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Maurizio Costanzo ha scoperto la scultura di sapone raffigurante Totò

Post n°17 pubblicato il 04 Settembre 2006 da attoreitaliano

immagine

Maurizio Costanzo, ha scoperto a Buona Domenica le sculture di sapone nate dalle mani della scultrice, pittrice polacca Wladyslawa Jankowska, tra le opere presentate una raffigurante il grande Totò

 
 
 

Post n°16 pubblicato il 04 Settembre 2006 da attoreitaliano
Foto di attoreitaliano

Nella foto Maurizio Costanzo,la scultrice Wladyslawa Jankowska, Massimo Lopez e Ninni Salerno

 
 
 

Articolo tratto dalla "Settimana Incom"scritto da Totò nel 1960

Post n°15 pubblicato il 07 Agosto 2006 da attoreitaliano
Foto di attoreitaliano

                                 

                     Il complesso dei fratelli siamesi

Alle tre del pomeriggio, il caffè era ancora pieno di gente. Il cameriere li conosceva tutti uno per uno: acrobati e illusionisti, cantanti e ballerinette di fila. Qualcuno azzardava la richiesta di un bicchiere d'acqua, gli altri seguitavano a discutere di impossibili scritture. Saltare i pasti, per quella gente, era diventato il fatto più naturale.
Quel pomeriggio, a un tavolo sulla piazzetta, c'era persino Peppino Villani. Si era seduto in disparte, ordinando un caffè lungo (lui, questo lusso poteva permetterselo). Perché don Peppino, nel varietà, era una specie di padreterno. Qualcuno si staccò dal gruppo e facendo finta di niente gli passò davanti con un lungo saluto: che avesse bisogno, per caso, di gente da scritturare?«Lasciate fare a me», disse un giovanotto piuttosto smilzo che aveva già avuto qualche piccolo successo nelle sale di periferia. Don Peppino lo conosceva di vista e gli disse subito, senza troppi preamboli, che anche lui in quei giorni era senza lavoro. "Giovanotto", gli propose quindi, "vogliamo farla noi una formazione? Bene. Sedete e scrivete: Peppino Villani, settecento lire. Una cantante, centocinquanta. Un'attrazione, cento. Un primo e un secondo numero, ottanta lire. E venticinque per voi. Quanto fa in tutto?" "Mille e cinqantacinque lire". "Bene, datevi da fare e domani ci vediamo".
Il giorno dopo, alla stessa ora. "Don Peppì, hanno detto che la formazione è bella assai, ma costa troppo"."Questo è tutto", rispose Villani. "E noi allora caliamo. Prendete un pezzo di carta: Peppino Villani settecento lire. Cento alla cantante e settanta all'attrazione. I due numeri, cinquantacinque. E voi... voi dovete contentarvi: ventitre lire. Giovanotto ditemi il totale". "Novecentoquarantotto". "E chi volete che rifiuti un affare del genere?"."Speriamo bene, don Peppino".
Ventiquattr'ore piú tardi."Don Peppì, che vi ho da dire? Sono tutti entusiasti, ma vogliono spendere di meno"."E va bene, noi caliamo ancora. Peppino Villani, settecento lire ... " "Eh, no", scattò l'altro "se qui non cala Peppino Villani, l'affare non si combina". E l'affare, infatti, andò a monte.

Di Peppino Villani abbiamo detto: un asso di quei tempi. L'altro era Antonio de Curtis, un giovanottello ricco soltanto di molte speranze. Sì, insomma, ero io. Nato a Napoli in via Santa Maria Antasaecula, avevo trascorso la mia adolescenza piú nelle strade del popolare rione Sanità che sui banchi di scuola. Come abbia fatto a prendere la licenza elementare e ad iscrivermi al ginnasio, soltanto mia madre potrebbe dirlo. Scelsero il collegio Cimino, nel palazzo dei principi di Santobuono, ma io per la scuola non ero tagliato proprio. Le mie avventure di ginnasiale finirono assai presto, e ingloriosamente.
Né si può dire, per la verità, che le mie esperienze militari abbiano avuto un esito migliore. Ero poco piú che un ragazzo quando mi presentai, volontario, al Distretto. Fui assegnato al 22' fanteria, di stanza a Pisa, e quindi distaccato a Pescia. Il rancio era una schifezza: brodo che sembrava acqua e pasta che sembrava colla. Allora, un-giorno, sapete cosa faccio? Gioco all'equivoco, sissignori, gioco. A Pescia, dico, chi mi conosce? Vado dal barbiere, mi faccio fare la tonsura come un sacerdote e corro in trattoria.
Là ci stava un amico mio al quale avevo già raccontato tutto. "Buonasera, reverendo", mi dice,"si accomodi, si accomodi. Vedrà che qui si trova bene. Ho già pensato io a raccomandarla al padrone". Mangiai, infatti, benissimo, e mi fecero anche uno sconto per riguardo al pastore d'anime. Andai avanti così per un pezzo, poi un giorno arrivò un cappellano militare (vero) e successe un quarantotto.

