spasimo in questa fiamma; ma Abramo gli rispose: Figlio ricordati che nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro similmente i mali, adesso invece egli è consolato e tu sei negli spasimi…”Se c’è una pagina evangelica, accessibile e proponibile a tutti, laici e laicisti compresi, priva dei ridondanti sofismi religiosi tanto cari al clericalume imperante che con quelli ha costruito le sue fortune, è proprio la pagina che in forma di parabola, parla del “ricco Epulone” e del “povero Lazzaro”: una storia a sé in un contesto di fatti e detti ben definiti, raccontata senza l’intento di trarne una qualsiasi morale, finalità che invece balza evidente in ogni altra parabola evangelica. L’unico riferimento di carattere religioso è una visione dell’al di là, presentata con la figura di Abramo “padre dei credenti”.Già nei versetti precedenti del brano citato, c’è un anticipo di quello che sarà poi il rapporto Lazzaro-Epulone, laddove si legge e si condanna la volontà che taluni hanno di procurarsi “amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne (un principio di raccomandazione e di affiliazione quanto mai attuale); quando si ricorda che “nessun servo può servire due padroni…Dio e mammona (ma c’è chi serve invariabilmente l’Uno e l’altro, pensando di essere padrone e…padrino del destino altrui); e quando ancora rivolgendosi ai farisei “che erano attaccati al denaro…e si beffavano di lui” Gesù dice: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”.Di esempi in tal senso l’attualità continua ad offrirne ad abundantiam, ci sarebbe il solito imbarazzo della scelta, ma qui non si considera solo la parte per il tutto, si prospetta piuttosto una situazione di vita e di morte che è di ciascuno e di tutti e che, al tempo stesso, offre la misura di come vanno le cose nel regno di mammona e nel regno di Dio, laddove a livella del principe De Curtis segna la caducità di ogni destino, offrendolo al giudizio finale.Come sempre, si fronteggiano due diversi ordini di giustizia (come già si legge in Matteo 5,6: “poiché vi dico che, se la vostra giustizia, non sarà maggiore di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”); due mondi che coesistono l’uno a danno dell’altro, incomunicabili e irriducibili, checché ne pensino certi teorici del ca…pitale per i quali “sono i soldi a rappresentare la libertà” (ipse dixit briatore), tanto che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”.Sia pure per mingere nel suddetto ca…pitale!Dato il senso propriamente escatologico del racconto e la prospettiva di un futuro intravisto solo con gli occhi della fede, ci sarebbe da parte mia ben poco da meditare, avendo io perso parecchie di quelle fideistiche diottrie, ma se guardo invece al carattere puramente laico e sociale dell’assunto evangelico, scorgo in esso un’icona dell’intera Buona Novella: le beatitudini, il discorso della montagna, il comandamento più grande “ama il prossimo tuo come te stesso” e, per chi crede, il medesimo giudizio finale decretato per volontà di “sora nostra morte corporale, da la quale (come scrive Francesco d’Assisi) nullu homo vivente po’ skappare”.L’unico punto di contatto tra i personaggi della vicenda è nel fatto che “un giorno il povero morì” e “morì anche il ricco”.Questa, volenti o nolenti, poveri e ricchi, laici e clericali di ogni risma e colore, è la prova del nove della condizione umana: se non è condivisa la tavola della solidarietà in vita, avverrà un rovesciamento in morte, per cui l’uno è consolato e l’altro è negli spasimi. Non è solo questione di contrappasso per ragioni di meriti e demeriti: è la tragica possibilità di giocarsi tutto in questa vita puntando solo e soltanto sul proprio egoismo.Le grandi rivoluzioni, quelle generate dal vento dalla Storia, hanno spazzato via per primi i ricchi Epuloni e il falso perbenismo clerico-borghese, mi fanno ridere quei “ricchi” della loro insolente ignoranza placcata similoro che ora reclamano il rispetto della Legge (proprio loro che ogni giorno la violano con opere e omissioni) e prefigurano marce e lotte di liberazione per difendere il proprio orticello, l’identità nazionale e cristiana insieme ai privilegi e agli interessi di un occidente sempre più popolato da caste e da confraternite criminali, mentre il Lazzaro di sempre rimane ai margini di una società opulenta che preferisce trattare meglio i cani, piuttosto che dare qualche briciola agli ultimi della terra, ai migranti, ai poveracci del Terzo e Quarto Mondo, sempre più schiacciati e maltrattati da un capitalismo selvaggio nel cui nome il 20% della popolazione mondiale, l’Epulone industrializzato, sfrutta l’80% delle risorse disponibili, depredando proprio quel patrimonio che dovrebbe garantire a tutti uno sviluppo equo e sostenibile.  