Nel buio...

GIOVANNI BOCCACCIO


Nel Duecento e nel Trecento la poesia e la prosa italiane ebbero una grande influenza sulla letteratura di tutta l’Europa, grazie soprattutto a tre poeti e scrittori che sono considerati i padri fondatori della letteratura italiana. Questi tre autori sono Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. Boccaccio è l’autore della prima grande opera in prosa della letteratura italiana: la raccolta di novelle intitolata Decameron. L’INFANZIAGiovanni Boccaccio nacque in Toscana (a Certaldo o forse a Firenze) nel 1313. Era figlio illegittimo di Boccaccino di Chellino, un mercante fiorentino che lo riconobbe e lo prese con sé; della madre non si hanno notizie certe. Giovanissimo, venne affidato a un mercante, affinché imparasse il mestiere. Nel 1327, a 14 anni, si trasferì a Napoli, per fare pratica mercantile con il padre, socio della Compagnia dei Bardi. I Bardi erano un’antica e potente famiglia fiorentina, che fondò una compagnia mercantile e una banca, che era allora la più grande d’Europa. La filiale della Compagnia a Napoli prestava denaro addirittura al re, Roberto d’Angiò. GLI ANNI DI NAPOLIA Napoli Boccaccio completò la sua formazione di mercante e fu avviato agli studi di diritto canonico. Tuttavia, né questi né il mondo del commercio piacquero a Boccaccio. Preferiva frequentare la splendida corte degli Angiò, dove entrò in contatto con importanti uomini di cultura e poté dedicarsi agli amati studi letterari. Sembra anche che ebbe una relazione amorosa con una figlia illegittima del re, che egli celebrò in molte opere, sotto il nome di Fiammetta. Il periodo napoletano fu un’epoca felice, piena di promesse e speranze. A quegli anni risalgono il romanzo in prosa Filocolo e i poemetti Filostrato e Teseida. IL RITORNO A FIRENZEVerso il 1340, però, Boccaccio dovette tornare a Firenze, in conseguenza del fallimento della Compagnia dei Bardi, che aveva coinvolto anche la sua famiglia. Degli anni successivi non abbiamo molte notizie. Sappiamo però che continuò gli studi di poesia e l’attività letteraria, e che svolse diversi incarichi diplomatici: fu a Ravenna fra il 1345 e il 1346, e a Forlì nel 1347. Nel 1348 era probabilmente già a Firenze, dove era scoppiata una terribile epidemia di peste. Boccaccio riuscì a salvarsi, ma perse suo padre e molti amici. La peste gli diede lo spunto per la composizione della sua opera più famosa, il Decameron. Del 1350 è uno degli eventi più importanti della vita di Boccaccio: l’incontro con Francesco Petrarca. Tra i due nacque una profonda amicizia, che durò per tutta la vita.Nel frattempo continuarono le sue missioni diplomatiche per conto di Firenze. Nel 1351 Boccaccio incontrò la regina di Napoli per l’acquisizione della città di Prato; nel dicembre dello stesso anno andò in Tirolo, per convincere Ludovico di Baviera ad allearsi con Firenze contro i Visconti di Milano; nel 1354 si recò ad Avignone, come ambasciatore fiorentino presso papa Innocenzo VI. GLI ULTIMI ANNINel 1371 si ritirò e decise di vivere isolato e in solitudine nella villa di Certaldo, il paese dei genitori, vicino a Firenze. Nel 1373 ottenne un incarico prestigioso dal comune di Firenze: la lettura e il commento ufficiale della Commedia di Dante. Dopo un anno però, a causa della salute malferma, fu costretto a ritornare definitivamente a Certaldo, dove morì il 21 dicembre 1375. IL DECAMERONTra il 1349 e il 1351 Boccaccio scrisse il suo capolavoro, il Decameron. Si tratta di una raccolta di cento novelle divise in dieci giornate (in greco, Decameron significa proprio “dieci giorni”), scritte in lingua volgare (vale a dire nel dialetto fiorentino). Per sfuggire all’epidemia di peste che colpì Firenze nel 1348, dieci amici (sette fanciulle e tre giovani) di famiglie benestanti e di educazione raffinata si rifugiano in una villa sui colli fiorentini. Qui trascorrono il tempo dedicandosi a giochi, danze, passeggiate e alla narrazione delle novelle. Alcuni dei personaggi creati da Boccaccio sono ormai famosissimi. Ser Ciappelletto, ad esempio, è un peccatore incallito che, in punto di morte, finge di pentirsi dei suoi peccati e finirà per essere ritenuto un santo; Calandrino è invece il tipico ingenuo, vittima di scherzi e beffe memorabili; il cuoco Chichibio riesce, con l’arguzia, a salvarsi dall’ira del padrone, trasformando la sua collera in una risata; Griselda è il simbolo dell’amore materno. Prossimo: “ ITALO CALVINO “