TotòIl blog del Totò fans club di Napoli |
MENU
I MIEI BLOG AMICI
CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
I LINK AMICI DI TOTÒ
Post n°17 pubblicato il 04 Settembre 2006 da attoreitaliano
|
Post n°16 pubblicato il 04 Settembre 2006 da attoreitaliano
|
Post n°15 pubblicato il 07 Agosto 2006 da attoreitaliano
Il complesso dei fratelli siamesi Alle tre del pomeriggio, il caffè era ancora pieno di gente. Il cameriere li conosceva tutti uno per uno: acrobati e illusionisti, cantanti e ballerinette di fila. Qualcuno azzardava la richiesta di un bicchiere d'acqua, gli altri seguitavano a discutere di impossibili scritture. Saltare i pasti, per quella gente, era diventato il fatto più naturale. Di Peppino Villani abbiamo detto: un asso di quei tempi. L'altro era Antonio de Curtis, un giovanottello ricco soltanto di molte speranze. Sì, insomma, ero io. Nato a Napoli in via Santa Maria Antasaecula, avevo trascorso la mia adolescenza piú nelle strade del popolare rione Sanità che sui banchi di scuola. Come abbia fatto a prendere la licenza elementare e ad iscrivermi al ginnasio, soltanto mia madre potrebbe dirlo. Scelsero il collegio Cimino, nel palazzo dei principi di Santobuono, ma io per la scuola non ero tagliato proprio. Le mie avventure di ginnasiale finirono assai presto, e ingloriosamente. Come Dio volle, anche la "ferma" ebbe termine, e io potei finalmente avvicinarmi a quel teatro che, ancora ragazzo, mi aveva affascinato. La mia famiglia, intanto, si era trasferita a Roma. Fu al Salone Elena, in piazza Risorgimento, che io feci la mia prima esperienza. Il Salone Elena era, in realta', una modesta baracca di legno dove si recitavano soprattutto La cieca di Sorrento e La sepolta viva,L'ombra del disonore e Il capo della camorra. Ma io sapevo che da pochi giorni era stata scritturata la "Compagnia comica diretta da Umberto Capece", che faceva rivivere la maschera del Pulcinella napoletano. E fu Capece che mi consentì finalmente di passare "dall'altra parte". Non ero più lo spettatore Antonio de Curtis, ma Totò attore comico. Ebbi subito successo e, quindici giorni dopo, la prima paga: due soldi al giorno. Questo mi incoraggiò, due settimane più tardi, a chiedere un piccolo aumento. Pioveva forte, quella sera, ed ero fradicio da capo a piedi. "Signor Capece", gli dissi, "mi basterebbe una lira per settimana: almeno i soldi per tornare a casa con il tram. Perché a piedi non ce la faccio più, andata e ritorno". "Andate un po' a far del bene alla gente!", brontolò Capece. E mi indicò la porta. Prendendo il coraggio a due mani, anche per non dover ascoltare mia madre che invariabilmente mi rimproverava di non essere diventato ufficiale di marina, decisi allora di presentarmi a don Peppe Jovinelli che era uno degli impresari più esigenti e più temuti di quel tempo.Peppe Jovinelli, a Roma, lo ricordano ancora oggi: una specie di gigante che, arrivato a Roma da un paese del napoletano, si era fermato in piazza Guglielmo Pepe ripulendola dalla giungla dei "bulli" e costruendovi, cinquant'anni fa, un teatro cui diede il suo nome. Fu Jovinelli a lanciare Raffaele Viviani ed Ettore Petrolini, e a valorizzare attori come Armando Gill, Alfredo Bambi, Pasquariello e Gustavo De Marco. Erano, appunto, le macchiette di De Marco che io conoscevo a memoria: soprattuto Il bel Ciccillo e Il Paraguay. Le ripassai per bene davanti a uno specchio e mi presentai a Jovinelli. Non era il momento più propizio perché don Peppe aveva appena finito di scaraventare fuori dal suo ufficio un attore che era arrivato tardi alle prove, tuttavia il colloquio fu abbastanza cordiale, molto più di quanto potessi sperare. "Ah, siete napoletano?", chiese Jovinelli. "A me piacciono i napoletani. E, ditemi, siete bravo?". "Mah, dicono". "Dicono, dicono, e chissà poi se è vero. Comunque vi aspetto domani per le prove". Il giorno dell'esordio, mentre il pubblico batteva ancora le mani, don Peppe si precipitò in palcoscenico contrariamente alle sue abitudini. "Giovanotto, siete stato veramente bravo", mi disse stampandomi sulla schiena una pesante manata.La settimana dopo, Jovinelli mi "riconfermava" (come si dice nel gergo del teatro), mentre il mio successo veniva annunciato da nuovi striscioni dove il mio nome era scritto con caratteri alti mezzo metro. Sapete che effetto mi facevano! Mi sembrava di sognare. Interpretando alla mia maniera le parodie vecchie e