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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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FORSE TACITO E SVETONIO CI AIUTANO A CAPIRE

Post n°628 pubblicato il 13 Novembre 2010 da bargalla

                             


Non so in quale altro Paese cosiddetto "normale" un primo ministro in crisi di credibilità e allegramente sputtanato da un modus vivendi rivelatore di un'indole a dir poco arrogante e spregevole, possa impunemente abusare del potere usurpato con l'inganno (grazie ad una legge-truffa che nel momento in cui attribuisce un premio di maggioranza a una coalizione palesa l'indubbia frode sottesa nelle elezioni-farsa) fino al punto da invocare la "guerra civile" come minacciosa risposta all'inevitabile richiesta di dimissioni avanzata da larghe fasce della società, non più disposta a subire passivamente le prepotenze e le angherie di un tiranno quasi fossero le regole non scritte di un perfido e scellerato gioco "democratico" dove il despota esce di scena solo quando crepa.
Sarà per questo che nel riferirsi a uno dei dioscuri dell'olimpo italiota bersagliato dai pennivendoli della real casa, egli se n'è uscito affermando "mi vuole morto fisicamente."
Alla buon'ora, esclamo anch'io dinanzi al sordido squallore di un panorama politico che si rasserenerà solo quando brucerà di fatale consunzione la meteora berlusconiana i cui effetti già si colgono presso gli strati "più alti" di un'atmosfera in attesa di disperderne perfino il ricordo.
"Ma se questi faranno il governo tecnico, noi gli scateneremo contro la guerra civile, avranno una reazione come nemmeno s'immaginano..."

Un'istigazione alla violenza gratuita, una chiamata alle armi forse influenzata dall'intollerante pensiero legaiolo che in certi ambienti va per la maggiore; forse un modo come un altro per "leggere" la psiche malata di un riccastro sfondato, narcisista e megalomane, che dinanzi al
redde rationem reagisce scompostamente e diventa un pericolo pubblico non solo per le istituzioni che indegnamente rappresenta, ma per l'intera Nazione le cui sorti sono in balia di un predatore il quale ha fomentato e cavalcato il malcontento sociale, ha legiferato pro domo sua pensando che la Res Publica fosse res privata, ovvero cosa sua, intesa nella gergale accezione di un termine esclusivo della cosiddetta onorata società.  
Solo che stavolta il gioco sembra essergli sfuggito di mano, il grande imbonitore fatica a infinocchiare e si arrampica sugli specchi di un consenso elettorale eroso, finalmente, dalla capacità di giudizio di un popolo che, per quanto bue, forse si è stancato di subire l'oltraggio di un mandriano e dei suoi stallieri: un'accozzaglia di utili idioti e di cretini obbedienti sempre più simili ai cavalier serventi fra i quali non è raro vedere da ultimo anche qualche esemplare di bassa lega assurto al ruolo di porta posacenere.
Da un simile, insulso consesso di manutengoli e puttane, è il minimo che ci si possa aspettare!

In un recente articolo comparso sull'
Economist si cita l'epilogo dei Pagliacci di Leoncavallo, come silloge di quel che in Italia accade, un accostamento decisamente indovinato considerando quanto la compagnia di giro del citato melodramma assomigli a quella che calca le scene dell'attuale teatrino della politica, e lo diventa ancor di più quando, alla fine dell'opera, il pagliaccio Canio, dopo aver pugnalato a morte il pagliaccio Silvio, l'amante della moglie, avanza verso il pubblico e dice "La commedia è finita".
Ecco, quelli che fino a qualche mese fa recitavano a soggetto seguendo supini le direttive di un regista attento solo a consolidare i suoi interessi e il suo cachet, in un resipiscente moto di dignità istituzionale hanno finalmente recitato il mea culpa prendendo le distanze da un modo spregiudicato e privatistico di intendere l'impegno politico e l'esercizio del potere, tanto da suscitare l'ira di colui il quale, novello re-sola, si identifica con lo Stato incarnando una visione padronale e autocratica del potere che è quanto di più perverso e lontano possa esistere in una democrazia, sia pure incompiuta e malata come la nostra, peraltro sempre più simile ad una satrapia con gli annessi e connessi che tale orrenda mutazione comporta. Harem compresii!


Non suoni irriverente l'accostamento di siffatta teppaglia istituzionale con i grandi del passato, è un esercizio che compio solo per diletto quasi a voler attutire l'impatto che sull'attualità hanno certi personaggi i quali sembrano la brutta copia di altri passati alla Storia, ma tant'è!
Ne prendo uno di nome Tiberio, uscito dalla "Vita dei Cesari" di Svetonio e ditemi se non vi ricorda qualcuno "abituato a giocare con la vita delle donne".
Ne riporto qualche passo non prima di aver citato anche un compagno di merende di quel Tiberio, tale Sestio Gallo (che fa il paio con uno dei tanti prosseneti resi celebri dall'essere uno dei megafoni della voce del padrone) definito da Svetonio: "un vecchio libidinoso e scialacquatore" col quale Tiberio "accettò di cenare a patto che non cambiasse o togliesse nulla dalle sue abitudini, e che la cena fosse servita da fanciulle nude". Il paragrafo 42 si chiude con un riferimento che è tutto un programma: "Infine istituì una nuova carica, quella di addetto ai piaceri, preponendovi il cavaliere romano Tito Cesonio Prisco".
Chi è l'attuale addetto ai piaceri della real casa?
La risposta avrebbe varie opzioni, tutte ugualmente valide considerando i vari book dimenticati sulla scrivania dell'utilizzatore finale da "api regine" e da fuchi ronzanti servile ardore.

