IPERBOLE

IL BUE CHIAMA CORNUTO L'ASINO


Quando il bue chiama cornuto l’asino significa che si è perso irrimediabilmente il senso critico delle cose e la percezione di una realtà in cui la schizofrenia di taluni mandriani si scontra con l’alienazione mentale di altri pastori timorosi di perdere quel potere che, insieme, li porta a pascere un popolo contagiato dal  pecorume: un morbo trasmesso dai tanti portatori sani e malati di un virus che blocca ogni civile reazione; tanto che il dissenso esercitato dagli immuni e dai vaccinati viene ritenuto pernicioso non certo per la salute del popolo, ormai privo di difese immunitarie, quanto per l’arrogante sopravvivenza degli untori di quella peste che gli “intoccabili” di caste autoreferenziali diffondono nell’etere di un regime mediatico fiaccato dal perdurante dominio d’incoercibili oligarchi affetti da delirio di onnipotenza. In tale patologico contesto di eversione democratica, anche la conclamata demenza di un barbaro cispadano diventa più un caso clinico che comportamentale, non meritevole neanche di quell’umana compassione solitamente riservata agli idioti più o meno utili e funzionali alla strategia di uno spregiudicato dominus ex machina che si serve anche di costoro per coltivare i suoi sporchi interessi. L’etica pubblica è stata soppiantata dalla mala-etica privata, l’ipocrisia è stata elevata a sistema da un regime che proprio perché ottenebrato dal falso perbenismo dei suoi maggiorenti, si ostina a mettere in risalto la pagliuzza intravista nell’occhio del prossimo, ma si guarda bene dal rivelare le travi che accecano i suoi occhi, comunque rivelatori di un animo spregevole e malvagio votato alla più spietata delle egolatrie, espressione di una smodata sete di potere da estinguere solo con la distruzione dell’altrui facoltà d’accostarsi alla fonte della libertà. Quel che più fa specie è la corrività dei suoi manutengoli, solo parzialmente spiegabile da un appannaggio elargito in rapporto ai servigi resi. Quel che fa più schifo non è il cavaliere, ma i suoi scudieri che lo tengono in groppa ad un cavallo ansioso di disarcionarlo. Egli accusa altri di nefandezze che gli sono proprie, egli ascrive ad altri delle colpe che fanno di lui un imputato contumace; egli reclama con protervia un’impunità spiegabile solo col timore di un giudizio peraltro già emesso da una storia personale degna solo di un avanzo di galera e non certo di uno statista. Solo i ciechi e gli orbi non vedono le travi negli occhi del cavalier menzogna, solo i cortigiani e i leccaculo gli tengono bordone. Si dirà: sono la maggioranza! Come se la supposta maggioranza gli desse la facoltà di fare e disfare pro domo sua; come se la presunta maggioranza fosse il pretesto per instaurare una strisciante dittatura “offshore” dai canoni di qualsiasi sistema democratico, degno di questo nome. Norberto Bobbio la chiamava democrazia precaria! E’ fin troppo chiaro che c’è chi nel tempo ha approfittato di questo stato di instabilità per “scendere in campo” e sistemare le sue pendenze giudiziarie e finanziarie (altro che personalismi!) avendo un’infima concezione della Res Publica e un’immensa autostima di sé; il combinato disposto di questi due elementi insieme al pavido opportunismo di un’opposizione inesistente, tuttora lacerata dal leaderismo di personaggi in cerca d’autore (che a volte fa venire il dubbio che altro non siano che dei volgari doppiogiochisti) ha determinato che si giunga al deprimente spettacolo di un bue che un giorno sì e l’altro pure dà del cornuto all’asino di turno.      Ma la nostra non può più definirsi democrazia, sia pure precaria, visto che tutto depone per l’imporsi di un sistema oligarchico fra i più abbietti, la stessa frequentazione del novello duce con dittatori e oligarchi riconosciuti come tali, è la dimostrazione di una mutazione genetica verso un regime aberrante e perverso. Egli considera d’impiccio la Costituzione, vuole riscriverla, ebbene, inizi pure dall’art.1: “L’Italia è una repubblica oligarchica fondata sul malaffare, la sovranità appartiene alle camarille che la esercitano nelle forme e nei limiti dei comitati d’affare.”   Va da sé che il resto debba conformarsi a questo primo enunciato!      