Non c'è limite al peggio, verrebbe da dire, eppure c'è chi palesa con penosa soddisfazione una patologica assuefazione all'attuale regressione comportamentale manifestando una sguaiata insofferenza verso ogni tentativo di arrestare una mutazione antropologica e culturale ormai irreversibile. D'altronde non ci si può attendere altro da una torma di scherani e pennivendoli in servizio permanente effettivo, invasati fino al punto da negare l'evidenza e incapaci perfino di provare vergogna non già per le malefatte del loro signore e padrone, quanto per l'infimo grado raggiunto dal servilismo più spregevole, meritevole solo di essere biasimato e ricacciato nella spazzatura della Storia insieme a certi rifiuti altamente inquinanti che costituiscono un pericolo per ogni sistema democratico. Non è più in gioco la morale o l'etica, quanto l'ordinamento democratico e l'esistenza stessa di Principi basilari sui quali trova fondamento uno Stato che, forse proprio perché participio passato del verso essere, è stato, per l'appunto, Patria del Diritto, divenuto nel frattempo patria di un dritto che pensa di poter fare i propri porci comodi, forte di un'indagabile ricchezza, con la pavida acquiescenza di un popolo sempre più bue, incapace di alzare la testa, sempre più ammansito e obnubilato da un regime mediatico che vorrebbe apparire perfino democratico e liberale, salvo manifestare il suo vero volto dispotico allorquando la corruzione evidenzia l'avanzato stato di decomposizione di certi sepolcri imbiancati che hanno fatto dell'ipocrisia la loro ragion d'essere. Qualche anima bella trova anche il tempo di meravigliarsi per questo stato di cose, dimenticando che ciò accade proprio perché il fariseume imperante è il braccio armato del clericalume trionfante, uno sciagurato disposto che, tanto per rimestare nella melma in cui sguazzano sovrani i vari caimani, rende gli uni pedofili e gli altri puttanieri. Un'immagine tutt'altro che metaforica di una realtà che solo i furbi patentati e gli orbi prezzolati fingono di non vedere. E questi trovano anche il tempo di sputare sentenze, di giustificare o di coprire col silenzio complicità e responsabilità che li accomunano, stretti da un pactum sceleris degno più di un'associazione a delinquere che di una società di uomini liberi e forti che dovrebbe avere ben altre regole di civile convivenza. Non è più tempo di indignarsi restandosene al chiuso delle proprie torri eburnee, bisogna reagire manifestando il proprio dissenso, riempiendo democraticamente le piazze, così come ci stanno insegnando i Popoli di un Mediterraneo in fiamme, stanchi di assistere impotenti al perpetuarsi del malaffare codificato ad uso e consumo di oligarchie, di cricche e potentati, così come peraltro accade in Italia dove la disonestà intellettuale e fattuale issata sul pennone più alto garrisce giuliva e impunita al vento del potere più arrogante e fescennino. Non è più questione di pruderie o di boudoir, di violazione della privacy o dell'infatuazione di moralisti da strapazzo folgorati sulla via del falso perbenismo nel bordello-italia, quanto della consumazione di reati che, seppure "contestualizzati" dalla solita morale bacchettona clerico-fascista, e ridotti al rango di peccati, sono pur sempre il segno più evidente di un degrado della società che straripa col suo paludato putridume come certe fogne ingorgate dall'immondizia istituzionale sfociando nel mare magnum del conformismo dei bigotti dalla doppia morale.Il vero scandalo non è dato da un satrapo che si circonda di odalische, prosseneti, ninfe e paraninfe, il vero problema è che gli Italiani (o sarebbe meglio dire gli italioti? Mai crasi sarebbe più indicata, giacché bisognerebbe essere degli idioti per dar credito ad un ciarlatano) trovano le vicende private di un sedicente statista più interessanti delle tremende accuse che lo riguardano: falso in bilancio, evasione fiscale, corruzione, concussione, per tacere di altre ben più gravi e seppure tutte da provare. Un riccastro sfondato, statista per caso, nonno