Il paragrafo 43 è ancora più realistico e se al posto di Capri si legge Sardegna, allora sembra quasi di vedere l'attuale villona di un villano divenuto zimbello del mondo intero: "Nel suo isolamento di Capri escogitò anche dei salottini con divani, sede segreta delle sue libidini, in cui gruppi di fanciulle e di invertiti, nonché gli inventori di accoppiamenti mostruosi - che egli chiamava spintrie - in triplice catena si prostituivano vicendevolmente davanti a lui, per eccitare con tale spettacolo la sua libidine ormai declinante. Camere da letto, disposte in vari luoghi, egli adornò con quadri e statue derivate dalle pitture e sculture più lascive, e le dotò dei libri di Elefantide (scrittrice greca autrice di poesie erotiche), perché a nessuno mancasse, nelle sue prestazioni, un modello per la posizione ordinatagli. Progettò anche, qua e là nelle selve e nei boschetti, dei luoghi dedicati a Venere affinché giovani d'ambo i sessi si prostituissero negli antri e nelle cavità delle rocce in aspetto di piccoli Pan e Ninfe".  
Svetonio nel paragrafo 57 del Libro Terzo ci regala un ritratto di Tiberio con delle connotazioni caratteriali che suonano molto attuali: "La sua indole crudele e piena di rancore non rimase nascosta nemmeno nella sua fanciullezza. Pare che per primo acutamente la notasse, e la definisse con un'immagine molto calzante, il suo maestro di retorica Teodoro di Gàdara, che ogni tanto lo rimproverava chiamandolo 'fango intriso di sangue'. Ma assai più chiaramente, essa si rivelò nel principe anche nei primi tempi, quando cercava ancora di accattivarsi il favore della gente fingendo la moderazione".   

Il florilegio sul
novello Tiberio non può esser completo senza un accenno agli Annales (VI,1) di Tacito:
"Dopo essere disceso più volte nei dintorni di Roma ed essere arrivato fino ai giardini presso il Tevere, ritornò alla solitudine dei suoi scogli sul mare, preso dalla vergogna delle sue scellerate dissolutezze che accendevano in lui una brama così violenta da indurlo, secondo l'uso dei re orientali, a compiere turpi atti di libidine su giovani di libera nascita. E la sua perversa passione era eccitata non solo dalla bellezza e dalla grazia fisica, ma in alcuni dall'ingenua purezza dell'adolescenza, in altri dalle nobili tradizioni del loro casato. Allora furono inventati i vocaboli fino a quel tempo sconosciuti di 'sellari' e di 'spintrie' derivanti l'uno dall'oscenità delle posizioni, l'altro dalle varie perversioni di passività sessuale a cui si doveva sottostare. Sovrintendevano degli schiavi addetti a cercare le vittime e a condurgliele; essi riservavano doni ai compiacenti e minacce a quanti si dimostravano riluttanti..."

Come dire: una comparsata televisiva, una lauta marchetta, una partecipazione ad una
fiction, un futuro da soubrette nell'impero mediatico, un appartamento, un'auto di grossa cilindrata, vestiti e gioielli griffati in cambio dei servigi resi, meglio ancora una nomina nel sottobosco della politica e, male che vada, l'umanitario affidamento ad un'igienista dentale con un arrivederci e grazie.

 

 
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DEL POTERE FESCENNINO

Post n°627 pubblicato il 06 Novembre 2010 da bargalla

      


Squinzie, soubrette, escort, cortigiane, mignotte e puttane; lenoni, magnaccia, scherani, paraculi, manutengoli e ruffiani: sono questi gli abitanti di puttanopoli, capitale del bordello-italia, una suburra dove di "normale" c'è solo l'ideale di un lupanare in balia di un puttaniere assurto alla gloria del potere si direbbe unicamente per fottere e minchionare un'intera Nazione, se non fosse per quel colossale conflitto d'interessi (anche giudiziari e penali) in cui è invischiato, per vincere il quale ogni giorno egli froda il comune buon senso, mente spudoratamente con l'arroganza tipica dei farisei, infrange norme e regolamenti con la fattiva complicità di un "governo di scopo" all'uopo formato dal fior fiore della suddetta lasciva fauna, ben rappresentato da un "capo-gabinetto" abbrutito da una "inindagabile ricchezza" e involgarito dal plebeismo di una maggioranza parlamentare che, poiché frutto di cotanti vizzi lombi e vuote meningi, è sol degna d'esser definita per quello che è: l'aborto di un'insuperabile porcata.
Gli abusi e gli "ec...cessi" del potere sono sotto gli occhi di tutti, infoiati e infognati si dibattono nella merda da loro prodotta, da essi non può tracimare altro se non l'inquinante percolato dell'eversione democratica che invece di sedimentarsi nelle cloache sovversive, deborda spandendo nell'aria i miasmi degli abusi perpetrati in nome del malaffare e delle corruttele, così che tutti possono sentirne almeno la puzza, sputtanando in tal modo i furbi e gli orbi prezzolati che fingono di non vedere l'immondizia istituzionale del malgoverno "del fare" i cazzi propri: il do ut des è così diventata la versione più aulica del meretricio elevato a sistema da una classe politica autoreferenziale sempre più ignobile e arrogante.