Come Dio volle, anche la "ferma" ebbe termine, e io potei finalmente avvicinarmi a quel teatro che, ancora ragazzo, mi aveva affascinato. La mia famiglia, intanto, si era trasferita a Roma. Fu al Salone Elena, in piazza Risorgimento, che io feci la mia prima esperienza.

Il Salone Elena era, in realta', una modesta baracca di legno dove si recitavano soprattutto La cieca di Sorrento e La sepolta viva,L'ombra del disonore e Il capo della camorra. Ma io sapevo che da pochi giorni era stata scritturata la "Compagnia comica diretta da Umberto Capece", che faceva rivivere la maschera del Pulcinella napoletano. E fu Capece che mi consentì finalmente di passare "dall'altra parte". Non ero più lo spettatore Antonio de Curtis, ma Totò attore comico.

Ebbi subito successo e, quindici giorni dopo, la prima paga: due soldi al giorno. Questo mi incoraggiò, due settimane più tardi, a chiedere un piccolo aumento. Pioveva forte, quella sera, ed ero fradicio da capo a piedi. "Signor Capece", gli dissi, "mi basterebbe una lira per settimana: almeno i soldi per tornare a casa con il tram. Perché a piedi non ce la faccio più, andata e ritorno". "Andate un po' a far del bene alla gente!", brontolò Capece. E mi indicò la porta.

Prendendo il coraggio a due mani, anche per non dover ascoltare mia madre che invariabilmente mi rimproverava di non essere diventato ufficiale di marina, decisi allora di presentarmi a don Peppe Jovinelli che era uno degli impresari più esigenti e più temuti di quel tempo.
Peppe Jovinelli, a Roma, lo ricordano ancora oggi: una specie di gigante che, arrivato a Roma da un paese del napoletano, si era fermato in piazza Guglielmo Pepe ripulendola dalla giungla dei "bulli" e costruendovi, cinquant'anni fa, un teatro cui diede il suo nome. Fu Jovinelli a lanciare Raffaele Viviani ed Ettore Petrolini, e a valorizzare attori come Armando Gill, Alfredo Bambi, Pasquariello e Gustavo De Marco.

Erano, appunto, le macchiette di De Marco che io conoscevo a memoria: soprattuto Il bel Ciccillo e Il Paraguay. Le ripassai per bene davanti a uno specchio e mi presentai a Jovinelli. Non era il momento più propizio perché don Peppe aveva appena finito di scaraventare fuori dal suo ufficio un attore che era arrivato tardi alle prove, tuttavia il colloquio fu abbastanza cordiale, molto più di quanto potessi sperare.

