L’aquilone immoto nel cielo del tempo è come un gabbiano senz’ali ghermito in volo dal più subdolo dei mali. Smarrito nel labirinto dei ricordi, schiacciato al suolo dal peso dei rimpianti, non riesce più a trovare le correnti ascensionali per salire in su la cima dove fulgida ancora brilla la luce di un faro e ai suoi piedi al buio resta vagando nelle tenebre di una notte senza fine. Brandelli di laceri drappi ondeggiano nella mente e flagellano i pensieri fra i marosi di un naufragio; non sono altro che relitti quei versi adolescenziali, isole incantate, memorie trasognate, echi di voli pindarici spiccati fra il cuore e l’amore soggiogati dal bagliore di un’ardente passione prima che l’abisso s’aprisse nell’orrido vortice della solitudine cercata con l’ossessione dettata più dall’istinto che dalla ragione. L’AQUILONE Fra i rami di un albero impigliato l’aquilone più non vola. Ormai lacero lo scheletro mostra di ricurve canne. Il moto sembra del vento ancor seguir ma, prigioniero di verde chioma su di sé s’avvita e fermo nel tedio rimane ostaggio del cuore della mente e del Fato. All’incerta mano sfuggì come d’estate il tempo sgrana ancora i giorni miei d’ombra pieni in riva al chiaroscuro scuro cielo d’occhi sognanti il mare silente rimasto all’orizzonte di un sogno negato. Ondoso fluttuo nelle tenebre chiudo gli occhi per vedere meglio e la lama di un faro ritorna a ferire a morte la notte uccisa dall’oblio. D’acqua argentei riflessi i passi tuoi orme lasciano fra le perdute volte, lacrime di sale rigano il volto impietrito dal rimpianto. Dell’arco il passo di varcare ancora bramo e per quelle antiche calli, stanco m’affretto per al fin giungere dove nessuno ha più per tetto quella che fu tua dimora. Ringhiere dalla ruggine screpolate, vano sostegno son di vasi vuoti dalla salsedine sbrecciati, simili a sfilacciate sartie gerani un tempo pendevano sospesi. A quei mi aggrappai e d’esser felice pensai fra i marosi in burrasca e la quieta risacca. Ora, appassiti, il vento di ponente sbriciola e disperde, polvere soffia fra le mal serrate imposte scosse dal turbine d’effimere passioni. Più non entra dagli opachi vetri la luce del tuo giorno, lento si dipana nel tramonto il filo dei ricordi, grovigli e nodi scorsoi inestricabili condannano a letargica quiete un aquilone dal Cielo esiliato.