Le performance sessuali di vecchi bavosi e im...potenti, ringalluzziti da qualche magico intruglio, non interesserebbero nessuno se non fosse per la metafora del potere che il loro agire induce e richiama nell'immaginario collettivo anche in ragione di un postulato popolare secondo cui
futtiri è megghiu di cumannari. Un'espressione che a seconda delle circostanze (e delle convenienze) capovolge i termini di "relazione" mantenendo intatto l'intrinseco significato connaturato all'esercizio di un potere del quale volentieri si abusa credendo di infinocchiare un popolo intero o di "conquistare" ninfe plebee e prostitute d'alto bordo che, pur di guadagnare soldi e visibilità, si concedono al migliore offerente non prima di  aver forse fumato e sniffato qualcosa, forse bevuto fino a ottundersi per rendere meno schifosa la copula con certi utilizzatori finali, abituati a comprare tutto e tutti, così come impone il puttanesimo esercitato in regime di monopolio da cupole e cricche aduse a praticare ogni forma di abuso codificato dalla pedissequa osservazione della legge del più forte, o presunto tale.

C'è chi esagera anche in questo e non fa nulla per contenersi (cribbio!) anzi spesso esibisce il suo ego ipertrofico come se non potesse fare a meno di palesare un patologico delirio di onnipotenza che lo porta a capovolgere la realtà, a mistificarla a suo uso e consumo; un soggetto che per il ruolo indegnamente ricoperto, dovrebbe quantomeno rispondere di mendacio, considerando la propensione a negare l'evidenza, a smentire se stesso e gli abusi commessi, dimostrando una volta di più che la menzogna istituzionale sta allo Stato come la disinformazione alla libera stampa.

Avessero almeno provato a mettere un limite per evitare che gli ec...cessi di pochi divenissero le fogne a cielo aperto di tutti! Invece niente, con buona e sempiterna pace di quei cervelli portati all'ammasso nei putridi letamai del falso perbenismo gestiti dal clericalume imperante che lucra sul plusvalore prodotto dal fariseume trionfante, fino al punto da trovare anche il modo di "contestualizzare" gli effetti di una mala-etica giustificando ogni crimine, soverchieria e intemperanza nel nome di doppie e triple morali.

O tempora, o mores!
Vale ancora la pena di palesare il proprio disgusto dinanzi alle inaudite perversioni di un sedicente statista privo del senso dello Stato, sessista e maschilista, che ha fatto dell'ipocrisia la sua ragion d'essere? Forse sì, ed è bene farlo proprio perché confortati dal clima da basso impero e di decadenza che stiamo vivendo. Non si tratta di essere moralisti o puritani come taluni accusano altri, ma soltanto di rivendicare un elementare diritto: quello di pretendere un minimo di onestà e di dignità da parte di una classe dirigente che proprio perché palesemente disonesta e indegna si trasforma in classe digerente vellicando le peggiori pulsioni di un popolo volutamente confinato negli steccati dalla crassa ignoranza di mandriani inetti e baciapile verso i quali non è mai abbastanza manifestare tutto il massimo disprezzo, specie nel momento in cui si avvicina l'epilogo di una  farsa inscenata da una compagnia di reprobi, pronti (come hanno detto) a vender cara la pelle.
La serva Italia è paralizzata, si sente dire da più parti, altri affermano che è in movimento e questi altri sono proprio quelli che l'hanno mandata a puttane in una sorta di moto a luogo che di logico ha ben poco poiché risponde solo alle variabili di leggi di mercato (e anatomiche) dettate più dagli interessi di sporchi oligarchi e dalle misure (e dalle tariffe) delle occasionali e scaltre odalische che frequentano i loro harem.
Qualche altro dice che bisogna solo aspettare sulla riva del fiume il passaggio del cadavere del proprio nemico, soprattutto perché il deus ex machina ha rotto i freni inibitori, è privo di autocontrollo, procede verso il baratro con la forza di gravità ed accelera irrimediabilmente verso il disastro finale trascinandosi dietro una torma di nani e ballerine.

A leggere i giornali di questi giorni si rimane quasi increduli, possibile che accadano certe cose senza che i protagonisti e i complici provino un minimo di vergogna?

L'immagine che all'estero si ha dell'ex bel paese, da quasi vent'anni, è peggiore di ogni giudizio formulato dagli osservatori nostrani, proprio perché filtrato dall'obiettivo di un modo di essere semplicemente "cittadini" sconosciuto a una massa di sudditi italioti che, a sentire qualche impresario della real casa, avrebbero risolto col voto (sic) il conflitto d'interessi in cui è impelagato il sovrano arrivando perfino a confondere il consenso con l'impunità reclamata a viva voce dall'intemperante satiro populista, un potenziale avanzo di galera, che si permette anche il lusso di paragonarsi a Giustiniano.
E, come se non bastasse, ora vorrebbe passare anche per vittima, non escludendo, come causa del suo commendevole disordine comportamentale, una vendetta della mafia poiché afferma di aver combattuto come nessun altro mai la criminalità organizzata. Forse dimentica i tagli apportati dal suo malgoverno alle Forze dell'Ordine e alla Giustizia e ignora che l'attività investigativa svolta proprio da quei settori così fortemente penalizzati, non può essere brandita come un trofeo di guerra. Al solito, millanta meriti che non ha e si appropria dei successi altrui.

Un modo miserrimo di mettere le mani avanti (forse perché da Palermo giunge l'eco di un "regolamento di conti finale" supportato da nuove rivelazioni, vere o presunte, sulle stragi mafiose) rispolverando la solita teoria del complotto ordito a suo danno. Non c'è male per uno che si dimena fra manie di grandezza e di persecuzione. Stavo per scrivere di "prostituzione" sollecitato dall'ennesimo annuncio di una stretta sul mercato del sesso
on the road, l'effetto propagandistico del provvedimento governativo insegue l'incompiuto miracolo dell'immondizia partenopea, nascondendo la polvere delle passeggiatrici sotto al tappeto dell'asfalto del moralismo da marciapiede. Naturalmente se la prende con l'anello più debole, salvaguardando le escort da mille e più euro a botta e i danarosi clienti che le ricevono nei loro boudoir.   
Un giorno, spero vicino, qualcuno dovrà trovare la forza di ribellarsi a questo stato di cose proprio per evitare che la "berlusconeide"  finisca in tragedia ricacciando nella spazzatura della Storia un rifiuto della politica carismatica che periodicamente riemerge dai bassifondi melmosi di popoli privi di nerbo e di ideali  in una sorta di corsi e ricorsi che permettono a certi squallidi omuncoli della provvidenza di rinverdire i fasti (e i fasci) di un fascismo perenne mostrando il volto più turpe e fescennino del potere.