nuove, con una buffa disarticolata recitazione (più tardi mi presentarono, sui manifesti, come "l'uomo di gomma"), riuscii ad affermarmi in poco tempo. E, con l'avallo di Jovinelli, non ebbi difficoltà - allo scadere del contratto - a farmi scritturare prima all'Orfeo e quindi al Salone Margherita di Napoli, dove il successo prese proporzioni ancora maggiori.Tuttavia restava ancora un baluardo da espugnare, il più difficile, quel Teatro Sala Umberto di Roma, che era appannaggio soltanto degli attori arrivatissimi. Gli impresari non badavano a spese pur di assicurarsi i nomi più in vista. "Dovrò farne di anticamera prima di arrivarci", pensavo passando e ripassando davanti a quel teatro. Ma, per merito di un barbiere, la conquista fu assai più rapida del previsto. Il barbiere si chiamava Pasqualino ed era una specie di istituzione dell'ambiente teatrale. Chiunque si presentasse a lui qualificandosi "artista", otteneva la massima considerazione, da uno sconto specialissimo sulle tariffe a un congruo numero di applausi a teatro. Perchè Pasqualino non si contentava di servire i suoi clienti di barba e capelli, ma finiva addirittura con l'assumerne la protezione, spellandosi le mani per applaudirli e sfiatandosi per sostenerli in discussioni che si protraevano per ore ed ore. Il "salone" di Pasqualino si trovava in via Frattina: a due passi, quindi, dal Teatro Sala Umberto che Cataldi e Cavaniglia gestivano in via della Mercede. Fu, appunto, in un afoso pomeriggio di luglio che il cantante Gennarino De Pasquale mi portò da Pasqualino. "Artista?", chiese il barbiere. "Riconfermato da Jovinelli", rispose l'altro. Quel "riconfermato", detto con tono di sussiego da Gennarino, valeva più di qualsiasi altro argomento.Se Jovinelli mi aveva rinnovato la scrittura, dovevo essere certamente un artista con la A maiuscola. L'autorevole presentazione di Gennarino ebbe su Pasqualino un effetto insperato: fu l'apriti Sesamo, che dico? , il talismano miracoloso per mezzo del quale il Teatro Sala Umberto non fu più un'aspirazione ma una realtà immediata. Pasqualino lavorò con abilissima diplomazia, strappando una mezza promessa a Cataldi e correndo subito dopo da Cavaniglia come se il contratto fosse già stato firmato. Così, ero appena stato liquidato da Jovinelli quando mi trovai da un giorno all'altro a debuttare al Teatro Sala Umberto. Fu un successo strepitoso: praticamente, il lasciapassare per tutti i grandi teatri. Da quel momento, infatti, non fui più io a cercare lavoro, ma furono gli altri a cercare me. Ormai le grandi formazioni mi spettavano di diritto, a cominciare dalla "Maresca numero due" dove fui il primo attore a fianco di Isa Bluette (la "Maresca numero uno" aveva "in ditta" Angela Ippaviz e Alftedo Orsini). Tra i successi più rilevanti di quel tempo c'è anche una commedia di Eduardo Scarpetta, '0 balcone 'e Rusinella, che fu replicata per molte settimane al difficile Teatro Nuovo di Napoli. Con me, lavorava Titina De Filippo. Il resto, appartiene al teatro di oggi, o quasi: una serie pressochè ininterrotta di riviste per molte delle quali ho potuto giovarmi della felicissima collaborazione di Michele Galdieri e - per cinque stagioni - di Anna Magnani. Poi c'è stata una guerra di mezzo e i ragazzini di allora sono diventati padri di famiglia, ma riviste come Volumineide, Che ti sei messo in testa? e Quando meno te l'aspetti si ricordano ancora oggi. Da allora, i miei film si sono susseguiti a ritmo sempre più vorticoso. Non era difficile il caso che ne girassero due contemporaneamente, la qual cosa mi costringeva a spostarmi rapidamente - in macchina e già truccato - da un teatro di posa all'altro. Nei giorni scorsi ho finito di lavorare al mio settantacinquesimo film che dovrebbe allinearsi ai migliori da me interpretati: si intitola Risate di gioia e, per diverse ragioni, costituisce una gradevole esperienza di lavoro. Un'altra ragione non meno importante (oltre a un cast di attori simpatici, a cominciare da Edy Vessel che è molto bella e che ha molti atouts da giocare) è costituita da quell'intelligente regista che è Mario Monicelli con il quale ho interpretato Guardie e ladri, e cioè uno dei miei film più riusciti. E adesso, se non vi dispiace, vogliamo parlare di Totò compositore? Da buon napoletano, perchè è una cosa che abbiamo nel sangue. A Napoli anche gli analfabeti sono in grado di improvvisare. Non capisco piuttosto