IPERBOLE

SILENZIO ROTTO DALL'INDIGNAZIONE


    
Seguo parzialmente il suo consiglio e mi impongo un rispettoso “silenzio” anche perché se scrivessi tutto quello che penso sul profittevole cinismo del clericalume imperante e del fariseume trionfante che in Italia regnano sovrani, rischierei di essere più impulsivo e ribelle di quanto normalmente già traspare da questi post dettati dalla sterile voglia di indignarsi; sì sterile, giacché la parola senza l’azione è destinata a languire nelle coscienze obnubilate dagli operatori di iniquità incardinati in un sistema perverso che sfrutta tutto e tutti, finanche Dio, perfino l’agonia di una donna e la morte di un uomo ogni giorno crocifisso nella pervicace negazione di diritti volti ad affrancare proprio i più deboli non certo dalla schiavitù del peccato, giacché quello è solo un paravento, un pretesto per compierne di altri ben più esecrabili e riprovevoli, empiamente perpetrati nel nome del falso perbenismo predicato dai sepolcri imbiancati di stanza oltretevere.Così come ha forse inteso fare chi ha protestato contro il trasferimento della paziente da Como a Udine e ha gridato: “Eluana, svegliati” quasi avesse a che fare con un altro Lazzaro, solo che stavolta il potere taumaturgico degli invasati e dei travasati mentali nulla può contro l’evidenza di una realtà che, insieme alla negazione dell’humana pietas, indica la perfida volontà di opporsi all’applicazione di una sentenza. Anche se l’Italia è un paese a laicità limitata resta pur sempre la Patria del Diritto e sarà bene rammentare agli ayatollah catto-vaticani quanto recita l’articolo 32 della Costituzione Italiana e l’articolo 5 della Convenzione di Oviedo, entrambi questi articoli pongono l’accento sulla volontarietà delle cure e sulla necessità di dare il proprio consenso a qualsiasi trattamento. Un’attenta analisi delle condizioni di salute di Karol Wojtyla nelle ultime settimane della sua esistenza dimostra in modo inoppugnabile (anche grazie a un libro scritto da un archiatra papale, Lasciatemi andare…) che per sua scelta non gli sono state praticate alcune cure che pure avrebbero potuto tenerlo in vita ancora a lungo. Ai corti di memoria e di comprendonio ricordo quei giorni, le immagini scorrono come un film proprio adesso che altre si sovrappongono a quelle inducendo ad una riflessione che diventa preghiera e amorevole silenzio rotto dal frastuono di polemiche ambigue e crudeli. Perfino respirare gli costava fatica, eppure fra tutti i problemi del complesso quadro clinico sviluppato dal paziente Wojtyla, l’insufficienza respiratoria acuta non costituiva da sola causa di imminente pericolo di vita per l’illustre paziente. Il papa si stava lentamente spegnendo per una complicanza legata all’evoluzione del morbo di Parkinson: i muscoli laringo-faringei non riuscivano più a contrarsi provocandogli perciò l’incapacità di deglutire. Tralascio ogni altra considerazione legata all’evoluzione del quadro clinico, ricordando però l’ultima volta che il papa si affacciò dalla sua finestra, il 27 marzo 2005: la sua struttura muscolare era visibilmente debilitata dalla denutrizione, oltre che dal m. di Parkinson; la notevole astenia gli rendeva faticosa la respirazione anche attraverso la cannula tracheostomica, per non dire della fonazione pressoché assente che gli procurò uno dei pochissimi gesti di rabbia in pubblico e quella benedizione muta rimasta a mezz’aria.Karol Wojtyla morì infatti sei giorni dopo. E’ da notare che la cura non somministrata al paziente Wojtyla a tempo debito, vale a dire la nutrizione artificiale, è precisamente quel trattamento che un documento approvato dal comitato nazionale di bioetica, voluto da un gruppo di bioeticisti cattolici, ha codificato come “sostegno di base” permanente che non si può mai negare in nessun caso e a nessun paziente. L’evoluzione della malattia di Karol il Grande, vista dall’esterno con occhi profani è apparsa “logica” perché il paziente sembrava così vecchio e debole, cosicché la morte sembrava a tutti “naturale” nel senso che nessuno l’ha trovata strana. Per non dire dolce!Era evidentemente convinto che il suo rifiuto fosse “accettazione della condizione umana di fronte alla morte”. L’humana pietas dei medici gli ha consentito di agire in base a tale convinzione ed egli ha potuto attendere “serenamente il momento del sollievo” e di chiedere e ottenere di “andare dal Signore” recitando il nunc dimittis, la preghiera di Simeone. Non così per i loro cari schiacciati da un dolore e da un peso reso ogni giorno più insopportabile dall’arroganza e dalla crudeltà di inqualificabili personaggi che inneggiano alla non-vita.secondo l’arbitrio di altri uomini, e neppure della persona coinvolta. Ciò per disprezzo e per odio. La cosiddetta società civile offre (dovrebbe offrire) informazioni accurate, strutture adatte impediscano a qualcuno di aggredire ingiustamente la vita degli altri (magari derubandoli Se è ragionevole invocare il criterio di precauzione per non sottrarre l’idratazione a sottrarre le risorse d’acqua e di alimentazione (e le medicine, e la sicurezza e per la vita degli altri uomini spiega l’atteggiamento di nazioni e continenti (sedicenticristiani) verso milioni di moribondi in tutto il mondo. Proprio ieri, giorno in cui Eluana, come foglia sospesa staccatasi da quel ramo del lago di Como per raggiungere e trovare la pace e la Quiete negli amati luoghi paterni, la liturgia della Parola ha proposto il brano del Vangelo che descrive la circoncisione e la presentazione di Gesù al tempio e la preghiera di Simeone. Ieri mattina ho letto il Vangelo, ieri sera tardi le agenzie battevano la notizia dell’ultimo viaggio di Eluana. No, non può essere una semplice coincidenza. Lasciamo che Eluana, come Karol, vada dolcemente in pace verso una morte che è parte della vita. I toni da crociata non servono a nessuno anche se oggi qualche gerarca catto-vaticano ha dato il peggio di sé lanciando i soliti anatemi volendo fermare “quella mano assassina”.