 
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SODOMITALY

Post n°626 pubblicato il 01 Novembre 2010 da bargalla

                         


               "Benigni" versi retroattivi e reiterabili ad libitum

                              "Se quella notte, per divin consiglio,
                           la donna Rosa, concependo silvio,
                           avesse dato ad un uomo di Milano
                            invece della topa il deretano
                            l'avrebbe preso in culo quella sera
                            sol donna Rosa e non l'Italia intera."

                     
                        


 

 
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UN GUSCIO VUOTO

Post n°625 pubblicato il 20 Ottobre 2010 da bargalla

         


Mia madre ieri sera ha visto il telegiornale e alla notizia del lodo alfa-nano (così lo ha chiamato) con effetto retroattivo, ha così commentato: "Spero di vivere abbastanza per vedere la fine di berlusconi,  che di certo ora punta al Quirinale. Un imputato che scende a patti col diavolo per non farsi giudicare, rischia si diventare capo dei giudici. Te lo immagini uno come lui ascendere sul colle più alto (niente male per l'unto del signore) e diventare anche presidente del consiglio superiore della magistratura?"     
Io non me lo immagino proprio poiché spero che il referendum confermativo abroghi un obbrobrio "costituzionale" che evito di chiamare lodo e legge, prim'ancora che il beneficiario unico di tale ennesima porcata possa fregiarsi immeritatamente perfino del titolo di presidente della repubblica diventando poi anche senatore a vita. Uno spregevole tycoon ai vertici delle istituzioni, il compimento di una beffa, una farsa in aggiunta alla iattura di una nazione che già ora può mutare nome e chiamarsi berlusconistan.
E poi c'è quel "retroattivo" che col suo effetto irriverente per il codice e quant'altro, sembra una colossale presa per il podice. L'ennesima alla quale suo malgrado deve sottostare l'omino di una vignetta di Altan, icona dell'italiano medio, che si rivolge con fare interrogativo a chi gli punta l'ombrello nelle chiappe sentendosi rispondere: non abbia timore, trattasi di effetto retroattivo!  
Mi auguro soltanto che quando tutto questo sarà finito, qualcuno riesca a provare un po' di umana vergogna, non fosse altro per il servilismo dimostrato, anche se ben ripagato, a cagione di un intelletto che sembra aver perso il lume della ragione.
Da una parte la mania di grandezza e di onnipotenza, dall'altra l'insuperabile complesso di inferiorità che porta i suoi scherani e i suoi manutengoli a comportarsi peggio dei servi e delle puttane.

Ostentare sovrano distacco dinanzi alla sozzura legislativa prodotta dal ceto politico sarebbe quanto meno riprovevole, lavarsi le mani non servirebbe a niente specie nel momento in cui l'igiene istituzionale è a rischio e imporrebbe ben altre misure democratiche del più accomodante disimpegno qualunquista.

Pertanto si cominci almeno ad esprimere il proprio disagio, la propria civile protesta, dando il benservito ai sedicenti rappresentanti di un popolo così distratto e bue da non accorgersi dell'errore in cui è occorso quando ha deciso di mettere il proprio destino nelle mani di inqualificabili personaggi verso i quali è cosa buona e giusta manifestare ogni giorno il proprio disprezzo, a condizione che se ne abbia abbastanza da riuscire a ripagare con la giusta dose di biasimo gli eccessi e gli abusi di un potere sempre più arrogante, pervasivo e deleterio per le sorti non più della Nazione (ormai disgregatasi sotto le spinte secessioniste legaiole) quanto di quella che ormai solo per eufemistica convenzione, viene definita Democrazia.
Un termine che, al pari di altri come Libertà, Legalità e Giustizia, è stato scientificamente svuotato del suo profondo significato concettuale proprio per distruggere il Principio di Uguaglianza dal quale non si può mai prescindere, pena il graduale pervenire a  uno stato di cose che lentamente corrode le fondamenta e intacca in nuce l'idea stessa di Res Publica, la pregiudica distruggendo il fine ultimo a essa sotteso, ovvero il perseguimento del Bene Comune, aprendo in tal modo la strada ad uno strisciante sistema totalitario i cui effetti nefasti si manifestano proprio con l'instaurarsi di un'oligarchia; così come in Italia accade, senza che tale mostruosa mutazione venga impedita innanzi tutto dai cosiddetti organi di garanzia, oltremodo corrivi, e poi da quel popolo divenuto entità astratta proprio perché esautorato e svilito dall'aver delegato ad un sistema eversivo e corrotto il compito di pensare (e agire) per conto terzi.