Il presidente del gran consilvio blatera di sovranità popolare, avendo un concetto assolutistico del potere pretende fideistica sudditanza, un riccastro sfondato sfrutta il plebeismo delle masse (mal) governando nell’esclusivo interesse della cricca di appartenenza; se fosse nella fattoria degli animali egli sarebbe più suino degli altri sentendosi autorizzato a infrangere impunemente la legge e a piegarla ai suoi voleri, così come d’altronde fa nell’italietta delle cupole clerico-mafiose; biasimare i giacobini, tacciare di giustizialismo quanti vorrebbero semplicemente che la legge fosse uguale per tutti: questa è la sua più grande ossessione. E inutile che il clericalume imperante salga ora sul traballante pulpito delle cattive coscienze per lanciare strali contro l’attuale classe politica, ben sapendo che in illo tempore ci ha messo del suo per appoggiare l’operato del fariseume trionfante. Sono fatti della stessa pasta, il collante che li tiene uniti si chiama ipocrisia. Pertanto è illusorio aspettarsi che il lupo cambi il pelo (seppure trapiantato), ma non il vizio di prendere in giro l’Italia e l’universo mondo con quel suo fare sempre e comunque i fattacci propri, costi quel che costi nel vero senso della parola, visto che nell’italietta di silvio tutto e tutti hanno un prezzo. Tutti aspettano l’intervento di domani del presidente del gran consilvio alla Camera dei Deputati, quasi tutti hanno dimenticato che solo pochi giorni fa quel bivacco di manipoli ha votato in difesa di un loro pari sul quale pende un mandato di cattura per camorra, il quale continua a fregiarsi del titolo di onorevole. Favoreggiamento, difesa della casta, un errato senso di garantismo ha spinto lorsignori a ostacolare la ricerca della verità, facendo ricorso a leggi (prerogative le chiamano!) ponzate ad hoc proprio per evitare che finissero sul banco degli imputati. Dovrebbero provare un minimo di vergogna e invece sono lì ancora pronti ad applaudire e osannare un altro avanzo di galera sul cui capo già pende il giudizio della Storia.    Che cosa di buono ci si può attendere da un consesso di pessimi ottimati? Nulla! Certo, sarebbe bello se quasi tutti in un sussulto di dignità rammentassero che seppure “nominati” senza vincolo di mandato, possono esser mandati una buona volta e per sempre nel paese che tutti sanno, da un popolo che sta assistendo con civile partecipazione al deprimente spettacolo della politica, aspettando magari di dire la sua con un voto possibilmente depurato dalle porcate berlusconiane e legaiole. Il panorama che la scena politica ci offre è sempre più squallido: dopo le escort e le veline siamo alle case e alle cucine, dal bordello al tinello il passo sembra breve ma non è solo questione di rima poiché tutto si misura col metro della corruzione, del baratto e del meretricio e, se occorre, dei manganelli mediatici. Se tu me la dai, io ti nomino seduta stante onorevole, se tu mi dai il federalismo io ti regalo lo scudo fiscale e giudiziario, se tu non ti adegui applico il metodo “Boffo” e ti distruggo, e via di questo passo verso il baratro, insieme ad una nazione in cui si sfornano leggi ad personam per tutelare gli interessi del lenone della libertà. Dove un diavolo dei paradisi fiscali vuole mandare all’inferno un ingenuo apprendista stregone incasinato dal cognato arrivista. Dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Dove gli avvocati di fiducia degli intoccabili sono anche parlamentari e si pregiano di cambiar legge nella sciagurata ipotesi che quella possa intralciare il cursus honorum dei loro augusti clienti. Dove la legge uguale per tutti vale solo per i comuni mortali, poiché i mortali fuori dal comune si sottraggono al Diritto comprando con le mazzette giudici e sentenze e, all'occorrenza, ricorrono ai buoni servigi di un parlamento "nominato" per non concedere le autorizzazioni a procedere. E’ nuovamente l’Italia dei Promessi Sposi e della Certosa di Parma, nella quale i cittadini sono solo sudditi e la politica è affare di signorotti, di bravi e di prelati. Fabrizio del Dongo vi si ritroverebbe alla grande, Renzo Tramaglino pure. Con la differenza però che questa volta Lucia Mondella smania per infilarsi nel letto a baldacchino di don Rodrigo, frà Cristoforo benedice l’alcova del signorotto e l’Innominato non si pente! Ma com’è potuto succedere? Chi ha causato questa regressio ad infinitum che paghiamo con la fame della legalità, il declino del senso civico e il degrado delle istituzioni che periodicamente ricompaiono come piaghe bubboniche fra le pieghe di una società disgregata e preda delle peggiori pulsioni? Forse la risposta è fin troppo facile e sarebbe ancor più chiara e risolutiva se la facesse propria un’intera Nazione pronunciando all’unisono il nome e il cognome del responsabile.