"Ah, siete napoletano?", chiese Jovinelli. "A me piacciono i napoletani. E, ditemi, siete bravo?". "Mah, dicono". "Dicono, dicono, e chissà poi se è vero. Comunque vi aspetto domani per le prove". Il giorno dell'esordio, mentre il pubblico batteva ancora le mani, don Peppe si precipitò in palcoscenico contrariamente alle sue abitudini. "Giovanotto, siete stato veramente bravo", mi disse stampandomi sulla schiena una pesante manata.
La settimana dopo, Jovinelli mi "riconfermava" (come si dice nel gergo del teatro), mentre il mio successo veniva annunciato da nuovi striscioni dove il mio nome era scritto con caratteri alti mezzo metro. Sapete che effetto mi facevano! Mi sembrava di sognare.
Interpretando alla mia maniera le parodie vecchie e nuove, con una buffa disarticolata recitazione (più tardi mi presentarono, sui manifesti, come "l'uomo di gomma"), riuscii ad affermarmi in poco tempo. E, con l'avallo di Jovinelli, non ebbi difficoltà - allo scadere del contratto - a farmi scritturare prima all'Orfeo e quindi al Salone Margherita di Napoli, dove il successo prese proporzioni ancora maggiori.Tuttavia restava ancora un baluardo da espugnare, il più difficile, quel Teatro Sala Umberto di Roma, che era appannaggio soltanto degli attori arrivatissimi.
Gli impresari non badavano a spese pur di assicurarsi i nomi più in vista. "Dovrò farne di anticamera prima di arrivarci", pensavo passando e ripassando davanti a quel teatro. Ma, per merito di un barbiere, la conquista fu assai più rapida del previsto. Il barbiere si chiamava Pasqualino ed era una specie di istituzione dell'ambiente teatrale. Chiunque si presentasse a lui qualificandosi "artista", otteneva la massima considerazione, da uno sconto specialissimo sulle tariffe a un congruo numero di applausi a teatro. Perchè Pasqualino non si contentava di servire i suoi clienti di barba e capelli, ma finiva addirittura con l'assumerne la protezione, spellandosi le mani per applaudirli e sfiatandosi per sostenerli in discussioni che si protraevano per ore ed ore.
Il "salone" di Pasqualino si trovava in via Frattina: a due passi, quindi, dal Teatro Sala Umberto che Cataldi e Cavaniglia gestivano in via della Mercede. Fu, appunto, in un afoso pomeriggio di luglio che il cantante Gennarino De Pasquale mi portò da Pasqualino. "Artista?", chiese il barbiere. "Riconfermato da Jovinelli", rispose l'altro. Quel "riconfermato", detto con tono di sussiego da Gennarino, valeva più di qualsiasi altro argomento.Se Jovinelli mi aveva rinnovato la scrittura, dovevo essere certamente un artista con la A maiuscola.
L'autorevole presentazione di Gennarino ebbe su Pasqualino un effetto insperato: fu l'apriti Sesamo, che dico? , il talismano miracoloso per mezzo del quale il Teatro Sala Umberto non fu più un'aspirazione ma una realtà immediata. Pasqualino lavorò con abilissima diplomazia, strappando una mezza promessa a Cataldi e correndo subito dopo da Cavaniglia come se il contratto fosse già stato firmato. Così, ero appena stato liquidato da Jovinelli quando mi trovai da un giorno all'altro a debuttare al Teatro Sala Umberto.
Fu un successo strepitoso: praticamente, il lasciapassare per tutti i grandi teatri. Da quel momento, infatti, non fui più io a cercare lavoro, ma furono gli altri a cercare me. Ormai le grandi formazioni mi spettavano di diritto, a cominciare dalla "Maresca numero due" dove fui il primo attore a fianco di Isa Bluette (la "Maresca numero uno" aveva "in ditta" Angela Ippaviz e Alftedo Orsini).
Tra i successi più rilevanti di quel tempo c'è anche una commedia di Eduardo Scarpetta, '0 balcone 'e Rusinella, che fu replicata per molte settimane al difficile Teatro Nuovo di Napoli.
Con me, lavorava Titina De Filippo.
Il resto, appartiene al teatro di oggi, o quasi: una serie pressochè ininterrotta di riviste per molte delle quali ho potuto giovarmi della felicissima collaborazione di Michele Galdieri e - per cinque stagioni - di Anna Magnani.

Poi c'è stata una guerra di mezzo e i ragazzini di allora sono diventati padri di famiglia, ma riviste come Volumineide, Che ti sei messo in testa? e Quando meno te l'aspetti si ricordano ancora oggi.
La collaborazione con Galdieri riprese nel dopoguerra: ricordo alcune riviste come Bada che ti mangio e C'era una volta il mondo... dove uno sketch - quello del vagone letto - è diventato famoso.
Da vent'anni e più a questa parte, la mia attività teatrale è andata avanti di pari passo con quella cinematografica, anche se qualcuno dice che Totò attore cinematografico ha finito con l'uccidere, poco a poco, Totò attore di rivista. Vogliamo dare una occhiata alle cifre? Il mio primo film è del '36. Fermo con le mani Animali pazzi e, nel 1940, San Giovanni decollato e L'allegro fantasma.

Da allora, i miei film si sono susseguiti a ritmo sempre più vorticoso. Non era difficile il caso che ne girassero due contemporaneamente, la qual cosa mi costringeva a spostarmi rapidamente - in macchina e già truccato - da un teatro di posa all'altro.