Mi sembra sempre di ripetere gli stessi concetti, lo faccio soprattutto per me, inguaribile idealista soggiogato da un'idea di
Libertà maturata nel buio di un seminario e illuminata dall'insegnamento di un professore di filosofia (per ironia della sorte figlio di un gerarca fascista) e dalla corrispondenza di amorosi sensi con una "compagna" di liceo, per nascita e censo arroccata sul fronte opposto al mio, con la quale intrapresi per così dire un percorso di formazione grazie al quale Nietzsche e Marx continuano a stringersi la mano prendendo il meglio di entrambi. Stento a ritrovarmi in una società che, tanto per dire, pensa di essere libera e democratica, magari si proclama anche cattolica e cristiana, ma poi vive prigioniera del falso perbenismo e si comporta in antitesi col dettato evangelico e con ogni altra dottrina ispirata dal concetto di aequalitas. Non è più questione di sola speculazione concettuale a fronte di una politica politicante (che in quanto ante e/o anti) antepone e contrappone se stessa e i propri interessi a quelli più generali della Polis essendo per l'appunto contraria (per principio) a quella che i Greci chiamavano eleutherìa, la Libertà che si sublima solo quando assicura la felicità, e siccome la seconda per taluni deve essere esclusiva di pochi, ecco manifestarsi in tutta la sua mostruosa nefandezza, l'anomalia tipicamente italiana di un presidente del consilvio che nel momento in cui sproloquia di libertà, la uccide proprio perché deve garantire la sua eudaimonìa, una felicità, nel caso in questione, comprata, effimera, falsa, costruita con l'inganno e il pregiudizio di chi con la frode antepone il proprio ego a quello degli altri.

Il guaio è che siffatta gentaglia assurge alle glorie del potere non per spirito di servizio, ma per servirsi dello Stato e delle sue guarentigie per (auto) legittimare le proprie malefatte continuando in tal modo a violare quella legge che viene all'occasione piegata a seconda delle contingenze del momento.

Un uso così strumentale del potere e della politica, che diviene mezzo e fine, forse non si era mai visto in un contesto apparentemente democratico dove quel che più conta è l'immagine percepita, non l'essenza di un discutibile portato individuale così incline a offrire di sé l'aspetto esteriore che, per quanto peggiore possa essere, viene edulcorato da un messaggio di pura propaganda mediatica che legittima l'illecito, specie nel momento in cui si perita additare al pubblico ludibrio la pagliuzza intravista nell'occhio del prossimo e si rifugge la gogna costruita dalla propria trave nell'immaginario collettivo così ben vellicato da un clima da basso impero che, tanto per dire, non sembra per nulla turbato dalla notizia di un diavolo dei paradisi fiscali che elude e raggira il pubblico erario facendosi anche beffa di quanti lo invitano a togliere il disturbo.

Con tante magioni sparse nel suo "parco" mondo, il poveretto non sa in quale andare e lo dice pure con l'impudenza tipica del pre-potente di turno che dovrebbe almeno fingere di spiegare l'origine delle sue
inindagabili ricchezze, a meno che il compito non sia così improbo da rendere il suo intero impero frutto di malversazioni e ruberie e perciò meritevole di essere blindato con la corazza del privilegio. L'etimo delle parole, il valore semantico direbbe il mio prof di lettere, rivela più di ogni altro il carattere e, di conseguenza, l'azione dallo stesso ispirata per mettere in pratica ciò che ognuno si propone. Lascio ai più volenterosi il compito di andare a spulciare qualche dizionario etimologico, agli altri basti sapere che il privilegio di un singolo per certi versi nel diritto pubblico equivale a tutti gli effetti a quello delle plurimae leges ad personam. Qualcosa che nel caso del lupus in fabula rende perfino superati gli effetti degli arcana imperii annullati dalla boriosa presunzione di poter fare e disfare a proprio piacimento confidando nella fiduciosa dabbenaggine di una torma di cortigiani, ciambellani e buffoni di corte che si comportano come gli utili idioti di Lenin e gli regalano uno scudo giudiziario forgiato ad hoc con la fusione delle spoglie del fu Stato di Diritto.
E cos'altro è il privilegio di casta se non la presunzione data dall'essere legibus solutus?
Perché non dotarsi allora di un partito-azienda e investire sulla politica? Sembra la scoperta dell'acqua calda, eppure c'è chi l'ha fatto con estremo sollazzo e profitto unendo l'utile del potere, inteso in senso lato, al dilettevole degli interessi personali ancorché conflittuali con l'idea stessa dello Stato. Pinzillacchere per un famigerato self made man, ambizioso e dissoluto venuto su dal nulla e cresciuto come un fungo prataiolo nelle nebbiose opacità di banche fertilizzate dal riciclo di capitali sporchi olezzanti mafioso afrore. Ormai non fa più effetto (la puzza della discesa ponzata alla bisogna), eppure i suoi flatulenti coreuti la ripetono come un mantra propiziatorio quasi a voler esorcizzare il rischio di restare senza padrone. L'allocuzione scendere in campo dovrebbe far riflettere quanti sono caduti così in basso da scendere per l'appunto a compromessi con la propria coscienza, semmai ne avessero una, e con quella, puntualmente ingannata di un popolo ego-deferente dominato dal culto dell'immagine e incapace di discernere il grano dal loglio. Dio, come siamo caduti in basso!

Chi è sottoposto alla legge e la osserva non dovrebbe avere alcun patema d'animo nel farsi giudicare, eppure c'è qualcuno che cerca con ogni mezzo di sfuggirle, ma così facendo non fa altro che avvalorare le
notitiae criminis che lo riguardano emettendo egli stesso un verdetto di colpevolezza che nessuna depenalizzazione potrà mondare, meno ancora potrà lavare l'onta di vedersi condannato non da giudici compiacenti e prezzolati quanto dal giudizio vindice della Storia. Colui il quale non potendone più dell'afrore che emana l'accompagnarsi agli affanni e agli affari dell'onorata società e s'inventa un ritratto di statista per darsi un'aura di santità, non può che coprire l'odore dei soldi con l'ombra del potere.
Ho citato i titoli di due libri paradigmatici scritti anni fa, ma che ben rappresentano il momento presente. Sarebbe bene che qualcuno avesse l'onestà intellettuale di leggerli, ma dubito che la libertà dei servi (altro titolo) sia tale da far loro capire con chi hanno a che fare, dato che sarebbe come segare il ramo sul quale sono seduti. Cadere da così vertiginose altezze comporterebbe qualche rischio per gente priva di dignità e così si dimenano come ossessi fra un predellino e un trampolino, attenti solo a non precipitare in una piscina senza più l'acqua chiara della legalità, ben rappresentata da un'aula sordida e grigia trasformata in bivacco di manipoli dove la dittatura della maggioranza mette sovente a rischio l'ordinamento costituzionale e i suoi cardini, considerati d'impaccio dal loro signore e padrone.

