Cina e Italia...

Post N° 51


A dieci anni dalla sua morte, Deng Xiaoping: "affetto" e oblio. In occasione dell’anniversario della morte di Deng Xiaoping, avvenuta il 19 febbraio 1997 all’età di 92 anni, il sito del quotidiano Xinhua riporta un articolo commemorativo. Secondo Xinhua oltre 33.000 internauti cinesi hanno reso omaggio al loro amato leader presentando “fiori virtuali” sul portale Sina.com. Ad Harbin (nordest della Cina), Shenzhen (provincia del Guandong, sudest della Cina) ed in altre località, questa volta, venivano riposti fiori reali ai piedi delle statue bronzee e vicino ai ritratti “dell’architetto delle riforme e dell’apertura”. La folla riunita attorno ai simulacri e ai ritratti di Deng era ben contenta di scattare foto ricordo e, per attestare la riconoscenza verso il leader, Xinhua riporta la testimonianza del sig.Zheng, 66 anni, originario della provincia del Jiangsu, che ha beneficiato delle riforme economiche dengiste divenendo vice direttore di una fabbrica nel 1983 e proprietario di una sua impresa nel 2001. Zheng aggiunge:“Senza Deng Xiaoping, la mia famiglia non sarebbe stata felice”. Importanti siti di informazione cinesi (people.com.cn, sina.com, cctv.com, eastday.com, e lo stesso xinhuanet.com) hanno espresso il loro cordoglio con la frase: “Xiaoping, grazie, ci manchi”.  Ricordiamo che Deng Xiaoping è stato l’uomo che ha capovolto il sistema economico della Cina, che è passato da un’economia collettivista ad una di mercato, dall’ideale maoista del “servire il popolo” a quello dell’ “arricchirsi è glorioso”. L’estremo pragmatismo di Deng Xiaoping l’ha portato ad aprire le frontiere di mercato con l’Occidente che diventa il modello dal quale carpire i segreti economici (non quelli politici naturalmente), ad “aprire le finestre” e allo stesso tempo mantenere lo stretto rigore del regime. Dopo aver appreso il comportamento del popolo cinese in occasione dell’anniversario della morte di Deng, un’osservazione, seppur cinica, sorge naturale. Non smentendo l’inclinazione del Partito a obliare le sue stesse colpe, nell’articolo non  si fa menzione del massacro di piazza Tiananmen avvenuto il 4 giugno 1989, di cui Deng fu collateralmente responsabile e che fu ordinato dall’allora primo ministro Li Peng. Quest’ultimo ha pubblicato proprio in questi giorni il suo quinto diario, che copre l’arco di tempo che va dal 1983 al 2003, ma nel suo scritto, ovviamente, non vi è menzione alcuna dei fatti di sangue perpetrati nei confronti degli studenti riuniti per la democrazia e contro la corruzione del Partito. Gli studenti ricevettero, ancor prima dei colpi di arma da fuoco, le percosse e l’intervento dei carri armati dell’Esercito di Liberazione Popolare, pesanti accuse da parte di Deng Xiaoping, il quale, in un discorso riportato su un’editoriale del People’s Daily del 26 aprile 1989 additava i dissidenti di “complottare contro lo Stato e fomentare agitazioni di piazza”. A queste dichiarazioni seguirono poi le manifestazioni e la successiva escalation di violenza che portò alla morte di centinaia di studenti e manifestanti.Il silenzio imposto dal Partito sembra essere una costante anche sui libri di testo scolastici. Infatti, un articolo di Asianews del 14/04/2005 riporta che nei libri di storia in uso nelle scuole cinesi “[…] non si trova alcun accenno al movimento pro-democrazia del 1989” e che agli studenti cinesi venga perciò presentata una versione edulcorata ed epurata della storia, in particolare di quella del XX secolo. Amnesty International continua a chiedere giustizia nei confronti di coloro che dal 4 giugno 1989 si trovano ancora in carcere a causa della loro adesione al movimento democratico ed esorta il governo a fermare e consegnare alla pubblica sicurezza i responsabili del massacro. In una lettera indirizzata al presidente cinese Hu Jintao (datata 28 maggio 2005), le madri delle vittime di piazza Tiananmen consigliano al regime di “chiedere perdono davanti alla storia”. Lo consigliano proprio a Hu che durante la mobilitazione popolare del 4 giugno si trovava nella regione autonoma del Tibet, in cui era  segretario del Partito e si fece premura di inviare un telegramma ai vertici per informare della sua approvazione all’uso della forza contro i manifestanti. Se il Partito si impegnasse a divulgare queste informazioni, probabilmente i cinesi della nuova generazione non esalterebbero esclusivamente il progresso economico che Deng Xiaoping ha contribuito in larghissima parte a portare, ma avrebbero nei confronti del promotore “dell’apertura”  un atteggiamento più critico. Pare ovvio, quindi, constatare che la reticenza del Partito sia effetto del timore di perdere prestigio e credibilità. Il silenzio è d’oro.  (fonti: Asianews, Wikipedia, Xinhua, People’s Daily)L'articolo è stato pubblicato sul sito dell'associazione culturale Versoriente al link: http://www.versoriente.net/default.asp?riferimento=dettaglioNews&id=21