Da una parte c’è chi ha bisogno di aiuto, non per vivere, ma per sopravvivere e chiede aiuto senza ottenerlo, restando magari ai margini, alla porta, alla maniera dei cani, ed insieme ad essi, sottomessi al padrone di turno, sperano che dopo aver sfamato i cani, il ricco Epulone si ricordi anche del povero Lazzaro.E c’è anche chi, come il ricco mercante, il prete, il levita che scendeva da Gerusalemme a Gerico (rammento la parabola del Buon Samaritano), resta insensibile ad ogni appello di umanità e di giustizia, si chiude nella propria autosufficienza, facendosi scudo dell’amor proprio, si inventa mille scuse pur di tacitare la propria cattiva coscienza, si volge dall’altra parte e finge una solidarietà fine a se stessa, così come suggerisce la cattolica ipocrisia.  Quello del ricco è uno status quasi bloccato in cui il creso si autocompiace della propria ricchezza soffrendo terribilmente, quando la fortuna gli volta le spalle, mentre quella del povero è una triste condizione che, però, rimane aperta ad ogni soluzione, trovando spesso nel poco e nell’indispensabile la massima gratificazione. Ben misera consolazione!In effetti, c’è sempre un momento in cui tutti noi abbiamo bisogno e desideriamo ardentemente il refrigerio di una sola goccia d’acqua, la stessa goccia d’acqua, inutilmente reclamata dal ricco Epulone nell’Ade. Ma, a quel punto, a leggere il Vangelo con gli occhi della fede, i giochi sono ormai fatti, e chi ha il cuore inaridito non può aspettarsi più nulla, nemmeno una goccia d’acqua, neanche una briciola di pane: il ricco Epulone rimane vittima del proprio orgoglio, della propria chiusura e di quella dorata incomunicabilità che prima lo rendeva sordo ad ogni richiamo di aiuto e lo isolava dal resto del mondo, mentre ora lo imprigiona per l’eternità.E quand’anche avesse solo il desiderio di rendersi utile, dicendosi disposto a sacrificarsi perché altri non ripetessero i suoi errori, la risposta, giunta a stretto giro di parabola evangelica, sarebbe del tutto inutile, poiché chi ha il cuore appesantito “dalla crapula, l’ebrietà e le preoccupazioni della vita” non riuscirebbe ad ascoltare neanche le sollecitazioni di un risorto dai morti.Sergio Quinzio, teologo “laico” fra i più illuminati, arriva a parlare di “profezia dell’impotenza a salvare da parte dello stesso Messia risorto” come dire, il fallimento di una missione salvifica che trova compimento nella disfatta di una chiesa cattolica che è nata tradendo le aspettative del cristianesimo, dalle cui ceneri è sorto un centro di potere che nei secoli ha sostituito “Madonna Povertà” ha abbracciato “mammona” ed ha rinnegato lo spirito evangelico, continuando come se nulla fosse a servire due padroni e, all’occorrenza, servirsi di entrambi.La salvezza, come insegna la Teologia della Liberazione, è sempre qui ed ora, il povero ha bisogno già in questa vita di redenzione, non nell’altra.  Il carattere escatologico della promessa messianica, è un espediente per tenersi buono il Lazzaro di sempre, pazienza se nel frattempo la farisaica chiesa catto-vaticana, parolaia e bacchettona, tollera e copula amabilmente con il ricco Epulone, divenendo essa stessa “Epulone” di una fede che insegue e persegue la ricchezza e il regno di questo mondo.Pazienza, caro Lazzaro, se in questa vita soffri e muori di stenti, nell’altra, forse, avrai un destino diverso, intanto, io, tronfio Epulone catto-vaticano, me la spasso, convinto di comprarmi anche il Paradiso.Eppure, il giudizio finale di Cristo non scaturirà dalla dottrina o dalla fede professata, ma dalle azioni che ciascuno ha compiuto durante la sua vita terrena.Cristo domanda se ha hai dato da magiare agli affamati, da bere agli assetati, se hai vestito gli ignudi e dato ospitalità ai senza tetto, se sei stato di aiuto nei confronti dei fratelli più “piccoli”. Tutto il resto, precetti e anatemi compresi, sono solo dettagli, orpelli di una chiesa disegnati a sua immagine e somiglianza.   Proiettata su scala sociale, la storia del ricco Epulone e del povero Lazzaro, ci costringe a prendere atto di una situazione di ingiustizia sociale incancrenita da secoli di cattolica indifferenza, ma invita anche alla necessaria lotta di resistenza e di Liberazione con questo interrogativo nel cuore che lascio alla meditazione degli occasionali lettori di questo post: può un Dio buono e giusto, restarsene in silenzio, indifferente anch’Egli al grido di Lazzaro?A giudicare dallo stato delle cose, forse sì! Allora è proprio vero che il Creatore è stato costruito a immagine e somiglianza della Creatura.