Ho bisogno di aria pura! Chiudo i giornali che scrivono di spudorati premier scudati, di potenziali avanzi di galera divenuti legislatori, di infernali paradisi fiscali, di ville e villone di statisti villani, di diavoli off-shore, di cariche della polizia contro cittadini inermi, di notissimi padri e figli disonesti indagati per evasione fiscale:
talis pater, talis filius...e via di questo passo verso una successione dinastica che sarebbe come dare il colpo di grazia ad una morente e incompiuta democrazia.
Ho bisogno di aria pulita, spengo la tv che da giorni trasforma in trash mediatico un orrore antico ed esco fuori, non importa se piove (il governo resta comunque ladro, ruba perfino la speranza ai precari).
A pochi chilometri da qui si è consumata un'agghiacciante tragedia familiare, qualcuno ha scomodato gli Atridi e Clitennestra, altri ancora Ifigenia in Aulide ed Euripide, ma anche se siamo in quella che fu la Magna Grecia, qui non c'è traccia di epos e pathos: ci sono soltanto la morte e la follia ingigantita dagli archetipi potenti e ancestrali dei legami di sangue.
Rivedo una dopo l'altra le immagini dei personaggi coinvolti, l'unica che sembra fuori luogo col suo innocente candore è proprio quella della vittima, sacrificale, ha aggiunto qualcuno quasi a voler ancor più psicanalizzare una situazione dai risvolti più che torbidi.

Piove a dirotto, voglio sentire il suono della pioggia sull'ombrello, la voce del vento e il mio calpestio sul selciato, prima di inzaccherarmi gli stivali di fango camminando senza meta fra gli ulivi.

Le foglie secche calpestate non crepitano più come d'estate, ora sono state ammucchiate in cerchi dai contadini seguendo la fronda degli alberi pronti a raccogliere il frutto dell'albero all'uomo donato da Atena-Minerva .
Ascolto la voce di Madre Natura, osservo i pettirossi saltellare sulle zampine mentre rincorrono le olive mature appena cadute dagli alberi scossi dal vento. Sembra ne vadano ghiotti, anche se altri preferiscono i vicini corbezzoli; noncuranti della mia presenza continuano a banchettare con i passeri che si confondono con loro, pronti anch'essi ad assaggiare qualcosa. Non c'è brama del possesso!
Penso a quanto accade in altri ambiti considerati a torto superiori (giusto per restare nel regno animale) e mi sovviene un passo dello Spirito delle Leggi di Montesquieu, laddove nel capitolo dedicato al Principio della Democrazia si parla di Virtù: "Quando la virtù cessa, l'ambizione entra nei cuori che possono riceverla e in tutti entra l'avarizia. I desideri cambiano oggetto: ciò che si amava, non lo si ama più; si era liberi con le leggi, si vuol esser liberi contro di esse; ogni cittadino è come uno schiavo fuggito dalla casa del padrone; quello che era massima, lo si chiama rigore; quello che era regola, lo si chiama impaccio; quello che era riguardo lo si chiama paura. E' la frugalità che passa per avarizia, e non la brama di possedere. Un tempo i beni dei privati formavano il tesoro pubblico; ma ora il tesoro pubblico diventa il patrimonio dei privati. La repubblica è un guscio vuoto; e la sua forza non è più che il potere di alcuni cittadini e la licenza di tutti."  

 

 
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SPETTATORI CONSAPEVOLI E DISTRATTI

Post n°624 pubblicato il 11 Ottobre 2010 da bargalla

    


Macchina del fango e cloaca maxima
: sono queste le immagini  che meglio rappresentano, nostro malgrado, l'Italia al tempo di silvio; gli effetti deleteri della prima risaltano subito agli occhi degli astanti più sprovveduti e creduloni, adusi a fermarsi alle apparenze artatamente sollecitate dal killeraggio mediatico ordito e attuato dai servi del dominus ex machina; mentre quelli della seconda, seppure esalanti mefitici afrori, lasciano appena intravedere l'origine di un inquinamento istituzionale fatto di sistematiche menzogne, di articolate corruttele e ruberie che solo il tempo depurerà dalle scorie di un potere autoreferenziale  che come acqua di sentina ogni giorno deborda dai miasmatici palazzi del potere.
In tale contesto il character assassination degli avversari del potente di turno è uno dei prodotti del degrado politico, opportunamente usato diventa un'arma letale a disposizione di squallidi pennivendoli che su commissione pescano nel torbido per ammorbare ulteriormente un lupanare in cui oltre al meretricio dei corpi e delle coscienze, si manipola la realtà, si cancellano i fatti, si macchia indelebilmente la reputazione di un personaggio pubblico inviso al tenutario del bordello; si compie cioè un vero e proprio "assassinio mediatico" i cui mandanti ed esecutori ricorrono all'unico mezzo di cui dispongono: la disinformazione amplificata dai megafoni della voce del padrone.
Ormai le vittime di questo gioco al massacro non si contano più, costituiscono l'indice più evidente di un sistema infame che ricorre a tutto pur di sopravvivere violando i principi basilari della civile convivenza.