Nei giorni scorsi ho finito di lavorare al mio settantacinquesimo film che dovrebbe allinearsi ai migliori da me interpretati: si intitola Risate di gioia e, per diverse ragioni, costituisce una gradevole esperienza di lavoro.
Tanto per cominciare, vi dirò che ha lavorato con me Anna Magnani (biondissima per l'occasione):e quando mi preparavo per girare e sentivo nella roulotte vicino alla mia - il film è fatto in gran parte di esterni- la voce di Nannarella mi sembrava di essere tornato ai tempi di Volumineide.

Un'altra ragione non meno importante (oltre a un cast di attori simpatici, a cominciare da Edy Vessel che è molto bella e che ha molti atouts da giocare) è costituita da quell'intelligente regista che è Mario Monicelli con il quale ho interpretato Guardie e ladri, e cioè uno dei miei film più riusciti.

E adesso, se non vi dispiace, vogliamo parlare di Totò compositore? Da buon napoletano, perchè è una cosa che abbiamo nel sangue. A Napoli anche gli analfabeti sono in grado di improvvisare. Non capisco piuttosto perché la RAI abbia trasmesso per tanto tempo le mie canzoni soltanto alle quattro dopo mezzanotte, per i camionisti e per quelli che soffrono d'insonnia. Cioè no, lo capisco benissimo.
Le poesie che preferisco le ho scritte nel mio dialetto e hanno un'ispirazione fondamentalmente triste che si ripete come un leit-motiv. Molte poesie, che io stesso ho musicato, hanno trovato la strada del successo: di queste, la più nota è Malafemmena.

Dovrei, ora, aggiungere qualcosa a proposito della mia vita privata, ma è un argomento che non desidero toccare. Dicono che sono troppo riservato, ma credo che un attore - quando esce da un palcoscenico o da un teatro di posa - debba appartenere soltanto a se stesso. Vedendomi in palcoscenico o sullo schermo, la gente è portata ad immaginarmi molto diverso da come sono nella realtà di tutti i giorni: un uomo semplice, credetemi, che concede ben poco a se stesso per divertire gli altri. E poco importa se, qualche volta, "gli altri" non capiscono.

Ne volete un esempio? Abitavo in una bella casa di viale Parioli dove, tra gli inquilini, c'erano anche un cardinale e un ambasciatore. Ogni volta che m'incontrava, il portiere mi salutava con tanto di "eccellenza" facendomi profondissimi inchini. Poi, una sera, si fece coraggio. "So che lei", mi disse, "è un attore molto applaudito. Mi piacerebbe sentirla una volta". Gli procurai due posti per quella sera stessa. Il giorno dopo, incontrandomi, non soltanto non mi salutò, ma mi rise in faccia. Da allora, non fui più per lui una persona rispettabile, ma un saltimbanco.

Ho sempre lavorato molto, e ancora oggi - nonostante i disturbi alla vista - non mi risparmio. Anche quando potevo servirmi di un Galdieri in piena forma, gli sketch più sostanziosi li elaboravo pazientemente sino al momento in cui li sentivo "su misura": come facevano, del resto, Raffaele Viviani e Ettore Petrolini.
Ricordo che a Firenze, dopo dieci giorni di esauriti, fui riconfermato con un aumento di paga da 75 a 200 lire. Ero con la compagnia Maresca: una sera, il capocomico mi pregò di stare fermo quando non dovevo recitare perché il pubblico rideva e si distraeva a danno degli altri interpreti. La sera dopo, lo incontrai poco prima che si iniziasse lo spettacolo.
"L'avevo pregata", mi disse, "di non monopolizzare il palcoscenico quando non è di scena. È vero che lei, ieri sera, non si muoveva, ma soltanto teoricamente: perchè anche stando fermo, era tutto un movimento. E il pubblico rideva più di prima. Quindi, faccia quello che le pare".