perché la RAI abbia trasmesso per tanto tempo le mie canzoni soltanto alle quattro dopo mezzanotte, per i camionisti e per quelli che soffrono d'insonnia. Cioè no, lo capisco benissimo. Dovrei, ora, aggiungere qualcosa a proposito della mia vita privata, ma è un argomento che non desidero toccare. Dicono che sono troppo riservato, ma credo che un attore - quando esce da un palcoscenico o da un teatro di posa - debba appartenere soltanto a se stesso. Vedendomi in palcoscenico o sullo schermo, la gente è portata ad immaginarmi molto diverso da come sono nella realtà di tutti i giorni: un uomo semplice, credetemi, che concede ben poco a se stesso per divertire gli altri. E poco importa se, qualche volta, "gli altri" non capiscono. Ne volete un esempio? Abitavo in una bella casa di viale Parioli dove, tra gli inquilini, c'erano anche un cardinale e un ambasciatore. Ogni volta che m'incontrava, il portiere mi salutava con tanto di "eccellenza" facendomi profondissimi inchini. Poi, una sera, si fece coraggio. "So che lei", mi disse, "è un attore molto applaudito. Mi piacerebbe sentirla una volta". Gli procurai due posti per quella sera stessa. Il giorno dopo, incontrandomi, non soltanto non mi salutò, ma mi rise in faccia. Da allora, non fui più per lui una persona rispettabile, ma un saltimbanco. Ho sempre lavorato molto, e ancora oggi - nonostante i disturbi alla vista - non mi risparmio. Anche quando potevo servirmi di un Galdieri in piena forma, gli sketch più sostanziosi li elaboravo pazientemente sino al momento in cui li sentivo "su misura": come facevano, del resto, Raffaele Viviani e Ettore Petrolini. Più di una volta, camminando per la strada, mi sono sorpreso a seguire qualche tipo stravagante, osservandone minutamente i gesti e assimilandone il modo di camminare, di muoversi, di salutare e di gesticolare. "Ma come? Hai fatto barone il tuo cane e cavaliere il tuo pappagallo?", mi disse un giorno Lucy D'Albert, la più "completa" tra le soubrettes che hanno lavorato al mio fianco. "E con questo?", le risposi. "A prescindere dal fatto che Caligola fece senatore il suo cavallo, si tratta di cariche onorifiche puramente onorarie che hanno valore soltanto entro il perimetro della mia abitazione. E poi, credimi, sia l'uno che l'altro se lo meritavano proprio". E così, credo di avervi detto tutto, meno la data di nascita. Sono nato un quindici febbraio: acquariano, porta buono. Ma l'anno, che importanza può avere? Un attore non lo deve sapere mai. L'importante è sentirsi giovani. E io mi sento giovane e sempre pronto - se dovesse presentarsi una occasione favorevole - a tornare ancora una volta sul palcoscenico e a togliere dal "cassetto dei ricordi" quel piumetto che un bersagliere del Terzo mi gettò una sera dal loggione ai tempi di Eravamo sette sorelle. Quel piumetto che diede vita alla mia più felice e sfrenata improvvisazione. |
Post n°14 pubblicato il 06 Agosto 2006 da attoreitaliano
'E ccorne Ognuno 'e nuie nasce cu nu destino: lo, per esempio, nun me metto scuorno: È stato aiere 'o juomo, 'a chiromante, Questa se chiamma 'a linea del cuore, Guardate st'atu segno fatto a uncino, Sentenno sti pparole int' 'o cerviello "Ma no... Chi t' 'o ffa fà?" (na voce interna '0 stesso Adamo steva 'mparaviso, |
Post n°13 pubblicato il 04 Agosto 2006 da attoreitaliano
'A livella Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno, St'anno m'é capitato 'navventura... 'O fatto è chisto,statemi a sentire: "Qui dorme in pace il nobile marchese 'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto... Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore E ncoppa 'a croce appena se liggeva: Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo... Mentre fantasticavo stu penziero, Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano? Ate che fantasia;era 'o Marchese: E chillo certamente è don Gennaro... Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo, Da Voi vorrei saper,vile carogna, La casta è casta e va,si,rispettata, Ancora oltre sopportar non posso "Signor Marchese,nun è colpa mia, Si fosse vivo ve farrei cuntento, "E cosa aspetti,oh turpe malcreato, "Famme vedé..-piglia sta violenza... Ma chi te cride d'essere...nu ddio? "Lurido porco!...Come ti permetti "Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!! 'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo, Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo, |