La prova che il Palazzo comincia a scricchiolare non è fornita solo dalla conflittualità istituzionale o dal cortocircuito costituzionale ma, soprattutto dal malaffare connaturato all'uso spregiudicato del potere esercitato in funzione d'inconfessabili interessi e a quello che si scrive (o non si scrive) sui giornali dell'editore (e del partito) di riferimento con la diffusione di dossier più o meno falsi e compromettenti.

La spia del malessere democratico lampeggia quando il sistema ricorre alla sublimazione del veleno cartaceo non come strumento di informazione, ma di lotta politica; una sorta di mitridatizzazione che sta lentamente uccidendo il senso critico di un'opinione pubblica schiacciata dal pensiero unico.
Già nella Roma imperiale e papalina più che il pugnale poté l'arsenico. Oggi quelli che erano gli intrugli letali del passato, si chiamano dossier, allusioni, rumors, messaggi in codice sparati in prima pagina su giornali che, per l'occasione, si trasformano in fucili con il colpo in canna.
Il bello, anzi il brutto (il buono manca del tutto) di questa intossicazione generale, è che i signori del veleno, cioè i mandanti e i burattini del tutti contro tutti, muovano i fili e spostino le pedine rivelando una verginità d'intenti lungi dall'esser tale in un mondo in cui solo i magnaccia e le puttane hanno diritto di residenza. Il che, in verità, è agevolato dalla legge universale della lotta politica, nella quale gli altri sono gli avversari, mentre i colleghi di coalizione sono i veri nemici. Se poi a questo mosaico, degno di una suburra, si aggiungono i tasselli di un mondo finanziario e imprenditoriale corrivo, forte e debole nello stesso tempo, e soprattutto smanioso di protezioni, incentivi, e benedizioni da parte degli inquilini del Palazzo, allora il quadro si fa più chiaro di quanto certi prezzolati "critici d'arte" vorrebbero far credere.

L'unica cosa da fare è resistere, rinforzare gli argini della legalità e aspettare l'ondata di piena che inevitabilmente si abbatterà su di un Paese dove allignano lo scoraggiamento, la rassegnazione del tanto peggio tanto meglio e l'assuefazione al fetore prodotto dall'ammorbante corruzione dei potenti.

Una situazione chiaramente patologica dove il rimedio proposto dai cerusici di corte è peggiore del male imposto dai legulei del cavillo che tritta e galippa indisturbato fra i commi della legge del più forte. Servirebbe la mossa del cavallo per scrollarsi di dosso il peso di uno squallido ronzinante che fra una putinata e l'altra trova anche il modo di schierare i suoi predoni-pedoni su di una scacchiera in cui le regole del gioco sono saltate proprio al fine di evitare che un eventuale vincitore possa dare scacco matto al re.
Una reazione che si fa più pressante all'aggrumarsi di eventi, anche tragici, che possiamo cogliere nella selva delle relazioni personali fra storie di ordinaria violenza che lacerano e rammendano alla peggior maniera il tessuto sociale; così come negli eventi di pubblica rilevanza segnati dalla conclamata ipocrisia degli agenti infettanti che si dotano di scudi, di prerogative immunitarie, e di leggi ad personam  e s'inventano, tanto per restare nella più stretta attualità, riforme inzuppate nel privilegio di casta e improbabili missioni di pace pensate per fare la guerra, lucrare sull'economia bellica, esportare armi e, colmo dei colmi, libertà e democrazia (come se ne avessero abbastanza!). E pazienza se poi qualche sottoposto in divisa crepa in terra straniera, tanto i morti sono carne da macello, figli di un'Italia minore che ogni giorno muore con estremo sollazzo di un nord secessionista e saprofita che irride l'unità nazionale e i suoi simboli.

Un ministro guerrafondaio e luciferino del malgoverno berlusconi ha dichiarato che "chi chiede il ritiro delle truppe fa sciacallaggio" dimenticando che gli sciacalli veri sono quelli come lui che sfruttano quei cadaveri per assecondare un'idea di libertà che nel loro cervello è tale solo perché nega quella degli altri.
E non mi si parli di lotta al terrorismo giacché le ingiustizie perpetrate dai potenti di ogni latitudine hanno poi fatto fermentare il fanatismo di religioni divenute inumane ideologie liberticide al servizio di politici, pazzi, fanatici che, a loro volta, uccidono se stessi e quanti si oppongono al proselitismo di ogni assoluto.
"L'idea più stravagante che possa nascere nella testa di un uomo politico" disse Robespierre, "è quella di credere che sia sufficiente per un popolo entrare a mano armata nel territorio di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua costituzione. Nessuno ama i missionari armati; il primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli come nemici". E ancora: "Voler dare la libertà ad altre Nazioni prima di averla conquistata noi stessi, significa garantire insieme la servitù nostra e quella del mondo intero."

Lo so, è troppo per lorsignori sentir parlare di malgoverni (e di Stati) che mascherano, a proposito di ipocrisia, con altisonanti dichiarazioni di principio i veri motivi, spesso cinici e inconfessabili, che stanno alla base di ogni guerra, anche di quella che si combatte nei cortili di casa nostra con le armi della distrazione di massa da parte di un regime che spesso abusa del potere per violentare la democrazia.