Più di una volta, camminando per la strada, mi sono sorpreso a seguire qualche tipo stravagante, osservandone minutamente i gesti e assimilandone il modo di camminare, di muoversi, di salutare e di gesticolare.
Se fossi uno studioso di psicoanalisi, dovrei definire questa mania come il "complesso dei fratelli siamesi". Infatti, non appena noto un tipo che mi colpisce per alcune caratteristiche, mi sembra che un fluido mi leghi a lui, ragion per cui divento l'altra parte dell'individuo che osservo, costituendo - con lui - un'ideale coppia di gemelli.
Da ragazzo mi chiamavano proprio per questo " 'o spione".
Hanno scritto di me che sono "la più autentica eredità della risata", eccetera eccetera. Non sta a me giudicare. Non ho inventato il taschino dietro la schiena come Rascel, o il ricciolo sulla fronte come Macario. Quei panni che mi cascavano addosso come se fossi stato un manichino e che mi sono serviti come "costume", altro non erano che la continuazione dell'unico abito di scena, sempre più logoro, che portavo nei primi anni di teatro: un tight troppo largo, un paio di pantaloni "a saltafossi", una vecchia bombetta e una stringa da scarpe per cravatta.

"Ma come? Hai fatto barone il tuo cane e cavaliere il tuo pappagallo?", mi disse un giorno Lucy D'Albert, la più "completa" tra le soubrettes che hanno lavorato al mio fianco. "E con questo?", le risposi. "A prescindere dal fatto che Caligola fece senatore il suo cavallo, si tratta di cariche onorifiche puramente onorarie che hanno valore soltanto entro il perimetro della mia abitazione. E poi, credimi, sia l'uno che l'altro se lo meritavano proprio".
Il cane e il pappagallo costituiscono, infatti, gli unici miei hobbies, se così si può dire. Non vado a pescare e non raccolgo francobolli. In quanto a scrivere versi e canzoni, quello non è un hobby, ma una necessità.

E così, credo di avervi detto tutto, meno la data di nascita. Sono nato un quindici febbraio: acquariano, porta buono. Ma l'anno, che importanza può avere? Un attore non lo deve sapere mai. L'importante è sentirsi giovani. E io mi sento giovane e sempre pronto - se dovesse presentarsi una occasione favorevole - a tornare ancora una volta sul palcoscenico e a togliere dal "cassetto dei ricordi" quel piumetto che un bersagliere del Terzo mi gettò una sera dal loggione ai tempi di Eravamo sette sorelle. Quel piumetto che diede vita alla mia più felice e sfrenata improvvisazione.


 
 
 

                                          "Le poesie  di Totò"

Post n°14 pubblicato il 06 Agosto 2006 da attoreitaliano

 'E ccorne

Ognuno 'e nuie nasce cu nu destino:
a malasciorta, 'e vvote, va.... po' torna;
chi nasce c' 'o scartiello arreto 'e rine,
chi nasce c' 'o destino 'e purtà 'e ccorne.

lo, per esempio, nun me metto scuorno:
che nce aggio a fà si tarde ll'aggio appreso?
Penzavo: si, aggio avuto quacche cuorno,
ma no a tal punto de sentirme offeso.

È stato aiere 'o juomo, 'a chiromante,
liggenneme cu 'a lente mmiezo 'a mano,
mm'ha ditto: "Siete stato un triste amante,
vedete questa linea comme è strana?

Questa se chiamma 'a linea del cuore,
arriva mmiezo 'o palmo e po' ritorna.
Che v'aggia di, carissimo signore;
cu chesta linea vuie tenite 'e ccorne.

Guardate st'atu segno fatto a uncino,
stu segno ormai da tutti è risaputo
ca 'o porta mmiezo 'a mano San Martino,
o Santo prutettore d' 'e comute".

Sentenno sti pparole int' 'o cerviello
accumminciaie a ffà,mille penziere.
Mo vaco a casa e faccio nu maciello,
pe Ddio, aggia fà correre 'e pumpiere.

"Ma no... Chi t' 'o ffa fà?" (na voce interna
mme suggerette)."Lieve ll'occasione.
'E ccorne ormai songhe na cosa eterna,
nun c'è che ffà,è 'a solita canzone.

'0 stesso Adamo steva 'mparaviso,
eppure donna Eva ll'ha traduto.
'ncoppa a sti ccome fatte nu surriso,
ca pure Napulione era cornuto!".

 
 
 

                          "Le poesie di  Totò"

Post n°13 pubblicato il 04 Agosto 2006 da attoreitaliano

'A livella

 Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo,e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto,statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo,stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno,sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo,o è fantasia?

Ate che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo..calmo calmo,
dicette a don Gennaro:"Giovanotto!

Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"

"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé..-piglia sta violenza...
'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
   nuje simmo serie...appartenimmo à morte!!"

 
 
 
 
 

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Un blog di: attoreitaliano
Data di creazione: 08/07/2006
 

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