di cinque nipoti, che va dietro alle ragazzine, costituisce di per sé un pericolo pubblico, anche per l'immagine che suscita e per l'insegnamento (sic) che, forse inconsapevolmente, offre vellicando gli istinti più bassi e pecorecci della società più maschilista e misogina. Ma è ancora più pericoloso e deleterio un presidente puttaniere che si considera al di sopra della Legge reclamando un'impunità che suona già di condanna giacché se fosse innocente accetterebbe come tutti i comuni mortali di finire sul banco degli imputati e poi, come di certo a quelli come lui accadrebbe, di finire nelle patrie galere invece che nei palazzi del potere cercando ignobilmente il modo di sottrarsi alla Legge commissionando à la carte quel mostruoso corpus giuridico costituito dalle leges ad personam. Non c'è più spazio per la pavida rassegnazione, bisogna reagire ponendo fine ad una commedia divenuta farsa proprio perché è necessario evitare che diventi tragedia così come vorrebbe un sedicente statista che ha legato il suo miserrimo destino a quello, nobilissimo, di una Nazione intera che non merita di essere rappresentata da siffatta teppaglia. A meno che non si voglia ancora dar credito ad un imbonitore che per salvare se stesso, calpesta ogni Principio e uccide l'Uguaglianza confidando nella corriva benevolenza della sua corte di miracolati, pervicacemente stretti intorno a lui nella salvaguardia di inconfessabili interessi per difendere i quali si cancella la divisione dei Poteri, si abusa dell'esecutivo per piegare il legislativo e rendere inoffensivo il giudiziario. Fa una certa pena vedere "ordinari" professori universitari e legulei cavillosi piegati al rango di servi che hanno dimenticato Platone, Giustiniano e Montesquieu; eppure tutto questo accade in Italia, paese-bue per antonomasia e antica convenzione geografica, dove sembra ancora echeggiare l'interrogativo di sempre: " E voi perché mi avete creduto?" Mi è capitata fra le mani una pagina del diario di Benedetto Croce, datata 2 dicembre 1943, la riporto con qualche piccola variazione proprio perché a distanza di anni ripropone un antico dilemma: il pagar dazio ad un fascismo perenne che periodicamente riemerge dal passato proprio quando la deriva autoritaria di certi mandriani è tale da ammansire fino all'impotenza la sovranità bovina di un popolo credulone, incapace di affrancarsi dal giogo di un regime mediatico per spegnere il quale è forse illusorio pensare che basta prendere in mano il telecomando (forse l'unico strumento democratico rimasto) per rompere gli stazzi e cambiare canale senza avere poi la forza d'animo di rispondere a quell'interrogativo: "E voi perché mi avete creduto?" " Anche a me sovente sale dal petto un impeto contro di lui al pensiero della rovina a cui ha portato l'Italia e della corruttela profonda che lascia nella vita pubblica (...) Ma pure talvolta rifletto che ben potrà darsi il caso che gli storici revisionisti un giorno forse troveranno anche il modo d'esaltarlo. Perciò mentalmente m'indirizzo a loro, colà, in quel futuro mondo che sarà il loro, per avvertirli che lascino stare, che resistano alla seduzione delle tesi paradossali e ingegnose e "brillanti", perché l'uomo, nella sua realtà, era di corta intelligenza, correlativa alla sua radicale deficienza di sensibilità morale, ignorante, di quell'ignoranza sostanziale, che è nel non intendere e non conoscere gli elementari rapporti della vita umana e civile; incapace di autocritica al pari che di scrupoli di coscienza, vanitosissimo, privo di ogni gusto in ogni sua parola o gesto, sempre tra il pacchiano e l'arrogante. Chiamato a rispondere del danno e dell'onta in cui ha gettato l'Italia, con le sue parole e la sua azione e con tutte le sue arti di sopraffazione e di corruzione, potrebbe rispondere agli italiani come quello sciagurato capopopolo di Firenze, di cui ci parla Giovanni Villani, il quale così rispose ai suoi compagni di esilio che gli rinfacciavano di averli condotti al disastro di Montaperti: "E voi perché mi avete creduto?".