Se al posto di uno Stato ci mettiamo un partito, una fazione, una setta, che con un'emblematica torsione morale, culturale e politica, si arroga il diritto di perseguire, costi quel che costi, un progetto di egemonia fregiandosi contemporaneamente del titolo di paladino della libertà, allora vuol dire che siamo capitati per caso in Italia dove la propagandata libertà è un vuoto simulacro che inganna gli animi e le menti.    
La banalità del male ha fatto il resto: tutti colpevoli, tutti innocenti. 
Non è più questione di etica pubblica o di morale comportamentale, giacché i vizi privati diventano seduta stante pubbliche virtù e non è il caso di andare a discettare sul confine tracciato non dal codice, ma dal rispetto irrinunciabile di elementari criteri di poteri e doveri, di diritti e di obblighi derivanti dall'instaurarsi di rapporti intersoggettivi fra eguali.
Chi prescinde da questo si comporta come colui che oggi in Italia detta legge.
Il malaffare è pane quotidiano, la propaganda di regime e la disinformazione ne sono il companatico.
I Magistrati, sfibrati dall'ormai ventennale, micidiale campagna di stampa foraggiata dal partito degli inquisiti (che è anche il partito dei corrotti e dei potenti), paiono travet depressi e demoralizzati, come gli insegnati e gli operai, i quali a volte sembrano elemosinare solidarietà e protezione non agli organi (deviati) dello Stato, ma ai cittadini onesti, agli studenti e ai gionalisti con la schiena dritta.
E si continua a galleggiare come se nulla fosse sui privilegi e sugli scandali, come in un mare di merda, stando ben attenti a non incagliarsi fra i cumuli di letame che affiorano dai bassifondi della politica. 


Inutile citare Pasolini e la sua mutazione antropologica, il Palazzo però rende bene l'idea della fogna e da esso tutto sgorga fuori come acqua reflua, però al normale tanfo dell'eterna quotidianità del potere, oggi  si mischia la pretesa di imputati che ricusano i giudici non per legittima suspicione (come si diceva un tempo) ma perché "nessuno mi può giudicare" nemmeno il Padreterno.
Un implicito riconoscimento di colpevolezza che l'arroganza esibita rende ancor più meritevole di almeno un tiro di sciacquone così potente da risucchiare nuovamente nella fogna gli scarti dell'onorata società.  
Sembra che un oscuro sortilegio, una paralisi dei sensi e delle emozioni mediaticamente indotte, subito dopo il primo accadimento che funziona come un vaccino, ci attanagli, lasciandoci muti e indifferenti, anche quando eventi di ogni tipo e grado minano le basi della convivenza e del reciproco rispetto, gettando un'ombra lunga di incertezza e di precarietà sul futuro di ognuno.
Eppure la crisi, non solo d'ideali, che stiamo vivendo dovrebbe contribuire a rompere l'incantesimo mediatico, a incrinare l'immobilismo morale, mettendo ognuno di noi, pedine più o meno inconsapevoli di un gioco più grande di noi, davanti alla cruda realtà di ogni giorno.
Glia anatemi sembrano esorcismi d'occasione, le proteste sono sterili esibizioni di un malcontento fine a se stesso, le invettive si sprecano, qualche esagitato prova a ribaltare la forza della ragione con la ragione della forza. Scende quindi come un pesante sipario, la rassegnazione a chiudere gli occhi di chi si accontenta o finge di non vedere la desolazione di un panorama in cui, ad esempio, anche la scuola, intesa come palestra di vita e fucina del sapere, deve pagar dazio alla volontà sopraffattrice di uno Stato che ha abdicato alla sua funzione primaria per colpa di una classe dirigente ignorante, mediocre e affarista inspiegabilmente insediatasi proprio coartando la volontà di quel popolo di cui si bea nel continuare a penalizzare tutto ciò che richiama il Bene Comune e l'interesse generale.

Ho accennato alla scuola perché tutto nasce da lì (anche l'ignoranza dei presunti potenti) ma potrei fare decine di esempi parlando magari di sanità alla vigilia di un federalismo fiscale che fra costi standard, aumento della tassazione locale e taglio delle risorse penalizzerà soprattutto il Meridione offrendo differenziali di trattamento nella fruizione di servizi essenziali in favore delle Regioni italiane (o dovrei forse dire padane?) tradizionalmente più ricche (con sommo gaudio del dio popò).    
Sarebbe logico aspettarsi dopo tanta rabbia repressa, una fisiologica reazione, una dose massiccia di sana indignazione, il "sentimento di sdegno e risentimento" recita il De Mauro "provocato da ciò che si considera riprovevole, immorale e sconveniente."
Invece non c'è niente di tutto questo, nemmeno l'accenno di un timido e corale signornò, quasi si avesse contezza di essere solo dei meri depositari di una vuota sovranità e dell'inutilità di qualsiasi protesta spenta sul nascere da un masochismo rinunciatario che ha l'amaro sapore della resa incondizionata.
In luogo dell'impegno sociale, degli ideali e dei sentimenti forti, sanguigni e nobili, ci sono le pulsioni deboli e volgari alimentate dai sottopancia della politica, il qualunquismo, la rassegnazione, il complice laissez faire, in un misto di consolatorio abbandono alla fatalità e di colpevole impaludamento nell'attesa di qualcosa o qualcuno che restituisca almeno un po' di speranza a un Popolo avvilito e disilluso.
Forse rimane il tempo per un moto di orgoglio democraticamente manifestato per rivendicare semplicemente il nulla garantito dal minimo sindacale inflazionato dall'interesse padronale con annesse giaculatorie recitate alla memoria della Res Publica, e restituire poi la scena all'indifferenza dei vinti e all'arroganza dei vincitori.  

P.S. A Milano un tassista investe e uccide un cane. Lo picchiano e finisce in
      coma. Vale più la vita di un uomo o quella di un cane?


 


 

 
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